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Il lavoro nel Quartiere San Marone: La ditta elettromeccanica Pantanetti in via Manzoni

Macchina industriale prodotta dalla ditta PantanettiIl 9 agosto 1958, Luigi Pantanetti apriva  in via Giusti la ditta di famiglia; nell’Agosto del 1963, la stessa si trasferiva in via Manzoni N° 65 là dove è tuttora, gestita con crescente successo dai figli Sauro e Franco. Papà Luigi aveva visto giusto. La tanto conclamata regola per quale uno fa, l’altro mantiene e l’ultimo gode i frutti dei primi due, veniva ampiamente smentita. Avviato l’esercizio dal padre, i due figli, ambedue diplomati all’ITIS “Montani” di Fermo, Sauro si ferma al diploma di perito elettromeccanico, Franco prosegue gli studi fino alla Laurea conseguita al Politecnico di Milano, ci danno dentro con impegno. La storia dell’azienda, come è nel sogno dei due papà, continuerà anche in futuro. I figli di Franco hanno intrapreso infatti corsi di studi legati allo stesso settore, mentre quelli di Sauro hanno scelto altri indirizzi.

 

Correva un’epoca fantastica, i favolosi anni ’60, ribattezzati da qualcuno come “formidabili”. “Niente di fantastico, precisa Sauro, “Si era giovani e si aveva voglia di misurarsi con il lavoro, ereditando una discreta posizione economica costruita dai genitori. Si apprezzavano le piccole conquiste ed in queste si trovava il giusto orgoglio per andare avanti”. Sauro, con qualche anno in più del fratello, si fermava a Civitanova Marche, Franco invece approdava a Milano dove, frequentando l’Università,  aveva modo di vivere in prima persona i fermenti socio culturali di tutta un’epoca. Negli anni della contestazione, culminati nel ’68, conosceva personalmente alcuni dei leader di allora, tra i quali Mario Capanna, anche se si andava facendo un’idea molto più equilibrata dei sogni e delle prospettive che appartenevano a tutta una intera generazione. Ritornato a Civitanova, metteva a frutto, nell’azienda di famiglia, la Laurea in Ingegneria.

 

La preparazione tecnica conseguita presso l’Istituto Tecnico “Montani” di Fermo era eccellente, tiene a precisare Sauro. Le attività didattiche passate nei diversi reparti: officina, falegnameria, fucinatura, saldatura avvicinavano al mondo del lavoro e della produzione più di quanto possa fare oggi la scuola. L’aver prolungato l’obbligo scolastico senza una politica adeguata ha spostato sempre in avanti l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. L’attenzione messa nella preparazione culturale generale, anche umanistica, storica, letteraria, mortificando la manualità ha fatto sì che tutti i ragazzi anche diplomati negli Istituti Tecnici o Professionali non abbiano avuto mai l’occasione di prendere in mano un semplice cacciavite. L’obbligo scolastico poi è stato ed è vissuto come un peso e non come una opportunità di formazione e di maturazione personale.

 

“Mi rimane nel gozzo” – continua Sauro “vedere come alcuni ragazzi che vengono da noi per qualche anno di prova, dopo aver conseguito il diploma di perito elettromeccanico presso qualche Istituto professionale o presso gli Istituti Tecnici, improvvisamente abbandonano il lavoro scelto e si dedicano ad attività che non hanno nulla a che fare con il diploma conseguito o con le esperienze maturate anche se per un periodo brevissimo. C’è chi apre una pizzeria, chi vende articoli di biancheria, di profumeria, o fanno altro. La scuola frequentata è stato un momento vissuto solo per un obbligo da assolvere anche senza troppe spese per la famiglia quando l’Istituto Professionale scelto era a pochi passi da casa. Dispiace constatare come l’investimento di tempo, di relazioni socio affettive e non ultimo in termini anche economici non abbia prodotto nulla”.

 

Il successo di una qualsiasi azienda, e quella di Pantanetti non si scosta da questo considerazione di fondo, lo si misura in termini di tempo che un gruppo di operai, tecnici, ingegneri e personale di ufficio trascorrono insieme. Ciribè, precisa Sauro, ha trascorso da noi, dall’inizio fino all’età della pensione, ben 45 anni, Pasquali e Curzi, 35 anni, Stefano, 30 anni, Marco e Maurizio, 27 anni di attività lavorativa. L’ingegnere Daniele Cardelli, molto conosciuto nel quartiere, lavora presso la ditta Pantanetti da una quindicina d’anni.

