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Appeasement L’Occidente continua a usare lenti russe

22083358-small-1200x800da Raimondo Giustozzi

È (quantomeno) dal 2014 che, ingannati da una loro scarsa conoscenza dell’Ucraina e dalla propaganda di Putin, gli osservatori delle manovre espansionistiche di Mosca sottovalutano quali siano i veri obiettivi del Cremlino

 

Jakob Hedenskog, Julia Kazdobina, Andras Umland

 

Il 17 luglio 2014, il mondo fu sconvolto dalla notizia dello schianto, in Ucraina orientale, di un aereo della Malaysian Airlines che stava effettuando il volo MH-17 da Amsterdam a Kuala Lumpur. Tutti i passeggeri che si trovavano a bordo di quel Boeing 777 e tutti i componenti dell’equipaggio – in totale 298 persone tra cui 80 bambini – persero la vita. Si trattò di un evento eccezionalmente tragico, ma non fu che uno dei tanti gravi episodi che ebbero luogo quell’anno: nel corso del 2014, si scatenò in Ucraina la più grande guerra che si fosse vista in Europa fin dal 1945, con un’escalation militare, ogni mese sempre più allarmante, da parte della Russia in Crimea e nel Donbas.

Le crescenti tensioni che sarebbero poi sfociate nella guerra furono inizialmente innescate dall’ambizione dell’Ucraina, che si era manifestata a partire dal 2008, di formalizzare un rapporto più stretto con l’Unione europea. Questo desiderio si sarebbe poi concretizzato attraverso un Accordo di associazione, che comprendeva un cosiddetto Accordo di libero scambio globale e approfondito. Sebbene riguardasse principalmente aspetti economici, quel trattato – che fu messo in cantiere nel 2012 e di cui furono firmate le disposizioni politiche nel 2014 – fu visto da Mosca come una minaccia rivolta alla sua volontà di continuare a esercitare un controllo sull’Ucraina e come un pericoloso modello che altre ex Repubbliche sovietiche avrebbero potuto seguire.

La Russia diede inizio alla guerra nel febbraio del 2014 con l’occupazione armata della Crimea da parte delle sue truppe regolari. Poi, nel mese di marzo, annesse la penisola. A ciò fece seguito, nell’aprile 2014, l’incursione di truppe irregolari russe – avventurieri paramilitari, estremisti politici e cosacchi – nel Donbas. Nel corso del mese di maggio del 2014, si registrò, tra le altre cose, una violenta escalation degli scontri di piazza a Odesa che causò più di quaranta morti. Nel mese di giugno, fu abbattuto un aereo da trasporto ucraino Il-76 che stava compiendo una manovra di avvicinamento all’aeroporto di Luhansk. Persero la vita tutti i membri dell’equipaggio e i soldati che si trovavano a bordo, in tutto quarantanove persone. Il volo MH-17 fu abbattuto a luglio. Infine, a metà agosto, le truppe regolari russe iniziarono una vera invasione dell’Ucraina orientale.

Per sei mesi si assistette quindi a un continuo susseguirsi di attività militari russe sempre più aggressive sul territorio ucraino e di violazioni sempre più gravi del diritto internazionale nel cuore dell’Europa. Ciò nonostante, l’Occidente reagì timidamente, limitandosi a fare dichiarazioni politiche e a introdurre misure punitive di modesta portata. Solo alla fine di luglio 2014, subito dopo l’abbattimento del volo MH-17 da parte della Russia, l’Unione europea adottò delle sanzioni economiche settoriali ai danni di Mosca. Quelle sanzioni furono annunciate il 29 luglio 2014, quando l’esercito ucraino era alle prese con l’aggressione nel Donbas. In quel momento, l’Unione europea non individuava alcuna necessità urgente di imporre ulteriori misure punitive, poiché sembrava che Kyjiv avrebbe avuto la meglio entro la fine dell’estate negli scontri in atto nell’Ucraina orientale. Nel momento in cui l’Ue introdusse le sue prime sanzioni settoriali – che fino al febbraio del 2022 sarebbero rimaste le misure più severe adottate dall’Occidente – non era ancora prevedibile che l’avanzata dell’esercito di Kyjiv in Ucraina orientale contro le truppe irregolari dirette da Mosca sarebbe invece stata respinta un mese dopo in seguito al massiccio dispiegamento nel Donbas di truppe regolari russe.

