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Il Quartiere San Marone: Villa Eugenia e dintorni. Via Ugo Foscolo, Giovanni XXIII, Guicciardini, Viale Villa Eugenia

Villa Eugenia ingressoLa Tenuta Bonaparte  e la Villa Eugenia di Civitanova Marche (storia breve).

La pace di Tolentino del 19 febbraio 1797, stipulata tra la chiesa nella persona del cardinale Mattei, arcivescovo di Ferrara e Napoleone, concedeva a quest’ultimo di stabilire nel territorio marchigiano, una guarnigione in Ancona. Dal 1789 al 1799 Civitanova Marche veniva inserita nel Dipartimento del Musone e amministrata, al pari di altri territori, su un tipo di organizzazione alla francese. A seguito delle pressioni esercitate dagli Austriaci, unita al fenomeno che va sotto il nome di “Insorgenza” (1799- 1808), incomincia nelle terre occupate dai Francesi, la prima Restaurazione dello Stato Pontificio. Il 18 marzo 1805 nasceva il Regno d’Italia, a capo del quale Napoleone nominava, in qualità di viceré, il principe Eugenio Beauharnais, figlio di prime nozze della moglie Josephine. In tutte le terre del Regno d’Italia veniva esteso il Codice Napoleonico in base al quale si sottraeva alla Chiesa tutte le proprietà ecclesiastiche.

 

Il 2 Aprile 1808, le Marche vennero inglobate nel Regno ed alla stessa data, tutti i beni appartenenti alla Chiesa ed agli ordini religiosi incominciarono ad essere acquisiti al Regno e destinati ad una gestione pubblica che faceva capo a Milano, al Monte Napoleone, da cui deriverà successivamente  il nome dato alla via omonima. I beni della Chiesa andarono a far parte dell’Appannaggio del re d’Italia, trasformato dal 15 marzo 1810 da Napoleone Bonaparte, in dotazione personale in favore di Eugenio Beauharnais, considerato in quei tempi uno dei più grandi proprietari terrieri europei. Dopo i rovesci subiti da Napoleone, Eugenio Beauharnais poté mantenere tutte le sue proprietà, pagando alla Camera Apostolica 160.000 scudi romani, a titolo di “Laudemio” alla corresponsione alla Chiesa di un canone annuo di 4.000 scudi ed alla possibilità per la Chiesa di riscattare i beni suddetti concessi in enfiteusi ad Eugenio.

 

I beni civitanovese, quasi tutti appartenenti ad ordini religiosi non vennero riscattati dalla Chiesa, questo per un dispositivo contenuto nell’atto di enfiteusi del 1818 in base al quale si stabiliva che nei limiti de 1/8 di tutti quei beni che appartenevano al principe Eugenio, la Chiesa non aveva nessun potere di prelazione. Alla morte del principe Eugenio Beauharnais, avvenuta nel 1824, tutti i beni dello stesso, passavano nelle mani di Luigi Bonaparte, fratello di Napoleone Bonaparte e marito di Ortensia Beauharnais, sorella di Eugenio e da questa data in poi andarono a costituire la proprietà privata dei Bonaparte a Civitanova Marche. Il 1 Dicembre 1845, prima di morire, Luigi Bonaparte nominava suo erede universale il figlio Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III: “Lascio tutti gli altri miei beni, il mio latifondo di Civitanova Marche, al mio erede universale Luigi Napoleone, solo figlio che mi resta”.

 

Napoleone III, asceso al potere diventava nel 1852 imperatore dei Francesi, dando avvio al secondo impero; il 29 gennaio 1853 sposava Eugenia De Montijo, una spagnola Andalusa, parente di San Domenico di Guzman. Napoleone III autorizzò la propria consorte a costruire in diverse parti d’Europa splendide dimore, degne del suo nome e della sua fama. Nel 1865, a Biarritz, al confine con la Spagna, venne costruita Villa Eugénie, a Cap. Martin, vicino Nizza, la villa “Cyrnos”. La Villa Eugenia di Civitanova Marche con molta probabilità venne costruita dopo, forse all’epoca dell’ing. Paul Hallaire, intendente generale di Napoleone III. E’ infatti con questo personaggio che l’amministrazione civitanovese della Tenuta Bonaparte prende nuovo impulso.