 

Quando si costituisce un gruppo affiatato, il lavoro progredisce di anno in anno. Il fare squadra paga nel tempo, in termini anche di soddisfazioni economiche che ricadono su tutti. Attualmente la ditta Pantanetti ammonta ad otto unità tra operai, tecnici, ingegneri e personale di segreteria. Si trova difficoltà a trovare operai specializzati, in quanto una azienda elettromeccanica non ha bisogno del classico “cacciasuole” ma di ragazzi motivati ad apprendere e che hanno un minimo di conoscenza di base. Gli stage che alcuni ragazzi dell’ITIS “Montani” sono una garanzia per il futuro.

 

I settori che la ditta copre sono quelli legati all’automazione industriale ed alle applicazioni robotiche in genere. Molte sono le aziende del territorio servite dalla impresa elettromeccanica Pantanetti: Cartiera Miliani Fabriano, Eurosuole, Ica Vernici, Acquedotto di Civitanova Marche, Sit Siemens ed altre. I settori più seguiti sono quelli della cartiera e della calzatura. Gli interventi più effettuati sono quelli sulle macchine per la produzione di fondi per la calzatura e sulle strumentazioni addette al controllo di fumi e vernici. Gran bella realtà, la ditta Pantanetti di via Manzoni, che si distribuisce in un edificio industriale di 800mq circa, tra officina ed uffici.

 

 

Fare modelli per fondi con la ditta Art Model.

 

L’Art Model S.r.l., società addetta nella produzione di modelli per fondi, è in via Foscolo 51/ B. Viene fondata nel 1997 da Paolo Marinelli e da Alfredo Mecozzi. Circa otto anni fa, ai due si aggiunge  Davide Montemarani. Dieci tra soci ed operai gli addetti attuali della ditta. All’inizio è sufficiente il primo piano dello stabile di via Foscolo, dopo alcuni anni viene occupato anche il piano superiore dato l’incremento dell’attività.

 

Erano bei tempi”, dice Alfredo Mecozzi, ricordando gli inizi, “vuoi  perché avevo solo 27 anni, vuoi perché la congiuntura economica era più favorevole di quella attuale”. Alfredo e Paolo lavoravano assieme nella stessa ditta, sotto padrone, prima di decidere di mettersi in proprio. E’ Paolo, di qualche anno più grande di Alfredo, il primo a mettersi in proprio. Tra i due c’è stata sempre una grande amicizia che si è andata via via cementando nel tempo, condividendo anche momenti di svago e di divertimento comuni. “Partivamo con la macchina per andare a Monaco di Baviera per partecipare all’Oktober fest”, continua Alfredo.

 

Davide Montemarani, che intanto aveva rimpiazzato Alfredo nella stessa ditta dalla quale se ne erano andati i primi due, non avendo un buon rapporto con la Direzione della stessa, decide di presentarsi diversi anni dopo in via Foscolo 51/B, dove la ART Model S.r.l. navigava già a gonfie vele. E’ una forza in più che viene ad unirsi alle prime due. Insieme, oggi gestiscono lo studio che costruisce modelli e fondi per calzature in P.U, P.V.C., EVA, T. R., Gomma di via Foscolo.

 

Due sono i grossi clienti della ditta: la “Mondial Suole” e  la “Finprojeet” e questo dal 1997 ad oggi. Gli inizi sono contraddistinti da prestiti per impiantare l’attività. Ma gli ordinativi non mancano, anzi si lavora ventiquattro ore su ventiquattro, pur di soddisfare le esigenze del cliente. Il segreto del successo è proprio qui: capire e realizzare quello che il cliente vuole, interpretando e leggendo anche nel suo pensiero, andando anche al di là di quello che non dice.

 

Gli utili dell’azienda vengono investiti nell’acquisto di macchinari sempre altamente tecnologici:  macchine a controllo numerico, scanzionatori e progettazioni Cad – Cam. Le ditte di un certo livello che lavorano nel settore della modellistica per fondi e che hanno macchinari adeguati sono attualmente soltanto tre, nel nostro territorio, aggiunge Alfredo. Il migliore biglietto da visita per la nostra ditta è stato sempre quello di fare bene il lavoro. “Un detto tra i tanti che mi diceva all’inizio Paolo”, ricorda Alfredo: “a fare le cose fatte bene o a farle sbagliate ci vuole sempre lo stesso tempo. Se vengono fatte  bene fin dall’inizio non si perde poi del tempo prezioso a rifarle”. La gente ha stima se vede che lavori bene, ed anche se capita a volte di consegnare qualche lavoro sbagliato, non abbandona mai l’idea originaria; se invece si accorge, fin dall’inizio di un rapporto di lavoro, che lavori male, anche se fai due o tre lavori fatti bene, per la stessa rimani sempre uno zuccone.