Tutti questi elementi mostrano chiaramente che questo primo ciclo di sanzioni occidentali aveva solo una relazione indiretta con l’Ucraina: la ragione principale per la quale furono adottate quelle misure fu l’uccisione, di cui si era resa responsabile la Russia, dei molti cittadini dell’Unione europea (soprattutto olandesi) che viaggiavano sul volo della Malaysian Airlines del 17 luglio 2014 e non la violenza indiscriminata esercitata dalla Russia, già nei tre mesi precedenti, contro i cittadini ucraini. Quel conflitto armato avrebbe poi continuato a sobbollire per più di sette anni, provocando migliaia di vittime ucraine. Tuttavia, poiché in quel lasso di tempo non si verificarono ulteriori stragi di cittadini europei o di altri stranieri, l’Occidente prese ben poche misure aggiuntive al riguardo.

Solo in seguito all’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata il 24 febbraio 2022, l’Occidente ha iniziato a prendere coscienza del fatto che la Russia è uno Stato “revisionista” che cerca di imporre la propria visione dell’ordine e della sicurezza in Europa. A dire il vero, già in occasione del suo discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, e poi numerose altre volte, il presidente Vladimir Putin aveva manifestato quali fossero le sue intenzioni. Tuttavia, quando nel 2014 la Russia aveva avviato la sua aggressione dissimulata all’Ucraina, molti in Occidente credevano ancora che ciò fosse il risultato di un reciproco malinteso e che gli obiettivi della Russia fossero circoscritti. Solo molto più tardi sarebbe diventato chiaro ai più che le cose non stavano così – e che quindi questa nuova situazione richiedeva che si adottassero delle misure diverse da quelle già sperimentate in altri conflitti interetnici.

Tra il 2014 e il 2022 la guerra del Donbas è stata spesso interpretata come un conflitto intra-ucraino che poteva essere risolto senza tenere conto del più ampio contesto della politica estera russa. Questi sforzi non solo si sono rivelati vani, ma hanno anche portato a un sempre maggiore avventurismo da parte di Mosca. Ma come mai l’Occidente non è riuscito, per così tanto tempo, a fare una diagnosi corretta della situazione? E in che modo è importante tenere conto anche oggi delle lezioni che quel fallimento ci ha impartito?

Una conoscenza insufficiente delle specificità del Paese
Prima dell’inizio di quell’esplicita intrusione russa del 2014 in Ucraina, i giornalisti, gli analisti e gli studiosi occidentali non si erano accorti, o quasi, di come fin dall’indipendenza dell’Ucraina, nel 1991, le tensioni tra Mosca e Kyjiv fossero sempre state notevoli e di come la Russia si intromettesse nelle questioni interne del Paese vicino. Quando nel 2014 i giornalisti occidentali giunsero in Ucraina per raccontare quello che stava avvenendo, la situazione era ormai caotica e assai difficile da interpretare per chi era diventato solo da poco un “esperto” di Ucraina. A molti di loro – e soprattutto ai reporter che in precedenza avevano lavorato a Mosca – le narrazioni russe dell’escalation regionale nell’Ucraina orientale e meridionale sembravano semplici, comprensibili e sensate. All’epoca c’era ancora, a livello internazionale, un’evidente mancanza di consapevolezza di quale fosse la metodologia ibrida adottata da Mosca nelle sue relazioni estere. Dieci anni fa, erano ancora in pochi a comprendere il nuovo modo russo di fare la guerra, di cui l’Ucraina era un banco di prova e che era già stato sperimentato, almeno in parte, in Moldavia e in Georgia. I tentativi da parte degli ucraini e di altri europei dell’Est, nonché di alcuni analisti occidentali particolarmente avvertiti, di spiegare quale fosse la strategia della Russia erano accolti con scetticismo. Agli osservatori esterni le loro preoccupazioni sembravano esagerate e le loro argomentazioni manichee, se non addirittura complottiste.

I reporter occidentali che erano arrivati in Ucraina orientale nel 2014, “paracadutati” in una situazione di cui sapevano poco, erano stati testimoni delle proteste filorusse e avevano ascoltato perlopiù i cittadini ucraini filorussi. Spesso non erano riusciti a contestualizzare gli eventi a cui assistevano o a valutare correttamente quale fosse la diffusione dei sentimenti filorussi che in quel territorio sembravano loro tanto evidenti. Alcuni degli osservatori stranieri non erano nemmeno in grado di distinguere tra i residenti del Donbas e i “turisti politici” provenienti dai vicini oblast russi che avevano attraversato il confine tra i due Paesi come avventurieri o erano stati trasportati in autobus in Ucraina per partecipare alla “primavera russa”. Alcuni degli agenti di Mosca nel Donbas si erano trasferiti in Ucraina da alcuni territori controllati dalla Russia per quanto posti fuori dai suoi confini, come ad esempio la Transnistria, e questo rendeva più difficile individuare la misura del coinvolgimento russo in una “ribellione” apparentemente locale.

