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Il Natale in Ucraina Le tradizioni di un popolo che non si arrende

da Raimondo Giustozzi21729914-large-1200x800

In questo Paese ancora in guerra, i momenti di festa si concentrano sui valori famigliari. I legami tra i presenti vengono celebrati con i piatti tradizionali consumati riunendosi tutti insieme a tavola, mentre il culto degli antenati nutre e dà significato a quelle stesse usanze e ricette.

Mentre le bombe e i droni volano sulle centrali elettriche e i palazzi dei civili causando morti e feriti, gli ucraini, oltre a occuparsi di rimuovere le macerie, si preparano al periodo più magico dell’anno, il Natale. La vita scorre tra un’apparente e surreale normalità all’insegna dei festeggiamenti, locali aperti, vetrine dei negozi addobbate per le feste e la crudeltà della guerra che non risparmia nessuno.

Dallo scorso anno la Chiesa ortodossa ucraina è passata ufficialmente a celebrare il Natale il 25 dicembre, anziché il 7 gennaio come da calendario giuliano. Al di là di ogni spiegazione “tecnica”, ovvero la non correttezza del calendario giuliano e la necessità di adottarne uno nuovo, questa decisione è una protesta, un atto ormai richiesto dagli ucraini per allontanarsi dalla Russia, troncare ogni legame anche per le festività religiose e avvicinarsi alla famiglia europea.

In Ucraina, la sera della vigilia di Natale è circondata dal misticismo e dalla magia. Ci sono tante credenze e riti le cui radici risalgono ancora ai tempi pagani. Chi ha letto “La notte prima di Natale” di Nikolaj Gogol saprà immaginare quel paesaggio rurale ucraino e quante cose possono accadere in una notte.

Per gli ucraini, la festa di Natale non è soltanto la celebrazione della nascita di Gesù. Come racconta l’etnologa Natalia Gromova dell’Università Nazionale Taras Schevchenko di Kyjiv, «Natale è un momento in cui si riunisce tutta la famiglia e a tavola vengono invitati anche gli antenati».

Secondo la tradizione, si devono preparare dodici piatti, il più importante è la kutja. Si prepara con il grano oppure con l’orzo cotto, semi di papavero macinati, miele, noci e uvetta. Oggi si può aggiungere altra frutta secca come albicocche o fichi essiccati. Le versioni moderne dei vari chef stuzzicano la fantasia, tuttavia come base rimane sempre un cereale che sia grano, orzo, riso o, per esempio, bulgur.

Natalia Gromova spiega che la presenza del cereale nel piatto come ingrediente chiave non è casuale, in quanto il grano era l’alimento principale delle persone, per esempio le patate sono entrate nell’uso comune soltanto tra la fine del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo. «I cereali erano di fatto il prodotto principale che dava energia. Possiamo vedere molti piatti a base di farina, come i varenyky con ripieno diverso, sia dolce che salato».

Il momento di preparazione della kutja è magico. Ogni volta che la preparo sprofondo nella mia infanzia: vedo la casa della nonna con quelle piccole finestre piene di ghirigori disegnati dal gelo mattutino, respiro il profumo dell’aria gelida e sento il crepitio della neve sotto agli stivali, gli alberi vestiti di bianco per superare il freddo invernale. Ricordo come la mattina della vigilia mia nonna veniva a casa nostra, per chiamare mio fratellino e macinare i semi di papavero. Un ruolo importantissimo che spettava soltanto a lui: macinare i semi con un mortaio di legno.

Oggi, quando gli mando le foto della kutja, che ormai preparo io, mi rimprovera sempre perché utilizzo il macinino elettrico invece di farlo a mano, e mi rimprovera perché aggiungo fichi e albicocche essiccati; la nonna, ovviamente, non lo faceva, la sua kutja era semplice: il grano cotto in un pentolino di terracotta nel forno a legna, i semi di papavero, miele, a volte uvetta.