 

Tanto apprendistato e voglia di apprendere sono le altre due chiavi del successo. All’inizio di questa attività c’è stato un maestro che è stato sia per Paolo che per Alfredo ma anche per tanti altri che si sono poi specializzati nella costruzione di modelli- fondi per la calzatura. Il maestro riconosciuto da tutti risponde al nome di Italo Tiberi di Civitanova Alta. E’ stato lui che ha dato il via alla figura del modellista. Nei tanti anni di apprendistato, un altro accorgimento utilizzato da tutti, soprattutto da chi aveva davvero voglia di imparare, è stato sempre quello di “carpì lu mestiere co’ ll’occhi”. Il lavoro del modellista lo si impara facendo. Non impara nulla se uno, mentre lavora, sta a guardare sempre le lancette dell’orologio , calcolando il tempo che gli rimane per uscire dalla ditta.

 

Un’altra grande soddisfazione per l’Art model di via Foscolo è la sponsorizzazione che la ditta fa per una squadra di biliardo di Civitanova, dove gioca il campione italiano di biliardo con la stecca. L’Art model è interessata a far sì che il proprio nome giri nel territorio. Alfredo, Paolo, Davide e gli altri operai della ditta se lo meritano davvero. Un’ultima cosa non di poco conto, visti i tempi che corrono. Un operaio che lavora presso l’Art Model di via Foscolo prende, in stipendio, più di quanto possa prendere un suo collega addetto alla manovia di un calzaturificio.

 

 

La bottega del falegname.

 

Non c’è profumo più intenso di quello emanato dal legno appena tagliato. C’è stato per tanti anni, in via D’Annunzio, al numero civico 90, un laboratorio di falegnameria davanti al quale sono passato più volte, sempre indeciso se entrare o meno. Non volevo far perdere tempo al titolare dell’esercizio con le mie chiacchiere inutili. Poi, un bel giorno mi sono deciso. Entro. Stretta di mano, presentazione un po’ imbarazzata da parte mia e dall’altra parte un largo sorriso tutto teso a mettermi a mio agio. Faccio la conoscenza con il titolare. Si chiama Luigi Pagnanini. Rileva l’attività dalle mani del papà Renato e parte fiducioso. Per ben cinquanta anni l’attività è andata avanti senza ostacoli. Casa e bottega la sistemazione logistica. Al piano terra il laboratorio, al secondo l’abitazione. E’ cresciuto, respirando il profumo del legno appena tagliato, fin da piccolo, Luigi Pagnanini. Tra tutti i profumi, quello del cedro è unico, morbido, ci tiene a precisare. Prima, quando l’attività veniva fatta tutta a mano, le persone che si alternavano in bottega erano anche dieci, dodici, chi era alla lavorazione e chi al montaggio.

 

Sono tutte uguali le botteghe artigiane del falegname. Ricordo quelle di Gigio de Margarì (Luigi Cerquetti), di Grazià de Cencio (Graziano Gabellieri), a Santa Lucia di Morrovalle, quando ragazzo, accompagnavo mio papà o mio zio per far aggiustare il biroccio, commissionare la costruzione di qualche sedia, della mattera (la madia per il pane fatto in casa), della credenza (la vetrina per il soggiorno). Scampoli d’adolescenza lontana! In Brianza, più precisamente a Giussano dove ho abitato per vent’anni o a Lissone, dove risiede Guido Mariani, uno degli amici più cari, la frequentazione della sua bottega di falegnameria era diventata per me una consuetudine. In estate, quando trascorrevo il mese di agosto a Scafa (PE), la visita alla bottega di mastro Amerigo Ronzoni era un’abitudine quotidiana. Era un falegname bravo nel suo lavoro tanto che la gente lo chiamava appunto mastro, maestro Americo