I giornalisti favorevoli all’Ucraina e quelli che nel Donbas manifestavano opinioni politiche anti separatiste dovevano invece affrontare minacce esplicite e violenze fisiche provenienti dai loro avversari, che erano spesso agli ordini di Mosca. La gente del posto favorevole all’Ucraina era spesso impossibilitata a esprimersi pubblicamente e rimaneva quindi invisibile ai giornalisti in visita. Tra il 2014 e il 2021 non pochi abitanti dell’Ucraina orientale che opponevano resistenza alla presa del potere da parte dei filorussi sono stati minacciati, aggrediti, rapiti, feriti in modo grave o segretamente uccisi da truppe irregolari russe o da collaborazionisti locali, molti dei quali (se non tutti) incoraggiati, finanziati o diretti dal Cremlino. Tutto ciò ha preparato la strada all’annessione finale da parte della Russia degli oblast di Donetsk e Luhansk avvenuta nel settembre 2022.

Guardare l’Ucraina attraverso lenti russe
I media occidentali hanno aumentato la loro presenza in Ucraina solo alla fine del 2021, alla vigilia dell’invasione su larga scala. Prima di allora, gran parte dei reportage erano realizzati da corrispondenti che facevano base a Mosca e parlavano solo russo. Come ha detto a Radio Liberty il giornalista e critico dei media ucraino Otar Dovzhenko: «Se vivi in Russia e leggi i media russi, anche se sei americano, tedesco o francese, inizi a guardare quello che avviene in Ucraina, Moldavia e Bielorussia con degli occhi un po’ russi». Il Washington Post ha aperto un suo ufficio in Ucraina nel maggio 2022 e in questa nuova sede è stata inviata l’ex corrispondente da Mosca Isabel Khurshudyan. Anche il New York Times, nel luglio 2022, ha aperto un ufficio a Kyjiv e ha chiamato a guidarlo Andrew E. Kramer, che aveva vissuto in Russia per più di quindici anni. Kramer aveva lavorato presso l’ufficio di Mosca del New York Times e in precedenza aveva scritto degli articoli non obiettivi sull’Ucraina.

La mancanza di equilibrio di Kramer si era vista, ad esempio, in un articolo del febbraio 2022 che riproponeva nel suo titolo – I nazionalisti armati in Ucraina rappresentano una minaccia non solo per la Russia – una formulazione molto in linea con la propaganda ufficiale del Cremlino, di allora e di oggi. Il contenuto di quell’articolo, che fu pubblicato due settimane prima dell’invasione su larga scala da parte della Russia, non era – a differenza del titolo – una rimasticatura delle tesi con cui Putin avrebbe giustificato l’attacco all’Ucraina. Tuttavia, Kramer segnalava la presenza in Ucraina «di decine di gruppi di destra o nazionalisti che rappresenta[va]no una potente forza politica». Il quadro dipinto da Kramer in quel suo articolo travisava il panorama partitico ucraino dei mesi iniziali del 2022 e attribuiva alla destra radicale ucraina un peso sproporzionato, seguendo una linea molto diffusa nei mass media influenzati dal Cremlino. Probabilmente, un articolo del genere sarebbe stato scritto in modo diverso – o non sarebbe neppure stato scritto – se il suo autore avesse vissuto a Kyjiv anziché a Mosca.

Con il tempo, molti osservatori hanno imparato a essere più critici nei confronti delle narrazioni russe, ma talvolta agisce ancora in loro un pregiudizio inconscio. Le persone tendono a conservare le loro interpretazioni iniziali. Serve del tempo e bisogna fare uno sforzo per “disimparare” quelle narrazioni e quelle spiegazioni che la propaganda russa può continuare a sfruttare.

