L’Unità Pastorale “Cristo Re – San Pietro” di Civitanova Marche, diocesi di Fermo, propone ogni anno, in occasione delle due feste religiose, quella di Cristo Re e di San Pietro, dei momenti di riflessione. Sono stati ricordati, in anni diversi, come “Testimoni di fede, di pace e di giustizia”: San Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena, Dante Alighieri, Sant’Antonio da Padova, San Filippo Neri, don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, don Tonino Bello, Chiara Lubich. Dopo l’interesse volto al nostro passato lontano e quello a noi più vicino, si è scelto anche di riflettere sulle esperienze di Comunione e Fraternità, presenti nel nostro mondo contemporaneo. La prima scelta è quella della Fraternità Romena. Don Luigi Verdi, il suo fondatore sarà a Civitanova Marche, nella chiesa di Cristo Re, venerdì 22 novembre, 2024, alle ore 20,30 per una veglia sul tema “Non spegnere la gioia”.
Romena è una vecchia pieve medievale, nel comune di Pratovecchio, nel Casentino, alta valle dell’Arno. Fu edificata nel 1152 su iniziativa del pievano Alberico da artigiani locali e maestranze lombarde. Fu costruita, come è scritto in latino, nell’abaco del primo capitello a sinistra, entrando, in “Tempore famis”, al tempo della fame e della carestia. Posta lungo la Romea, la strada percorsa dai pellegrini che si recavano a Roma, era anche un punto di riparo, di sosta e di ristoro. La pieve di Romena ritorna ad essere luogo di ristoro e di salvezza per la decisione del suo fondatore, don Luigi Verdi, che accetta la propria fragilità e con lui con lui tutti quelli che si sono avvicinati al mondo della Fraternità di Romena nel corso di questi trent’anni trascorsi dalla sua fondazione. Sulla storia della Fraternità, rimando al link qui riportato, che vuole essere anche una recensione al libro di Massimo Orlandi, Romena porto di terra.
Massimo Orlandi, Romena porto di terra Prefazione di Luigi Verdi | LO SPECCHIO Magazine
“Il termine gioia viene dal latino “gaudium” che vuol dire ineffabile. È qualcosa che viene da dentro, che non puoi nemmeno quantificare, misurare. Anche il termine gioiello viene da gioia, perché significa splendere, splendente come il sole, e il sole, è vero, che non lo puoi accendere, però lo puoi spegnere chiudendo le finestre o le porte. Così le gioia non puoi venderla, comprarla o regalarla perché non è un bene trasferibile, puoi solo spegnerla. La gioia è un bene interiore, una condizione di ineffabilità. La gioia è sganciata da ciò che avviene intorno a noi, perché affonda le sue radici nella parte più profonda della persona, altrimenti non si spiegherebbe la gioia dei poveri, dei sofferenti, degli ammalati che non avrebbero nessun motivo per essere gioiosi” (Luigi Verdi, Non spegnere la gioia, prefazione Simone Cristicchi, pp. 17- 19, Romena Accoglienza, prima edizione giugno 2024).
Il libriccino, di sole sessantanove pagine, comprese foto meravigliose, che ampliano le verità proposte, è un ottimo strumento di riflessione sul proprio vissuto, sulle scelte fatte, sulle ferite aperte e rimarginate, sul proprio cammino individuale, anche condiviso con gli altri con i quali ci è dato vivere. Molti sorridono, pochi, forse nessuno ride. “Il riso è come una sospensione del cuore che interrompe la trama ordinaria e seriosa dell’esistenza” (Henri Bergson). “L’uomo pensa, Dio ride. Perché l’uomo pesa e la verità gli sfugge” (proverbio ebraico). “Il riso di Dio evidenzia tutta la nostra inconsistenza e banalità”. La gioia non va confusa con la felicità. Pensiamo che la felicità consista nell’avere soldi, potere, successo. Sappiamo che non è così, ma soprattutto sappiamo che qualcuno paga questa nostra felicità e che il mondo è senza gioia perché ci sono uomini troppo avidi di felicità. Questa è condizionata dalla soddisfazione dei desideri, la gioia invece è una conquista.
Noi siamo nati per la gioia e quando ci manca, anche se abbiamo tutto, ci sentiamo delusi, frustrati, insoddisfatti. Vera gioia è amare ed essere amati, veder nascere il sole, contemplare la bellezza, è stare insieme. La vera gioia è quella di essere nato. Qui, don Luigi Verdi ricorda la propria nascita: “Nei primi anni della ma vita ero concentrato solo sulla mia timidezza, sulle mie mani e sui miei piedi nati male e ho passato anni di noia, di ansie, anni in cui mi lamentavo dicendo: “Che schifo la vita”. Come ero nato potevo anche essere soppresso, continua don Luigi nel suo racconto. Bastava poco per farmi morire. “La mia fortuna fu che babbo e mamma dissero: “Si vuole questo figlio, così com’è”. “Da allora amo e lotto per ogni forma di vita, qualunque essa sia e da allora dico: “Che fortuna che sono nato”. “Il modo migliore per realizzare i propri sogni è svegliarsi” (Paul Valéry). “Da allora mi sono svegliato e i sogni che facevo di nascosto hanno messo le ali, sono tornato a sperare e a strappare dalle mani del futuro il fatalismo e la rassegnazione” (pag. 22).