 

Aperti ai bisogni della gente, soprattutto quella più povera, Napoleone III ed Eugenia fondarono a Civitanova Marche, due asili gratuiti, uno a Civitanova Alta, ad organizzare il quale fecero venire dalla cittadina francese di Albi, le suore dell’ordine Domenicano, un altro a Poggio Imperiale, nella campagna civitanovese, su un versante della Contrada Grazie, sopra San Marco, per curare appositamente i figli dei contadini. Alcuni edifici scolastici rurali vennero poi realizzati dall’Amministrazione Bonaparte, in contrada Castelletta e Monteserico; forte sostegno venne dato all’ospedale di Civitanova Alta. Il periodo dello splendore di Napoleone III termina con la sconfitta militare di Forbach e Sedan, ad opera dei Prussiani nel 1870. L’imperatore muore il nove gennaio 1873, in Inghilterra dove aveva raggiunto la moglie Eugenia. Il sindaco di Civitanova Marche, Libani faceva pervenire questo telegramma di condoglianze: “Municipio di Civitanova esprime condoglianze morte Napoleone III, cui popolazione è riconoscente tanti benefici largiti”.

 

Rimasta vedova, “l’imperatrice venne in incognito a Civitanova Marche, per visitare, il 15 ottobre 1881, due anni dopo la morte del figlio Louis- Napoléon- Eugéne, la villa Eugenia che portava il suo nome. La villa era all’epoca sotto l’occhio vigile dei Conti Graziani, proprietari della villa San Domenico. Eugenia si trattenne nella Villa giusto il tempo di vedere i ritratti della famiglia Bonaparte, che all’epoca esistevano ancora nelle sale, dormì a villa San Domenico, in casa dei conti Graziani, quindi, in vettura, partì per il santuario di Loreto. Dalla cittadina lauretana si trasferì in Ancona, all’Albergo della Pace, per ritornare a Roma in treno” (Cfr. Roberto Gaetani, I Bonaparte a Civitanova, villa Eugenia e i Napoleonidi, in “Civitanova Immagini e Storie”, Vol. 3, pag. 187, Capodarco di Fermo, 1992).

 

Il figlio di Napoleone III, Louis – Napoleone- Eugenio moriva il 1 giugno del 1879 nello Zuland, a seguito di una imboscata tesa dagli Zulù ad una pattuglia inglese in avanscoperta. La madre Eugenia l’aveva sollecitato ad iscriversi diciottenne, nel 1872 ad una scuola militare inglese, dal momento che rimaneva del tutto problematico un suo rientro in patria. La tenuta di Civitanova Marche passava in proprietà all’ex imperatrice che seguitò a gestirla da lontano attraverso i suoi amministratori residenti a Villa Eugenia. Alla morte dell’imperatrice, la tenuta, per volere testamentario di Louis- Napoléon – Eugene passerà nelle mani di Victor, il figlio maggiore di Gerolamo Bonaparte, re di Westfalia e fratello di Napoleone Bonaparte. Questo il testamento dell’ex imperatrice: “I doveri  della nostra casa non si estingueranno con la mia vita. Alla mia morte, il compito di continuare l’opera di Napoleone I e di Napoleone III toccherà al figlio maggiore del principe Napoleone”

 

La proprietà civitanovese, per tutti gli anni in cui visse l’ex imperatrice Eugenia, conobbe un periodo di massimo splendore. Ad amministrare la tenuta, Eugenia chiamò l’ing. Giacinto Tebaldi. La tenuta ammontava a 1.200 ettari, su 110 terreni, estesa parzialmente anche al comune di Montecosaro. A Giacinto subentrò il figlio Celso Tebaldi, con lui tutta la proprietà venne divisa in tre grandi fattorie: quella di Piane Chienti, quella di Fontespina – Asola e quella di poggio Imperiale. Le case coloniche vennero restaurate e messa su ogni edificio rurale la targa in maiolica con la scritta N e lo stemma dell’impero in alto. Molte di queste case esistono ancora, tra tutte quella che fa capo alla azienda vinicola Bocca di Gabbia, in località Castelletta.