Distinguere i fatti dalla fiction
I segnali che mostravano un coinvolgimento diretto della Russia in molti avvenimenti sospetti che accadevano in Donbas sono stati numerosi fin dall’aprile 2014, se non addirittura da prima. La maggior parte degli ucraini aveva capito intuitivamente fin dai primi giorni della presunta ribellione che c’era qualcosa di strano – e cioè che quella guerra era stata iniziata, diretta e finanziata dalla Russia. Al contrario, l’Occidente ha impiegato molto tempo per individuare, chiarire e verificare la realtà dei fatti e per smentire le molte bugie che la nascondevano.

In linea di principio, l’adozione di un approccio cauto alle informazioni provenienti dalle zone di guerra è una scelta opportuna, che aiuta a non commettere errori giornalistici, a non diffondere informazioni errate e a non suscitare un’inutile emotività. A volte, però, questa cautela impedisce ai corrispondenti e agli analisti di esprimere tempestivamente quelle valutazioni e quelle interpretazioni di cui ci sarebbe grande bisogno. In ogni caso, la lenta reazione degli osservatori occidentali agli eventi che si stavano verificando nell’Ucraina meridionale e orientale ha lasciato uno spazio vuoto che Mosca ha riempito di disinformazione, di mezze verità e di narrazioni apologetiche, molte delle quali, anche ora che sono state sfatate, continuano a circolare nei social e anche in alcuni media tradizionali.

La riluttanza occidentale a prendere una posizione e ad agire di conseguenza nel 2014-21 ha avuto esiti particolarmente infelici per quanto riguarda la posizione giuridica e la natura politica dei due staterelli-satellite creati artificialmente dalla Russia nel Donbas, la cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk e la cosiddetta Repubblica popolare di Lugansk, le cui sigle erano rispettivamente (dal loro nome in russo) Dnr e LNR. Il governo ucraino aveva continuato ad affermare per tutti quegli anni che la Dnr e la Lnr non esistevano come entità indipendenti: infatti, dalla loro creazione fino al loro smantellamento, nel mese di settembre 2022, quei due pseudo-Stati non sono stati altro che dei regimi-fantoccio manovrati dalla Russia.

Tuttavia, è stato solo alla fine del 2022, quando la Dnr e la Lnr erano già scomparse come entità pseudo-indipendenti, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato ufficialmente che le cose stavano così: infatti, nella sua sentenza sulla parziale ammissibilità del caso riguardante il volo MH-17, la Corte ha stabilito che la Russia aveva esercitato un effettivo controllo sui territori della Dnr e della Lnr fin dalla loro creazione nel maggio del 2014. In precedenza, per quasi nove anni, c’erano state visioni contrapposte sulla vera natura della presunta “insurrezione” nell’Ucraina orientale e delle “Repubbliche popolari”. Nel dibattito politico e in quello accademico, così come in qualsiasi altra discussione pubblica, la si considerava una questione controversa – e talvolta questo avviene ancora.

 

 

L’Occidente ha un’immagine proiettiva della Russia
Molti politici dell’Europa occidentale sono guidati dal paradigma della risoluzione pacifica dei conflitti, nato nel Secondo dopoguerra dall’impegno a non consentire mai più guerre e genocidi in Europa. A lungo questi stessi politici erano stati convinti che anche la Russia avesse appreso la stessa lezione dalla Seconda guerra mondiale e avevano quindi continuato a ignorare i segnali sempre più evidenti che indicavano come Mosca fosse invece guidata da valori diversi. Gli obiettivi finali e la strategia complessiva della Russia sono rimasti poco chiari fino all’inizio del 2022.

Questo problema cognitivo è il risultato di un divario fondamentale, ancora non del tutto riconosciuto, tra l’ottica neo imperiale russa e quella postcoloniale occidentale. Esso deriva anche da una differenza tra il modus operandi internazionale di Mosca e la cultura strategica occidentale che ha preso piede nel Dopoguerra erra. Il modus operandi russo è agile, flessibile, cinico, amorale e orientato agli obiettivi; inoltre, si sviluppa per tentativi ed errori. Il Cremlino cerca di individuare i punti vulnerabili che può sfruttare a suo vantaggio e preferisce portare attacchi che rimangano al di sotto della soglia che farebbe scattare una rappresaglia, protraendoli il più a lungo possibile.

