bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
settembre 2024
L M M G V S D
« Ago   Ott »
 1
2345678
9101112131415
16171819202122
23242526272829
30  

Colonizzazione culturale Mosca ha avviato la pulizia linguistica della Bielorussia

lInkiesta

lInkiesta

Negli ultimi trent’anni il Paese ex sovietico si è progressivamente avvicinato a Mosca. Oggi solo il nove per cento degli studenti riceve insegnamenti nella lingua madre, e la sensazione è che questa quota possa ulteriormente diminuire in futuro.

 

È il 1918 quando Branislau Taraskevic, letterato e politico nato vicino a Vilnius, rende il bielorusso lingua ufficiale della neonata Repubblica Nazionale Bielorussa. L’idioma, chiamato anche Taraskevica in onore del suo promotore, prende le mosse da un dialetto orale parlato dalle masse contadine nelle regioni centro-settentrionali dell’impero zarista. A poco più di un secolo dalla sua codificazione, il bielorusso è a serio rischio d’estinzione per via della crescente diffusione del russo nel Paese.

Quest’anno, nella stragrande maggioranza delle scuole dell’ex repubblica sovietica, secondo quanto riporta l’Associated Press, le lezioni si terranno nella lingua di Mosca, mentre solo il nove per cento dei ragazzi studierà in bielorusso. Si tratta di una quota esigua, peraltro in netto calo rispetto al quaranta per cento registrato nel 1994, quando al governo del Paese si insediò Aljaksandr Lukashenko. Nel corso dei suoi sei mandati consecutivi, l’autocrate di Minsk ha portato avanti una serie di iniziative di avvicinamento a Mosca con l’intento di erodere la coscienza nazionale della popolazione e favorire la penetrazione culturale della Russia.

Ma facciamo un passo indietro. La Bielorussia aveva iniziato a sviluppare un’identità patriottica già qualche anno prima della fine dell’Urss (nel 1991), sostituendo alla falce e il martello la bandiera nazionale e riappropriandosi della propria grammatica. Non era stato un processo privo di traumi. Il bielorusso entrava infatti ex abrupto nella vita di persone che, avendo sempre parlato russo, non lo conoscevano. I cartelli cambiarono dicitura, vennero riscritti i documenti ufficiali, e molti cittadini rimasero sconvolti dal repentino cambiamento introdotto dalle istituzioni.

Per questa ragione, la svolta nazionalistica dell’epoca non riuscì a rappresentare una valida alternativa all’ideologia sovietica, persistente soprattutto nelle zone rurali. Ideologia di cui Lukashenko, col suo populismo di uomo delle campagne, si faceva opportunisticamente portavoce candidandosi alle presidenziali. Dopo aver vinto le elezioni, probabilmente le uniche in cui si guadagnò veramente i voti dichiarati, nel 1995 Lukashenko fece un referendum in cui chiese ai cittadini se volessero unicamente il bielorusso come lingua di Stato. Più dell’ottanta per cento dei votanti si espresse per il mantenimento di entrambe le lingue, sia il bielorusso che il russo.

La mossa si rivelò vincente per il nuovo capo di Stato. Ripristinando la vecchia cultura dell’Urss e tornando a guardare a Mosca come modello, Lukashenko si garantì il sostegno popolare per parecchio tempo. In anni recenti, però, questo appoggio è venuto meno, complici l’estinzione del retaggio sovietico e il rinnovo delle generazioni. Nella primavera del 2020, infatti, in Bielorussia hanno avuto luogo le più grandi proteste contro la classe dirigente nella storia dell’ex repubblica sovietica.

A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, migliaia di cittadini bielorussi sono scesi in piazza per contestare la politica antidemocratica di Lukashenko e per chiederne le dimissioni. Le manifestazioni, tuttavia, non hanno avuto l’effetto desiderato e l’autocrate si è mantenuto al potere. Provvidenziale, nella fattispecie, l’intervento di Vladimir Putin, che ha condotto una violenta campagna di repressione nei confronti degli oppositori politici.

