di Alan Friedman
In “La fine dell’impero americano” (La Nave di Teseo), Alan Friedman descrive il declino dell’assetto liberale occidentale diffuso dagli Stati Uniti a partire dal Secondo dopoguerra, e l’emersione di modelli economici e geopolitici alternativi
Un mondo senza ordine. Com’è fatto? Che aspetto ha? Possiamo provare a immaginarcelo, prendendo il presente come punto di partenza. Nel Nuovo Disordine Mondiale, gli ingranaggi dell’ordine liberale occidentale nato nel dopoguerra sono arrugginiti. La macchina scricchiola. Ci sono due grandi potenze che si contendono il potere economico e militare: la Cina da una parte, gli Stati Uniti dall’altra.
Il Sud globale gioca una partita tutta sua, cambiando casacca a seconda del momento, e in ogni caso sa che avrà sempre un amico a Pechino. Nel frattempo l’isolamento in cui sono finiti gli Stati Uniti, che sia per scelta o come conseguenza delle loro azioni, non fa che acuirsi.
L’Europa è divisa, non parla con una voce unica, e non ha un vero peso negli affari mondiali. Anzi, il Vecchio Continente è alle prese al suo interno con una crisi esistenziale. In tutto questo Putin continua a portare in scena le sue fantasie zariste, e pazienza se il prezzo da pagare è un’orripilante strage in Europa, in Ucraina e altrove. La guerra ibrida che ha lanciato contro l’Occidente tocca ormai venti paesi africani, Libia compresa; tra i suoi alleati ci sono gli ayatollah di Teheran, i miliziani di Hamas e di Hezbollah, gli Houthi, Bashar al-Assad in Siria, pure la Corea del Nord.
Ma anche Brasile, Sudafrica e India sono amici suoi. I fondi con cui foraggia i partiti estremisti dell’Unione Europea continuano a dare i loro frutti. L’America è sulla difensiva. Washington non è più al comando, si limita a reagire agli eventi. La Cina allarga i confini del suo soft power, e nel frattempo mostra i muscoli dal punto di vista militare: detta l’agenda, persegue i suoi obiettivi, e ovunque veda uno spiraglio cerca di scalzare l’influenza americana.
Il crescente livello di cooperazione tra Cina e Russia ha ridotto Putin al rango di vassallo di Xi Jinping, ma su una cosa i due leader sono sullo stesso piano, ed è la ferrea volontà di destabilizzare l’attuale ordine mondiale a trazione americana. Nel maggio 2024, durante una visita a Pechino, Putin si è accodato al presidente Xi Jinping nel condannare quello che di comune accordo hanno definito il “comportamento aggressivo” di Washington. «Gli Stati Uniti ragionano ancora nei termini della Guerra fredda e sono guidati dalla logica del confronto tra blocchi, anteponendo la sicurezza di gruppi ristrettì alla sicurezza e alla stabilità regionale, il che crea una minaccia alla sicurezza di tutti i paesi della regione», hanno affermato i due dittatori in una dichiarazione congiunta.
Anche i rapporti tra Russia e Iran si fondano sull’assunto condiviso che Washington è il nemico – oltre che naturalmente sui missili e sui droni che Teheran fornisce a Mosca affinché possa portare avanti la guerra in Ucraina. Putin ha bisogno di armamenti per tenere ben oliata la sua macchina bellica, e questa necessità è alla base anche dell’amicizia con la Corea del Nord. In un’ottica più ampia, tuttavia, le vere fondamenta di questi rapporti sono le dinamiche di gruppo che si innescano tra dittatori affini nello spirito. Cina, Russia, Corea del Nord e Iran condividono il disprezzo per l’ordine. In questo nuovo mondo di influenza americana declinante, di lealtà mutevoli e di diplomazia transazionale, stanno emergendo sei potenze di medio rango. In tempo di elezioni, in America si parla di Swing States, ovvero quegli Stati in cui il responso delle urne è incerto e potrebbero quindi finire ai repubblicani come ai democratici: potremmo dire che queste sei potenze – Brasile, India, Indonesia, Arabia Saudita, Sudafrica e Turchia – sono gli Swing States del globo.