Gli Stati e le organizzazioni internazionali occidentali hanno cercato di affrontare le crisi che emergevano dalle azioni russe caso per caso, dando priorità, di volta in volta, allo scenario di crisi più “caldo” in quel momento. Non hanno quindi affrontato adeguatamente il grande disegno di Mosca di sovversione flessibile né quella sua strategia di creazione del caos a più ampio raggio che si cela dietro alle “misure attive”, ovvero ai vari tipi di intervento elaborati a suo tempo dal Kgb. Inizialmente, alcuni osservatori stranieri erano persino riluttanti a riconoscere che l’incursione della Russia nel Donbas costituisse una continuazione dell’annessione della Crimea. Tuttavia, nel corso del 2014, grazie a nuove rivelazioni giornalistiche e visto che l’escalation russa era ogni settimana più evidente, era apparso sempre più ovvio che il confronto armato nell’Ucraina orientale era stato avviato deliberatamente. Ed era anche diventato sempre più chiaro che una delle due parti stava alimentando il conflitto sotto mentite spoglie. Ciò nonostante, fino all’inizio del 2022 era ancora di diffusa l’ingenua convinzione secondo cui la Russia continuava a muovere guerra all’Ucraina orientale nel contesto di un malaugurato contrasto tra interessi locali ugualmente legittimi ma divergenti, che si sarebbero dovuti ricomporre attraverso negoziati, discussioni e mediazioni congiunte.

La Russia manipola gli scenari di risoluzione del conflitto
Mettendo in atto alcune tattiche note come “controllo riflessivo” ed “escalation controllata”, la leadership russa ha utilizzato l’aggressione strumentale compiuta attraverso i propri emissari per imporre la propria volontà all’Ucraina e per diffondere la propria idea del conflitto tra i partner occidentali di Kyjiv. Comportamenti palesemente belligeranti si sono alternati ad apparenti de-escalation e a finte concessioni per ingannare i politici e i diplomatici occidentali e indurli a sperare che fosse ancora possibile una risoluzione pacifica del conflitto. Ad esempio, come richiesto da Vladimir Putin alla Camera alta del Parlamento russo, nel giugno 2014 il Consiglio della Federazione ritirò la precedente autorizzazione, che era stata concessa nel marzo 2014 al presidente, di utilizzare le truppe russe in Ucraina. Questa mossa avrebbe dovuto dare l’impressione di essere il viatico per una soluzione negoziata del conflitto.

Se da un lato intere unità delle forze terrestri regolari russe sarebbero entrate massicciamente in Ucraina a metà agosto 2014 e avrebbero continuato a essere schierate segretamente nel Donbas anche in seguito, dall’altro il progetto Novorossiya (Nuova Russia), che avrebbe dovuto condurre Mosca a sottrarre l’intero Sud-Est ucraino al controllo di Kyjiv sarebbe però stato sospeso nell’ottobre 2014. Quel cambiamento nella retorica del Cremlino fu percepito da molti come un gesto di distensione, ma si trattava semplicemente di una ritirata tattica da parte di Mosca. Il progetto sarebbe stato infatti ripreso otto anni dopo in relazione all’“operazione militare speciale” e viene oggi perseguito attraverso un dispiegamento su larga scala, non dissimulato, delle forze regolari russe.

In Ucraina, così come altrove, la partecipazione della Russia alla negoziazione di un qualche accordo con l’avversario è spesso accompagnata da un’escalation militare pianificata per esercitare la massima pressione sull’interlocutore. Nell’estate del 2014 e nell’inverno a cavallo tra il 2014 e il 2015, gli accordi di Minsk furono preceduti da massicce incursioni di truppe regolari russe in Ucraina e assalti alle truppe ucraine in palese violazione di quanto era già stato stipulato in precedenza con Kyjiv. Nel corso dei colloqui, Mosca continuò a offrire dei promemoria per ricordare come essa fosse sempre pronta all’aggressione e a nuove escalation. Prima, dopo e durante le negoziazioni continuò attivamente a dispiegare sia le sue forze regolari sia quelle che agivano per procura – e avrebbe continuato a farlo, perlopiù impunemente, fino al 2022. Allo stesso tempo, Mosca manteneva la sua piena partecipazione al Normandy Format, al Gruppo di contatto trilaterale (Processo di Minsk) e a due missioni di osservazione speciale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), alimentando così l’illusione che una risoluzione paci fica fosse ancora possibile.