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Trasudavano di storia le pareti della falegnameria di Luigi Pagnanini. L’attività era indirizzata soprattutto alla costruzione di porte e finestre, ma il nostro non disdegnava di mettere mano a qualsiasi altro lavoro legato alla lavorazione del legno in genere. In un angolo della bottega non mancava il tradizionale bancone ricco di tutti gli attrezzi del mestiere: scalpello, sgorbia, punteruolo, trapano a mano, graffietto, lo “replay” usato per lavorare gli angoli, raspa, lima, compasso, squadra, pialla, sponderuola, ferro a dente, strumento con dentellature, usato durante l’impiallacciatura, ferro da stiro, morsetti, succhiello per fare i buchi, staggia, sega a mano, lo “segò”, carta vetrata, colla, quella fredda, marca “Certus”, quest’ultima però aveva un difetto: lasciava le macchie. Trucioli e segatura alimentavano il fuoco della stufa o del camino.

 

Si sa che la bottega artigiana, un tempo era l’apprendistato del garzone. La pratica per quest’ultimo, mi raccontavano gli anziani, quando ero in Brianza, comportava anche una iniziazione vera e propria, con scherzi e burle d’ogni genere. Capitava spesso che a qualcuno di loro, ritenuto un po’ imbambolato e poco sveglio, gli venisse chiesto di recarsi al più vicino negozio per acquistare una “bottiglia d’acquadoss”. L’ingenuo garzone andava in negozio ed alla domanda: “Sa voeret ti?” (Cosa vuoi?), rispondeva: Una bottiglia “d’acquados”. Il negoziante andava nel retro bottega e scaraventava addosso al malcapitato il contenuto della stessa. Quest’ultimo si ritrovava tutto bagnato e riempito di improperi: “stupid, bamba, pirla” ed altri epiteti più o meno coloriti.

 

La giornata del garzone iniziava molto presto. Provvedeva ad accendere il fuoco del camino o della stufa per riscaldare l’ambiente, anche per arroventare sui tizzoni ardenti i diversi “fer da stir” (ferri da stiro) che servivano durante la fase dell’impiallacciatura fatta tutta a mano. Un altro compito del garzone era quello di tenere sempre pronta la colla, indispensabile al momento dell’impiallacciatura quando cioè si rivestiva il mobile con sottili fogli di legno pregiato. Oggi, di garzoni non ce ne sono più per i motivi più diversi, tra tutti la sostituzione del lavoro manuale con la macchina.

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Tante le macchine per la lavorazione del legno: combinate, levigatrici, troncatrici, torni, trapani a colonna, fresatrici (Toupie), aspiratori. Un tempo il ronzio del tornio ed il fischio prolungato della pialla accompagnavano e scandivano le diverse ore del giorno. L’articolo scritto era un altro piccolo tassello sul lavoro nel quartiere San Marone. Ho usato il verbo al passato perché la bottega di Luigi Pagnanini di via D’Annunzio è stata chiusa da diversi anni. L’immobile è stato adibito ad abitazione. In questi vent’anni trascorsi molte cose sono cambiate. Ricordo i primi anni del mio ritorno nelle Marche. Dietro la stazione ferroviaria c’erano ancora dei capannoni che appartenevano un tempo alla Fabbrica delle Bottiglie. In uno di questi, Gigetto aveva una propria bottega di falegname. Veniva da Civitanova Alta. Quando mi recavo in stazione, mi fermavo sempre a conversare con lui, parlando del mestiere che aveva imparato fin da piccolo e che ha praticato fino alla pensione. Oggi, l’area, un tempo occupata dai resti della Vetreria, è completamente diversa. Sono sorte tre grandi palazzine e due parcheggi a pagamento.

 

Per un laboratorio di restauro chiuso. un altro continua

 

Il lavoro favorisce e crea l’identità della persona, lo è tanto più per i giovani che non sempre lo trovano adeguato allo studio intrapreso. Non è stato così per Ilaria Pellerito, almeno per una decina d’anni. Dopo essersi diplomata maestra d’arte prima, maturità d’arte applicata poi, ha conseguito l’attestato di partecipazione al corso di antiquariato, con stage e corsi di perfezionamento. Ha frequentato la Scuola superiore presso l’Istituto d’Arte di Macerata e conseguito la maturità nell’estate del 1996. Ha avuto tanti validi professori, tra tutti: Riccardo Piccardoni, incisore, artista quotato anche fuori dai confini regionali e la prof.ssa Tiziana Tomassetti, sorella di “Marvì” (Maria Vittoria), docente di Ed. Artistica alla “Mestica” di Civitanova Marche.

