di Lorenzo Spurio
Dopo il volume Eppure ancora i nespoli. Dissertazioni sullo haiku 1 , pubblicato nel 2020,
il poeta haijin e studioso di poetiche orientali Antonio Sacco ritorna con una nuova
interessante e ricca pubblicazione sul tema. Per la medesima casa editrice, infatti, è da
poco uscito il volume Manuale di scrittura haikai che, con un linguaggio fresco e
dissertazioni piacevoli alla lettura, fornisce una grande quantità di informazioni in merito al
mondo dell’haiku, alla tradizione e al contesto nel quale nasce e si sviluppa il dato genere
e le derivazioni che, nel nostro Paese, ha avuto. Il libro si presenta di facile consultazione
e fornisce risposte chiare e precise a molti dilemmi, aiutando così tanto gli haijin che si
misurano con questo genere, quanto i neofiti curiosi, a comprendere meglio l’universo
della scrittura haikai.
Sacco, come già rivelato, ha dedicato negli ultimi anni una serie di scritti critici alla
scrittura degli haiku mettendo in luce come, contrariamente a quanto comunemente si
pensi, sia delicato il mondo della scrittura di queste piccole perle poetiche. Vi sono, infatti,
dei requisiti importanti da poter seguire (che vanno ben oltre ai caratteri metrici dello
schema sillabico 5-7-5 nei tre versi) che sono radicati in primis nella sensibilità dello
scrivente e il suo sguardo verso la natura.
Molti dei contenuti qui presenti, in questo volume, non sono di prima trattazione per lo
studioso, avendoli già affrontati in tempi diversi, su varie riviste ma anche con il primo
volume che si è citato.
A Sacco preme evidenziare come sia potenzialmente errato presentarsi come haijin
scrivendo liberamente dei versi che, all’apparenza, possono associarsi alla forma
dell’haiku, quando non si conosce la vera natura dell’haiku, il suo substrato, i richiami che
esso immancabilmente evoca. Così l’autore, con opportune citazioni e numerosi esempi
pratici di haiku scritti da lui stesso, ci consente di approfondire come la conoscenza di
determinati dettami sia ingrediente fondamentale da coniugarsi nell’atto creativo con la
sensibilità personale e l’approccio dell’io lirico che, in quanto tale, deve essere modesto o
alluso.
Dopo una consistente prefazione a firma di Valentina Meloni, il percorso offerto
dall’Autore si realizza mediante dieci capitoli, ciascuno importante per la centralità dei temi
ivi affrontati. Il percorso inizia dai rudimenti fondamentali, tanto formali che stilistici, per
introdursi in maniera assai più profonda nelle tecniche compositive e tra i concetti che
esso tendenzialmente esprime.
La Meloni affronta alcune delle maggiori difficoltà che possono emergere durate la
creazione di un haiku richiamando, tra le altre, quella dell’osservazione dal momento che
questo tipo di testi sono delle istantanee, miniature che raccolgono l’istante in maniera
precisa e unica. L’io-osservatore (l’io-haijin) è completamente e convintamente immerso
nella totalità dell’ambiente naturale nel quale si inserisce al punto tale che è possibile dire
che esiste una forte simbiosi tra l’uomo e la natura quello che, in gergo, viene a chiamarsi
kikan.
Sacco fornisce al lettore tutti gli arnesi necessari per tentare di comprendere un haiku
(ricordiamo che l’interpretazione di un haiku è sempre potenzialmente aperta ed è il lettore
che, assieme al testo, costruisce il significato) a partire dalle sue peculiarità formali: la
1 Avevo dedicato un’ampia lettura a questo precedente volume di Antonio Sacco pubblicata il 04/08/2020 su
«Blog Letteratura e Cultura» e «Culturelite», spazi ai quali si rimanda.
mancanza di un titolo, lo schema metrico 5-7-5 (con la differenza di computo che
contraddistingue due diverse “scuole”), l’assenza di un impianto rimico, la presenza di uno
stacco (kireji) che permette la giustapposizione d’immagini (toriawase), l’assenza (o
semmai l’estrema rarità) di canonici segni interpuntivi come la virgola, il punto, i punti
esclamativi o interrogativi a favore di sole lineette o (raramente) punti sospensivi, sino alle
peculiarità sostanziali quali l’importanza dell’elemento stagionale (kigo), il senso di mistero
che aleggia intorno alle immagini, l’imperscrutabilità e il non detto, l’evocazione e, da un
punto di vista strutturale, l’estrema esigenza di minimizzare la presenza dell’io lirico.
L’haijin deve limitare al massimo la sua presenza nel testo, evitando in particolare le
personificazioni. Un capitolo intero è dedicato alle altre forme di poesia orientale quali, tra
gli altri, il tanka (schema metrico 5-7-5-7-7), l’haibun che è una sorta di racconto di viaggio
e lo haiga (letteralmente “dipinto haikai”) in cui parola e immagine si fondono in una
rappresentazione evocativa di pillole di realtà. L’autore ci parla anche di una tendenza
abbastanza diffusa, quella del monoku vale a dire dell’haiku monoverso, privo di stacchi a
termine del verso che, invece, lo vede nella sua forma finale scritto per intero su un’unica
riga.
In coda al volume è presente una sorta di sezione che possiamo intendere
maggiormente aperta, quale un vero laboratorio, nella quale Sacco fornisce, sulla scorta di
preliminari concetti approfonditi nel corso della dissertazione, qui resi in chiave sinottica, le
peculiarità di un haijin da delinearne un vero e proprio identikit. Pure non mancano esempi
concreti, casi esplicativi e consigli illuminanti e utili lungo questo percorso contenuto in
questo volume di 154 pagine, che per il lettore si configura come un reliquiario prezioso.
Come ogni vademecum che si rispetti, il volume riporta anche un prezioso glossario
nonché un apparato bibliografico utile per gli studiosi del genere o per chi, suggestionato
dall’opera creativo-illustrativa del Nostro, vorrà approfondirne determinati aspetti.
Una recensione attenta e completa al volume di Sacco che, per chi come me è attenta studiosa dell’haiku, è un invito a leggerlo.