 

Declino di Villa Eugenia

 

Il lento ed inarrestabile declino della villa Eugenia coincide con la vendita, sul finire degli anni cinquanta, di tutta la proprietà civitanovese che faceva capo alla Amministrazione Bonaparte. Il processo di lottizzazione dei terreni posti a sud est della villa  continua per tutti gli anni sessanta. All’inizio c’erano solo poche case, circondate da campi coltivati. Chi veniva dall’Argentina ed era abituata a grandi città, il ritorno a Civitanova Marche, all’età di sedici anni, con i propri genitori, veniva vissuto proprio male, il posto considerato come fuori dal mondo. I campi venivano invasi da gitanti della domenica che provenivano dal Porto. Al primo maggio, si arrivava per mangiare le fave, a Ferragosto per mangiare il cocomero, ma qualsiasi giorno di festa era buono per calpestare i campi a sud est di villa Eugenia, con gli anni lasciati a sodo. Le distanze sono rimaste ancora oggi nell’uso del linguaggio. Chi abita oggi in quella zona, se deve andare in centro, dirà senz’altro che deve andare al Porto, come se si tratta di un altro paese, distante chissà quanto dalla periferia.

 

Tre le vie principali che salgono alla villa Eugenia: il viale Villa Eugenia, via Papa Giovanni XXIII e via Ugo Foscolo; l’altra via, la via Manzoni, corre quasi parallela alla via Dante Alighieri e parte dall’incrocio con la via Giusti; via Guicciardini è l’ultima che scende a perpendicolo e taglia ortogonalmente solo le ultime, quelle più vicine alla sommità della collina. Tante sono le vie che corrono trasversalmente, disposte quasi a spina di pesce, come a formare uno scacchiere compreso tra la via D’Annunzio e via Dante Alighieri: Leopardi, Giusti, Monti, Nievo, Fogazzaro, Machiavelli, Giocosa, Metastasio. Per tutti gli anni sessanta ed oltre, il giardino di villa Eugenia era lo scenario di tante fotografie. Non c’era matrimonio che non venisse immortalato con il fondale della villa.

 

I ragazzi di via Guicciardini, emuli dei più famosi ragazzi della via Pàl,  avevano i loro spazi riservati. Le poche case erano luoghi ideali per giocare alla guerra. Bastava poco per nascondersi ed armati di cerbottane, i componenti di una banda prendevano d’infilata quelli dell’altra appostati dietro un muretto in costruzione o una montagnola di terra. Campi attrezzati non esistevano, ma tanti gli spazi, tra tutti il campo “de Ciarpella” e quello situato su “lo monte”, là dove c’è ora la pasticceria “San Marone”. Erano frotte di ragazzi, ricorda Luigi Gnocchini. “Se jocava  a pallò”, in trenta, quaranta, dal primo pomeriggio fino a sera inoltrata. Ginocchia sbucciate, ferite lacero contuse. L’apprensione delle mamme non era assillante come oggi. Si sapeva che qualche ferita in più era il prezzo che si doveva pagare per diventare più forte e meno piagnone. Quando ci si stancava di giocare, si combinavano marachelle innocenti. Si andava in tanti su “lo campo de Stella”. Pere e cachi scomparivano in un batter d’occhio dagli alberi. Nei giorni di pioggia, si ritornava a casa bagnati fradici ed inzaccherati dalla testa ai piedi. Nei pochi inverni durante i quali cadeva un po’ di neve, la collina e le strade diventavano improvvisate piste di sci. Bastava una slitta o un sacco di paglia ben pressata; gambe a cavalcioni e via lungo le discese.