 

“Un vulcano di idee e di creatività la prof.ssa Tiziana, docente impareggiabile nella doratura e laccatura. Si buttava nel lavoro con entusiasmo e ti trascinava”. Clima di fiducia e di profonda amicizia quello esistente nell’Istituto Statale d’Arte di Macerata tra gli alunni ed i professori. Fondamentali le materie scientifiche alla sezione restauro: tecniche murali, lacca e doratura. “Gli insegnanti ti invitavano a scavare dentro e a cercare le ragioni dell’arte nell’inventiva e nella creatività”. Lo studio teorico trovava subito una applicazione concreta. Erano i primi anni ’90, gli anni del progetto “Michelangelo”. Gli alunni venivano invitati a ridisegnare gli spazi interni della scuola: aule, corridoi e sale, tinteggiando ma anche creando murales, affreschi che abbellissero angoli, muri del tutto freddi e renderli vivi.

 

Nell’ottobre del ’96, pochi mesi dopo il conseguimento del diploma d’Arte, il ritorno nella terra degli avi: la Toscana. A Firenze abitavano alcuni parenti e la decisione di trasferirsi nella città dei Medici venne presa quasi subito per seguire un corso di restauro. Sistemazione presso gli zii in una casa nei dintorni di Borgo San Frediano, corso di Storia dell’Arte presso la sede della Scuola in piazza del Carmine, tenuto dal prof. Spinicchia e il laboratorio di restauro dei quadri in via della Spada nei pressi di porta Romana, diretto da tre ragazze dell’Accademia di Firenze. Mesi di lavoro intenso e di frequentazioni stimolanti presso una galleria che ospitava i maggiori capolavori dei Macchiaioli ed il restauro di quadri di inestimabile valore, sempre sotto la direzione delle tre ragazze.

 

Nel maggio del ’97, chiusa la parentesi fiorentina, il ritorno a Civitanova Marche. Tutto quello che si era appreso non poteva essere disperso. Il primo lavoro, per circa un mese, presso una arredatrice di Civitanova Marche. Tante le ore di lavoro, dal lunedì al sabato. L’arredatrice è costretta a chiudere l’attività. L’opportunità di un’altra occupazione avviene quasi subito, e sono quattro anni ininterrotti di lavoro presso un antiquario, sempre in città, assieme ad una carissima amica: Cecilia, più grande di Ilaria con grandi esperienze alle spalle, tra tutti il restauro del loggiato della Santa Casa di Loreto. Quando anche le richieste di restauro iniziano a scarseggiare, la titolare chiude l’attività e Cecilia apre un proprio laboratorio di decorazione.

 

Cecilia veniva da Numana, abitava da sola a Civitanova Marche, i genitori facevano la spola tra la cittadina dorica e la nostra città. Dopo una breve parentesi alle Poste, come porta lettere, per sei mesi e tanti lavoretti fatti sempre nel campo del restauro, in collaborazione sempre con Cecilia, Ilaria decide di mettersi in proprio ed affittare un locale in via Foscolo, 101/a. Le viene incontro un’altra carissima amica, Ilaria Ienis che le affitta il locale, anche lei animatrice all’oratorio di San Marone. E’ una gran fortuna che nella parrocchia ci sia una struttura del genere che fa nascere amicizia e solidarietà tra le persone.

 

Il lavoro nel laboratorio di via Foscolo si è indirizzato su due versanti: il restauro e la pittura. Il primo, più remunerativo è ciò che copre il lavoro più creativo del secondo. Versatilità e conoscenze in svariati campi è quel che viene richiesto nel campo del restauro. Il restauratore deve conoscere gli elementi basilari della chimica per preparare solventi e ricette, conoscere i diversi tipi di gesso e come questi legano tra loro, saper  usare i ferri del mestiere: spatole, bisturi, pennelli, trapanetti, paste, cucchiaio di legno (il mestolo della nonna) dai materiali chirurgici ai materiali che si usano in cucina, per mescolare colla e solventi, ricostruire pezzi che mancano, stuccare, ridipingere mobili dipinti, lucidarli. Il lavoro più duro è la pulitura del mobile attraverso una robusta opera di sverniciatura, se lo stesso è dipinto e la carteggiatura fatta tutta con olio di gomito. “Rubare con gli occhi” il lavoro fatto da altri e tanta umiltà sono gli ingredienti per fare bene il lavoro. La decorazione sul mobile non è tanto richiesta perché non capita. Tanta l’attenzione nel lavoro. Ogni intervento su un oggetto, mobile o quadro non deve creare un disastro, pena la distruzione dell’oggetto stesso. Tanti i lavori di restauro, il più interessante quello fatto su due porte del ‘600 e su quadri del ‘500 presso il laboratorio di Firenze.