L’adozione da parte della Russia di un’aggressività dosata e, a volte, limitata non è stata un segno di moderazione. Al contrario, questa tattica è stata concepita da Mosca per perseguire i propri obiettivi pur evitando il più a lungo possibile un impegno militare esplicito e massiccio che avrebbe potuto innescare rappresaglie. Le mosse apparentemente concilianti e le tattiche di stallo di Mosca sono riuscite a ingannare molti osservatori occidentali. Il procedere a zigzag del Cremlino ha fornito a lungo a diplomatici e osservatori che si occupavano con superficialità della questione gli elementi che permettevano loro di affermare che fosse ancora possibile una soluzione paci fica del con flitto. Nel frattempo, la Russia ha consolidato il proprio controllo sui territori conquistati e ha preparato le sue mosse successive.

L’autoinganno è proseguito anche in seguito all’invasione su larga scala
È stato solo in seguito all’invasione su larga scala del 24 febbraio 2022 che l’Occidente si è svegliato, entrando in azione in modo deciso e imponendo sanzioni economiche rilevanti alla Russia. Poco dopo, i Paesi occidentali hanno iniziato a fornire all’Ucraina anche armi pesanti. Ci sarebbero stati buoni motivi per farlo già nel 2014, quando alcuni territori ucraini erano stati invasi e annessi dalle truppe regolari e irregolari russe. Ma l’Occidente, scambiando per moderazione l’uso limitato della forza da parte della Russia (che cercava di non superare quella soglia oltre la quale si sarebbe scatenata una rappresaglia), si era invece limitato a gestire l’escalation. E, di conseguenza, il conflitto non aveva fatto che aggravarsi. Peggio ancora: alcuni tipi di autoinganno occidentale sono continuati anche dopo l’invasione su larga scala. Ad esempio, il processo olandese del 2022 a quattro combattenti – tre cittadini russi e uno ucraino – che dieci anni prima avevano partecipato all’operazione russa nel Donbas che aveva portato all’abbattimento del volo MH-17, è stato un procedimento ambiguo. Gli investigatori olandesi, i pubblici ministeri e il tribunale hanno fatto un ottimo lavoro nel definire i dettagli materiali di quel crimine di massa. Tuttavia, la sentenza ha poi curiosamente attribuito la responsabilità a tre combattenti paramilitari invece che all’esercito e allo Stato russo.

La Corte ha ritenuto che i «combattenti della Repubblica popolare di Donetsk e quindi anche i tre imputati» non potessero «essere considerati parte delle forze armate della Federazione Russa». Ha anche riconosciuto che «l’uso di un [sistema missilistico] Buk TELAR […] richiede un equipaggio altamente addestrato» e, inoltre, «che l’arma non può essere dislocata con facilità». Ciò nonostante, il tribunale ha deciso di «ritenere legalmente e definitivamente provato che [Igor] Girkin [un ex ufficiale dell’FSB che aveva svolto, come combattente irregolare, un ruolo importante nell’annessione illegale della Crimea e nell’attacco militare all’Ucraina orientale da parte della Russia] fosse nella posizione di poter decidere la dislocazione e l’utilizzo del Buk TELAR». Si è trattato di una conclusione bizzarra, dal momento che Girkin e gli altri combattenti paramilitari non erano nella posizione di dare ordini ai soldati russi regolari che operavano con il sistema Buk. La responsabilità della strage dei 298 civili a bordo del volo MH-17 è invece degli ufficiali e dei generali delle forze armate russe, nonché del loro comandante in capo, Vladimir Putin. I piccoli avventurieri irregolari russi o ucraini presenti sul posto hanno semplicemente dato una mano ai soldati russi affinché questi si orientassero nell’Ucraina orientale.

Questo esempio dimostra che oggi è importante basarsi sull’esperienza della guerra russa nel Donbas del 2014-2022 e sull’osservazione del comportamento di Mosca in altre aree dello spazio post-sovietico per poterne poi trarre le opportune conclusioni. È strano che vengano ancora presi sul serio i portavoce russi e filorussi che invocano una rapida soluzione diplomatica: è Mosca che espande quotidianamente la sua occupazione dell’Ucraina, quando invece, se solo smettesse di farlo, porrebbe subito fine alla guerra. Lo schema russo rimane sempre lo stesso: Mosca continua a costruire e a consolidare false narrazioni storiche per poi approfittare delle tensioni sociali che queste sue narrazioni suscitano nei Paesi in cui le diffonde. E si approfitta anche della moderazione politica di questi stessi Paesi. Nel frattempo, compie un’escalation “orizzontale”, evitando così di suscitare reazioni più risolute.