 

Marciapiedi non esistevano, le strade erano piene di buche, non asfaltate, ma imbrecciate. “Quindici anni, quindici anni, quindici anni. Poesia di un’età che non ritorna. Sulla bicicletta in due senza mani. Pazzi come due cavalli, io e te”. Sono ricordi legati a stagioni lontane e  più il tempo passa, più  lo si rimpiange assieme alla propria gioventù e con essa a momenti di vita trascorsa. Le prime famiglie: Capodarca, Frascarello, Cestola, Pollastrelli (fabbrica scarpe), caffè “de Cuppolò” (Recchi), gradualmente ma inesorabilmente, videro sorgere dalla fine degli anni sessanta in poi, altre case, in un crescendo di urbanizzazione senza precedenti. Mancava però ogni traccia di servizi: le strade non erano asfaltate, non c’era acqua, quella poca  la si attingeva ancora al pozzo, ogni casa aveva il suo. Veniva portata anche dal comune con le cisterne. Queste si fermavano all’incrocio, davanti alla casa di Capodarca. Quando andavano via, ci si recava lì per sciacquare i panni, in fretta, diversamente c’era pronta la contravvenzione.

 

Il bucato al Chienti lo si faceva nei tempi più remoti.  Al palazzo Lombardi c’era chi sapeva orlare le scarpe. Le ragazze andavano ad imparare il mestiere. La padrona le impegnava in lavori domestici: fare il bucato, stirare i “pagni” de casa. Per imparare a fare le cose, si doveva andare sempre da una persona del mestiere, ricorda una signora. A Civitanova Alta c’era “Domé lo sarto” che insegnava a cucire i vestiti d’uomo. Era il più stimato e valido sarto della città. Quando si andava a consegnare i capi confezionati c’era sempre chi regalava qualche cosa ed anche se era poco veniva accettato con gioia perché andava ad accrescere il magro bilancio familiare. Se “carpia lo mestiere”. “Impara l’arte e mettila da parte. Non puoi sapere oggi quello che potrà tornarti utile domani”.

 

Con questa filosofia di vita, quando si ritornava in famiglia ci si teneva a mettere in pratica quello che si era appreso. Anche lucidare le scarpe diventava importante: prima si passava il lucido, poi le si lasciava prendere l’aria, infine sulla scarpa già lucida si passava una pezzuola di stoffa per renderla ancora più lucida. Imparare a fare la sarta era la massima aspirazione delle ragazze. C’era chi lasciava la propria famiglia contadina, andava in città presso qualche parente per raggiungere la sarta più vicina. C’è tuttora chi fa questo lavoro e ricorda le settimane ed i mesi passati lontano da casa, in città.

 

Oggi, Villa Eugenia è ridotta poco più che a un rudere. “Il suo giardino è in abbandono; il suo tetto fa acqua da tutte le parti; i mobili e i dipinti che l’arredavano sono stati depredati e dispersi; rimangono in piedi quattro mura a testimoniare, dinanzi alla volgarità del presente, le ragioni di una presenza ed il fascino di un passato, che la città non potrà mai dimenticare, anche se, a dire il vero, fino ad oggi si è fatto di tutto per farlo cadere interessatamente nell’oblio” (Cfr. Roberto Gaetani, op. cit. pag. 193).

 

Chi vuole, come mi è capitato, può solo accontentarsi di gettare uno sguardo furtivo al di sopra del cancello di ingresso e di vedere appena parte del tetto sfondato e uno spicchio della facciata. Il parco che cinge tutta la villa rimane un po’ come Il giardino segreto del romanzo e dell’omonimo film.

 

Raimondo Giustozzi

 

Bibliografia

 

  1. Roberto Gaetani, I Bonaparte a Civitanova, villa Eugenia e i Napoleonidi, in “Civitanova Immagini e Storie”, Vol. 3, p. 157- 199, Capodarco di Fermo, 1992.
  2. Mariella Troscé, La tenuta Bonaparte a Civitanova, in “Civitanova Immagini e Storie, Vol. 3, pp. 201- 213, Capodarco di Fermo, 1992.

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