Potenze di medio livello che messe tutte insieme hanno un peso geopolitico sufficiente a influenzare la traiettoria futura dell’ordine internazionale affinché rispecchi le loro preferenze politiche. William Burns, direttore della CIA, ha ammesso apertamente che l’architettura del potere mondiale è mutevole. In un articolo apparso su Foreign Affairs, ha riassunto in questi termini il declino dell’influenza americana: «In questo mondo instabile e diviso, “coprirsi le spalle” senza prendere una posizione netta è una scelta sempre più diffusa. Le democrazie e le autocrazie, le economie sviluppate e quelle in via di sviluppo, come anche i paesi del Sud globale, sono sempre più intenzionati a diversificare i loro rapporti esteri per massimizzare le opzioni che hanno a disposizione. Restare fedeli a relazioni geopolitiche monogame con gli Stati Uniti o con la Cina è un’opzione che ai loro occhi presenta pochi benefici e molti rischi».
Nel Nuovo Disordine Mondiale, gli Stati Uniti non sono più la nazione indispensabile, il partner che tutti cercano. Nessuno vuole più sentir parlare di eccezionalismo americano. Stiamo vivendo un periodo insidioso, la geopolitica è un’infida distesa di sabbie mobili, e in uno scenario del genere è probabile che la propensione al conflitto aumenti. Se le regole occidentali non contano più niente, avremo meno modi a disposizione per fermare le guerre prima che scoppino.
Lo stato di diritto sarà meno importante della legge della giungla. Le democrazie dell’Occidente saranno come una grande isola, o un arcipelago. E forse prima o poi si arriverà al punto di svolta in cui al mondo ci saranno più democrazie illiberali, dittature e Stati canaglia che democrazie liberali. È un epilogo più che possibile.
Quello che stiamo descrivendo non è un lontano futuro. Abbiamo già raggiunto una fase storica in cui la credibilità e l’influenza dell’America hanno subito un netto appannamento. Sembra evidente che ci troviamo di fronte al crepuscolo dell’impero americano. Non è la fine, non ancora, ma è lampante che stiamo attraversando gli ultimi decenni del secolo americano iniziato nel 1945, e anzi abbiamo già fatto un bel pezzo di strada.
E poiché in molti paesi la democrazia liberale è andata incontro a una strana morte, l’ordine mondiale occidentale non verrà rimpiazzato da un’alternativa ben delineata. Il liberalismo è sotto assedio da più di cento anni. L’Inghilterra liberale è morta nel 1911, mentre il liberalismo americano ha cominciato a mostrare la corda già negli anni Novanta e Duemila.
Xi Jinping non ha torto quando dice che il mondo si trova ad affrontare grandi cambiamenti e riallineamenti come non se ne vedevano da un secolo. Stiamo entrando in un periodo di transizione prolungata, questo è chiaro, una fase di geopolitica a geometrie variabili imperniata su tutta una serie di alleanze politiche, militari ed economiche di carattere transazionale.
Un mondo di fuorilegge che sfidano l’ordine liberale globale. E molti di loro si radunano nel gruppo dei paesi antiamericani. Allo stesso tempo, il mondo sta ancora attraversando una fase di profonda ingiustizia economica e sociale, di drammatiche disparità di reddito, di guerre e di terrorismo. Di sconvolgimenti tecnologici e di sistemi basati sull’intelligenza artificiale che bruciano posti di lavoro. In tutto questo va in scena l’orrido spettacolo offerto dagli Stati Uniti dell’Amnesia afflitti da una violenza politica interna sempre più grave e dal collasso della coesione sociale in quella che fino a oggi è stata la più importante democrazia del pianeta.
Linkiesta, Cultura, 08 ottobre 2024,
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