Conclusioni e raccomandazioni sulle politiche da adottare
Coloro che sostengono che per la guerra russo-ucraina si dovrebbe procedere a un negoziato per raggiungere una soluzione analoga a quella degli accordi di Minsk spesso lo fanno partendo dal presupposto che esista ancora un equilibrio stabile o un rapporto di status quo che potrebbe essere stabilito attraverso una semplice contrattazione con Mosca. Questa idea, come abbiamo spiegato più sopra, si basa su un fraintendimento fondamentale per quanto riguarda la mentalità e le politiche del Cremlino. Le radici del conflitto in atto affondano nella natura dittatoriale e imperialista del regime russo, nonché nel suo fondamentale rifiuto del diritto internazionale e dell’Ordine di sicurezza europeo. Le ragioni del conflitto non sono il risultato di un qualche malaugurato squilibrio, di errori diplomatici o di incomprensioni reciproche, la cui correzione può facilmente risolvere il conflitto. La guerra è invece determinata dalla specifica ideologia su cui si fonda e intorno a cui è strutturato il potere di Putin.

Questa conclusione conduce ai seguenti suggerimenti sul modo in cui bisognerebbe agire:
• La storia dell’escalation nel Donbas, così come l’abbiamo spiegata, e l’osservazione di altri comportamenti di Mosca nello spazio post-sovietico forniscono lezioni importanti per l’interpretazione e la risoluzione dell’attuale guerra russo-ucraina su larga scala. Soprattutto, la guerra deve essere universalmente compresa e pubblicamente etichettata come “Problema Russia” e non come “Crisi Ucraina”. Questa sfida lanciata dalla Russia deve essere affrontata e risolta come tale.

  • L’Occidente e gli altri osservatori stranieri non devono farsi di nuovo ingannare da Mosca e non devono considerare gli sviluppi diplomatici, politici, sociali e militari russi come se non fossero correlati fra loro. L’utilità degli strumenti classici per ottenere una pace a livello internazionale – quali la mediazione, la trasformazione e la pacificazione dei conflitti – deve essere valutata con attenzione quando si tratta di una guerra espansionistica neoimperialista con elementi genocidi.
  • Sulla base delle esperienze fallimentari dei precedenti tentativi di pacificazione, e finché non sarà possibile avviare negoziati sensati con la Russia, la necessità più urgente è la fornitura di sostegno militare all’Ucraina. Questo dovrebbe avvenire in modo che, quando dovessero iniziare dei colloqui di pace, Kyjiv possa negoziare da una posizione di forza – a differenza di quanto è avvenuto in occasione dei negoziati di Minsk del 2014-2015 o di quelli di Istanbul del 2022. Un qualsiasi futuro accordo di pace per l’Europa orientale dovrebbe includere serie garanzie di sicurezza e potenti strumenti di deterrenza militare, per far sì che la Russia non possa utilizzare una tregua temporanea per prepararsi a una nuova aggressione.
  • È necessario destinare maggiori risorse allo studio delle varie strategie e tattiche di sovversione, corrosione ed espansione della Russia – quelle più esplicitamente distruttive e quelle dissimulate, quelle ufficiali e quelle segrete, quelle militari e quelle non militari – affinché esse siano poi rese note e si possa imparare ad affrontarle. Oltre a meccanismi di protezione più efficaci, i Paesi e le organizzazioni internazionali occidentali devono sviluppare delle controstrategie ad ampio spettro che non si limitino a proteggere le loro società dalle minacce russe e da altre minacce ibride. I Paesi e le organizzazioni internazionali occidentali, infatti, dovrebbero anche contrastare attivamente gli ideatori, i produttori e i distributori di false informazioni, di discorsi incendiari e di narrazioni che possono condurre verso una qualche escalation. Inoltre, dovrebbero studiare misure più efficaci per difendersi dai malware, dai virus informatici e così via.

Alcuni dei temi contenuti in questo report dello Sceeus erano già stati affrontati in un articolo degli stessi autori intitolato “How the West misunderstood Moscow in Ukraine” e pubblicato su Foreign Policy il 17 luglio 2024.

Julia Kazdobina è senior fellow del Security Studies Program presso il Foreign Policy Council “Ukrainian Prism” di Kyjiv.

Jakob Hedenskog e Andreas Umland sono analisti presso lo Stockholm Centre for Eastern European Studies (Sceeus) e presso lo Swedish Institute of International Affairs (UI).

 

Linkiesta, esteri, 27 dicembre 2024

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