“Molto tempo è passato dall’ultimo incontro con don Luigi Verdi ma l’emozione è sempre la stessa: una dolce voglia a non tirarti indietro ma di aprirti al nuovo che ogni giorno ti fa sentire vivo e parte dell’universo intero senza remore né ripensamenti. Quella gioia che nasce dall’incontro con un altro, un tuo simile che non guardi sdegnosamente ma di cui non hai nemmeno nessun timore perché è una creatura che, come te, cerca di capire la sua dimensione, le sue capacità, il suo essere nel mondo. Una bella dose di vitalità ascoltare le sue esortazioni per i giovani di oggi, per i giovani di un tempo, per i giovani di ogni epoca, che cercano la propria originalità e il coraggio di andare oltre le consuetudini e le paure. Una esortazione per un’apertura alla vita, decisamente parca ma ricchissima di gioia” (Rodolfo). Ho voluto mettere questo contributo di un amico per interrompere momentaneamente la recensione del libro, che va letto solo per uno scopo: imparare ciò che conta veramente nella vita.
Tutti i capitoli successivi del libro vanno proprio in questa direzione: Cosa è che dà gioia nella vita: La gentilezza, un abbraccio, una carezza, la sobrietà, la pace del cuore, stare insieme agli esclusi, rimanere bambino, moltiplicare con gli altri i propri doni ricevuti, la saggezza, la speranza, vincere il male con il bene. Per raggiungere veramente uno stato di gioia perenne, coltivando i semi della gentilezza, della carezza, della sobrietà, dobbiamo buttare alle spalle tutto quell’ottimismo cialtrone che non ci permette di “Ritrovare i frammenti di gioia sparsi a giro per potere tenere a bada le ansie e poter vivere una nuova stagione di libertà”. “L’essenza dell’ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, na forza che non lasca mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé” (Dietrich Bonhoeffer, pp. 11- 13).
Tutto il libriccino è pieno di aforismi, frutto di esperienze maturate negli anni: “La gentilezza cura la vita ferita dall’indifferenza. La gentilezza è una spina a ripartire con uno sguardo al futuro. La tenerezza di una carezza ha un’eco eterna, è una delicatezza al cuore, è come un giorno di primavera. Le carezze sono rare e preziose per questo ne abbiamo tanto bisogno. La sobrietà è virtù difficile da definire, un modo di essere al mondo, una ricerca dell’essenzialità. La sobrietà sa distinguere l’essenziale da ciò che è superfluo. La pace del cuore la trovi quando provi gioia di niente. È uno stato di grazia che non dipende dagli avvenimenti, è una contentezza che basta a se stessa. Condividere è una parola che va di moda, una parola che si pronuncia come un sacramento, ma il dono non si condivide, il dono va moltiplicato. Gesù non chiede ai suoi di dividere tra tutti quel poco e niente che avevano, cinque pani di orzo e un po’ di pesciolini, ma moltiplicò quel che c’era perché tutti potessero mangiare a sazietà e ne avanzasse pure per l’indomani. Per questo non amo la parola condividere ma amo di più la parola moltiplicare”.
“Disperare è non concepire più alcuna possibilità, sentirsi paralizzati, la speranza è invece il segno della possibilità, qualcosa che può ancora e sempre avvenire. Chi spera è capace di guardare, attraversare e accogliere tutte le sue parti e le parti della vita chiare ed opache, ruvide o morbide, buie o splendenti”. “Nella vita tutto è fragile: l’amore, l’amicizia, i confini, la speranza. Sono fragili la tenerezza e le lacrime che, se non fossero tanto fragili, perderebbero la loro bellezza. Toccare la nostra fragilità e dell’altro vuol dire toccare un luogo sacro. Solo chi vuole molto bene alla vita sogna il bene di tutti. Solo chi abbraccia l’imperfezione, accetta la persona come una storia ancora aperta”.
Non spegnere la gioia è un libro imperdibile, da mettere sul comodino, portarlo con sé in macchina, leggerlo spesso perché ogni nuova lettura suggerisce nuove riflessioni, per vivere bene pur in mezzo a difficoltà d’ogni genere. Un’ultima citazione dal libro: “Gesù ha conosciuto la passione e la paura, il dolore del rifiuto, la gioia dell’abbraccio, il brivido per la carezza dei capelli intrisi di nardo dalla sua amica. È un Dio che posa il suo sguardo non sul peccato, ma sulla debolezza, sulle ferite degli uomini e delle donne che incontra, che non giudica, ma tocca e bacia le nostre ferite” (Ibidem, pag. 64).
L’incontro con don Luigi Verdi della Fraternità Romena è per venerdì 22 novembre 2024, alle ore 20,30, nella chiesa di Cristo Re a Civitanova Marche, Unità Pastorale Cristo Re – San Pietro, arcidiocesi di Fermo. È un caldo invito ad intervenire numerosi. Affabilità, empatia, semplicità nell’esposizione, animata da slides e canti presi dai grandi successi musicali di cantautori di ieri e di oggi, da Fabrizio De André a Simone Cristicchi, sono le caratteristiche di ogni incontro con don Luigi Verdi.
Raimondo Giustozzi
Invia un commento