Natalia Gromova spiega che la kutja è un piatto per ricordare i defunti, i cui due ingredienti principali sono il grano e il miele. Dunque c’è l’idea che la cena della vigilia si celebri anche nel ricordo di coloro che sono morti. Secondo quanto insegna la Chiesa, questa celebrazione avviene affinché le anime dei defunti stiano bene in paradiso. Ma secondo l’etnologa tutto ciò ha un aspetto più pragmatico, sempre legato al culto della fertilità della terra, in quanto si credeva che, essendo seppelliti sotto terra, gli antenati potessero influenzare la qualità del futuro raccolto. Tutta la cena della vigilia riflette questa idea.

La cena inizia quando in cielo sorge la prima stella e durante la giornata si dovrebbe digiunare. Tutta la famiglia si riunisce attorno al tavolo e si invitano anche gli antenati. La kutja viene servita in un piatto di terracotta nuovo, e la si mette al centro della tavola. Una delle tradizioni, che non si pratica più, come racconta Gromova, vuole che tutti i membri della famiglia mangino dallo stesso piatto. E prima di sedersi sulle panche (originalmente nelle case ucraine c’erano le panche anziché le sedie) si doveva soffiare per evitare di sedersi su qualche anima degli antenati. Il fatto di mangiare tutti da un unico piatto rimanda anch’esso all’unione di tutti i membri della famiglia.

Un’altra tradizione, anch’essa oramai in disuso, mi sembra di ricordare che la seguisse mia nonna: prima di cuocere i piatti della vigilia di Natale, si doveva pulire per bene il forno a legna e si accendeva il fuoco nuovo con la legna più dritta e bella che si era conservata per tempo. Anche questa credenza, sostiene l’etnologa, rimanda alla venerazione del sole, non ha a che fare con la nascita di Gesù. Si credeva, inoltre, che le erbe amare, l’aglio o i semi di papavero benedetti, andassero seminati intorno alle stalle, in modo da proteggere dalle forze del male, dai morti viventi (personaggi molto pericolosi della mitologia ucraina, guai a incontrarli o a parlargli, perché potrebbero portarti via).

Oggi, la vigilia di Natale è avvolta anche nella tristezza, perché molte famiglie sono divise a causa della guerra: i padri, i figli, ma anche le madri sono al fronte. La realtà della guerra plasma anche il folklore. Ad esempio le canzoni tradizionali kolyadky – che si cantano nella sera della vigilia, andando di casa in casa – hanno subito delle variazioni di testo: «La vigilia triste di nuovo quest’anno in tutta l’Ucraina / Madre e figli si sono seduti per cenare e invece di cenare hanno versato delle lacrime amare / La madre piange e i figli chiedono dove è nostro padre / Nostro padre sta combattendo liberando Ucraina dal giogo nemico». Oppure un’altra che è stata scritta due anni fa: «Lì, a Bakhmut, dove si sentono gli spari, dove i migliori hanno dato la vita / Notte nel Donetsk, una candela da trincea / Gesù è nato, gloria a lui / Vicino a Huliapole sul tavolo c’è la kutja».

Questi canti sono una parte importante della tradizione natalizia ucraina. Vengono cantati da kolyadnyky, un gruppo di ragazzi e ragazze che nella sera della vigilia vanno di casa in casa, cantano per annunciare la nascita di Gesù. E ogni famiglia che accoglie i kolyadnyky deve ripagarli con qualcosa di buono, regalando dolciumi o soldi. Gromova racconta che secondo alcuni studiosi i kolyadnyky erano rappresentanti degli antenati, e dunque li si ringraziava con una sorta di tributo, e di conseguenza si credeva che la prossima annata di raccolto sarebbe stata buona.

Un altro elemento importantissimo nella celebrazione di Natale che rimanda al culto degli antenati è didukh, che in ucraino ricorda la parola did, nonno. Una volta lo si faceva con l’ultimo covone di grano, credendo che lo spirito del campo venisse in esso intrappolato. Oggi questa tradizione è diventata anche arte, ci sono tanti artisti che creano didukh con diversi tipi di grano o avena, di varie forme e misure, aggiungendo dei nastri, e li si conserva per anni. Questa è una tradizione comune a tutte le regioni ucraine. Ad esempio, a Chernihiv alcune madri dei militari si radunano per il terzo anno di seguito e intrecciano un didukh per la chiesa di Santa Kateryna.