Quel gesto ha aperto una nuova fase dei rapporti tra i due leader. Se in precedenza Lukashenko aveva sempre guardato alla Russia come punto di riferimento politico e culturale, badando però a non avvicinarsi troppo, da quel momento si è ritrovato in una condizione di sudditanza rispetto al Cremlino. Nei mesi seguenti, l’agenda di Minsk ha così finito per sovrapporsi sempre più a quella di Mosca. L’appoggio militare e politico di Lukashenko alla guerra di invasione di Putin è stato l’emblema di questo sodalizio.

Un’intesa tra potenze autocratiche che si è spinta fino alla totale omologazione culturale e linguistica. «Nulla di grande può essere espresso in bielorusso… Ci sono solo due grandi lingue al mondo: il russo e l’inglese», ha dichiarato Lukashenko, rinnegando di fatto l’idioma della sua terra.

Alla luce di ciò, il bielorusso risulta un vero e proprio baluardo identitario per i molti cittadini contrari alla linea della classe dirigente. «Parlare bielorusso è una scelta politica nel Paese», spiega a Linkiesta Alessandro Achilli, Docente di Letteratura russa presso l’Università di Cagliari. «Oggi sono in pochi a usarlo quotidianamente. Oltre agli abitanti delle regioni rurali – peraltro in progressiva diminuzione per ragioni anagrafiche – a conservare la lingua madre nelle conversazioni sono gli esponenti dell’intellighenzia urbana di Minsk».

Ma la vanificazione dell’identità bielorussa non riguarda solo la lingua. Come nei peggiori regimi dittatoriali, anche la letteratura è stata messa al bando. Scrivere e pubblicare libri in bielorusso è quasi impossibile: sono pochissimi gli autori che riescono a produrre testi nella lingua madre, eludendo la censura del governo. «Opere scritte in bielorusso sono considerate trasgressive dal governo, a prescindere dal loro contenuto», spiega Achilli. «Autori e autrici vengono puniti con severe detenzioni, che possono coinvolgere anche i loro famigliari».

Chi vuole esprimersi liberamente, dunque, lo fa dall’estero. A partire dal 2020 molti scrittori bielorussi si sono trasferiti all’estero per evitare la prigionia e la tortura. Una delle voci più rilevanti è quella del romanziere e poeta Alhierd Bacharevič, emigrato in Europa assieme a sua moglie Julia Cimafiejeva, anche lei autrice di testi in versi e in prosa. Negli ultimi anni la coppia ha vissuto tra Germania, Svizzera e Austria e le loro opere sono state tradotte e pubblicate da diverse case editrici europee.

Prima di lasciare la Bielorussia, Bacharevič aveva dato prova della sua avversione al regime filo-russo di Lukashenko. A metà del 2020 aveva iniziato a redigere un romanzo fantasy incentrato sulla figura di una donna extraterrestre che avrebbe portato la rivoluzione sulla Terra. Non lo concluse mai perché, come sostenuto dallo stesso autore, una rivoluzione pacifica contro il governo di Lukashenko era già in atto nel Paese.

Inoltre, a seguito del coinvolgimento della Bielorussia nella guerra d’invasione russa in Ucraina, nel marzo del 2022 Bacharevič pubblicò una lettera in cui esprimeva vergogna e senso di colpa per l’iniziativa militare del proprio Paese. Nei mesi successivi, questa decisione costò allo scrittore numerosi attacchi mediatici da parte di sostenitori del regime.

Nello stesso periodo il governo bielorusso si mise sulle sue tracce. A luglio, le copie del suo libro “Cani d’Europa” (2017) sono state confiscate dalle autorità governative e distrutte con un trattore in un campo. L’opera, una cupa distopia sul destino del proprio Paese, si componeva di sei trame intrecciate, ognuna delle quali può essere considerata autonomamente. Di queste, due in particolare potrebbero aver fatto “saltare la mosca al naso” al governo di Minsk.

La prima narra di una Bielorussia del 2049, priva della propria indipendenza e soggiogata al potere della Russia. La seconda ruota attorno alla misteriosa scomparsa di un poeta che scrive versi in una lingua a lui sconosciuta. Ed è in questa vicenda che Bacharevič racchiude la sua riflessione sulla lingua, interpretando un pensiero diffuso tra i molti bielorussi contrari al regime di Lukashenko: il rifiuto della cultura e della lingua nativa porta all’estinzione degli esseri viventi.

 

Linkiesta, Esteri, 27 settembre 2024

di Alessandro Dowlatshahi

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>