In varie regioni dell’Ucraina ci sono tradizioni diverse sui riti da eseguire. Nel territorio di Bojky, il gruppo etnico dei Carpazi, c’è la tradizione che se, nella sera della vigilia, vengono seminati semi di papavero o di orzo sulla neve, a primavera ci sarà un raccolto, mentre se lo si fa in una sera qualunque i semi si congeleranno.

Un’altra tradizione che, però, è comune a tutte le regioni ucraine, è quella condividere la kutja con parenti o vicini. «In tutta l’Ucraina c’è la tradizione che la sera della vigilia i bambini piccoli portino la kutja, ma anche un po’ di tutti i piatti della vigilia, ai nonni, alla madrina e al padrino. I piatti della vigilia venivano anche offerti alle mucche, ai cavalli, ai buoi. Il padrone di casa, la sera della vigilia, portava loro anche del fieno più buono e saporito. Si credeva che quella sera gli animali potessero parlare», racconta Gromova.

Il pranzo di Natale, invece, è caratterizzato da un’abbondanza di piatti di carne, salumi vari, dolci preparati con uova e burro. I piatti vengono preparati il giorno della vigilia, ma ovviamente è vietato mangiarli.

Kutja non è l’unico piatto presente a tavola durante la cena della vigilia. La regola vuole che i piatti siano magri. Alcuni parlano di dodici piatti, altri di sette, tuttavia secondo Natalia Gromovs prima non si badava al numero di piatti. Dunque si cucina il pesce al forno, fagioli oppure piselli, funghi, zuppa di pesce con i porcini, patate. Deve assolutamente esserci uzvar, la bevanda preparata con la frutta secca. Mia nonna lo preparava perlopiù con mele e pere essiccate, e l’aggiunta di zucchero o miele.

Un altro piatto è la verza stufata oppure le patate stufate al forno con la verza fermentata. Si può preparare il borsch, ma anche in questo caso deve essere senza carne. E, ovviamente, i varenyky, i tortelli ucraini, il cui impasto si prepara senza uova, e con diverse farciture: patate, funghi, verza, formaggio fresco simile alla ricotta, oppure un ripieno dolce come amarene essiccate o i semi di papavero macinati con l’aggiunta di zucchero.

Come racconta Natalia Gromova, i varenyky sono un cibo importante durante la notte di Sant’Andrea, tra il 29 e il 30 novembre, e anche della vigilia di Natale, nella regione di Chernihiv e tra il gruppo etnico dei bojky: le ragazze nubili, per esempio, fanno un sortilegio per scoprire chi sarà il futuro marito, mettendo all’interno dei varenyky i foglietti con i nomi dei pretendenti. Per gioco, invece, alcuni mettevano all’interno di varenyky qualche centesimo, oppure sale o pepe. Si diceva che chi aveva in sorte il centesimo sarebbe diventato ricco.

Un’altra tradizione comune a tutte le regioni dell’Ucraina è spargere fieno o paglia sul tavolo dove si mangia, e sul pavimento. La chiesa spiega questo gesto come la riproduzione della stalla in cui è nato Gesù, eppure l’etnologa Natalia Gromova ritiene che i riti della sera della vigilia siano legati al significato di fertilità della terra, degli animali e delle persone.

Un’altra particolarità dei festeggiamenti ucraini è il presepe vivente, che però viene ucrainizzato. Ad esempio, invece dei re magi possono comparire i conti della Rus di Kyjiv. Di recente è stato introdotto il personaggio dell’Ucraina che racconta l’attuale guerra genocida. Un’usanza che anch’essa diventa arte: nelle grandi città, alle università, nelle aziende, le persone si radunano e organizzano il presepe vivente.

In questo mondo frenetico, che sembra correre e lasciarsi alle spalle il passato, gli ucraini ritornano sempre più alle antiche tradizioni. Lo si intravede nella rielaborazione dei piatti tradizionali da parte dei grandi chef, nelle persone che vanno a lezione di danza folkloristica, nella celebrazione del Natale. È chiaro che molte delle tradizioni ormai non sono più attuali, eppure la voglia di riscoprire le proprie radici è sempre più forte, un riscatto per tutti gli anni di oppressione sovietica, di divieto di celebrare il Natale, di cantare kolyadky.

 

Linkiesta, cultura, 18 dicembre 2024

di Kateryna Kovalenko

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