 

Nell’atelier di via Foscolo, in mezzo al laboratorio, ha troneggiato per qualche mese, su un piccolo basamento, la statua della Madonnina tolta dall’area oggi occupata dalla rotonda di San Marone. Dopo il restauro è ritornata, anche se in un altro angolo, là dove è rimasta per cinquant’anni, nume tutelare di uomini, donne e bambini, autisti e passanti. Complicata ma ricca di soddisfazioni è stata la doratura con oro zecchino fatta sull’altare di San Marone, intervento eseguito insieme a Manuela, altra amica di Ilaria. Si passano lavori quando l’una è oberata da troppo lavoro e l’altra ne è priva.

 

Alcuni dei maggiori lavori di Ilaria Pellerito hanno avuto anche una visibilità esterna in occasione della Fiera degli sposi tenuta presso l’Ente Fiera, a novembre, insieme ad un ragazzo ebanista, di nome Andrea Baldassarri. Nei mesi di dicembre – gennaio di molti anni fa era partita una collaborazione per un progetto di pittura con la Scuola Elementare di via Tacito, cinquanta i lavori eseguiti dalle due classi quinte nel corso del primo turno.“Domani, vieni al laboratorio di pittura?” “Che ci fai fare domani Ilaria?”, chiedevano i bambini ad Ilaria ogni volta che l’incontravano all’Oratorio. C’è chi dice che gli alunni non hanno interessi. Basta solo trovare chi sa interessarli.

 

Purtroppo le committenze per il restauro di mobili, sedie e quant’altro sono venute meno con il tempo. Ilaria ha scelto di lavorare in un altro settore, aspettando tempi migliori per ritornare, forse un giorno, alla tecnica del restauro e della pittura. Per una che ha lasciato, si spera solo momentaneamente, ci sono altri che continuano l’attività nella nobile arte del restauro. E’ il caso di Marco Moscetta, che ha il laboratorio in via Aristotele, “la sesta ed ultima traversa sulla destra, verso nord della via D’Annunzio. Lunga trecento metri circa, a doppio senso di marcia, prosieguo naturale della via Abruzzo, di solo accesso alle abitazioni private. Collega le vie Abruzzo, Tacito, Omero e si immette nella via G. D’Annunzio. Venne così denominata con delibera N° 29, in data 14 aprile 1965” (Cfr. Eugenio Isolina, Civitanova Marche Una via un nome una storia, pag. 162, Civitanova Marche, 2015).

 

Marco Moscetta ha aperto il proprio laboratorio in via Aristotele N° 3 all’inizio del 1990. Ha ereditato la passione per la lavorazione del legno dalla propria famiglia d’origine. Prima suo nonno, poi il papà erano dei provetti falegnami, conosciutissimi a Civitanova Marche, quartiere San Marone. Ha imparato il lavoro del falegname dal papà di cui era allievo, sempre desideroso di imparare il mestiere che dava molte soddisfazioni. L’apprendistato è durato per molti anni. Marco voleva comunque andare oltre al lavoro del falegname. Voleva cimentarsi nella nobile arte del restauro di mobili, soprattutto quelli di cucina i più soggetti all’usura del tempo. Inizia quindi a lavorare su cassapanche, tavoli, sedie, vetrinette, comò. Per anni le committenze non sono mancate. Molti amavano arredare la propria casa con gusto. Andava di moda il vintage, termine che sta ad indicare le qualità e il valore di un oggetto prodotto almeno vent’anni prima del momento attuale ma che può essere anche riferito a secoli passati senza essere circoscritto al ventesimo secolo.

 

Nel corso di questo periodo, difficile per tutti, ha riconvertito il lavoro del restauro in quello di falegname, realizzando mobili su misura per la cucina ma anche porte e riparazioni in genere. Si deve fare di necessità virtù e Marco si è sempre dimostrato capace di adeguarsi alle sfide del momento. Flessibilità è la parola fatata ripetuta a dismisura da tutti ma perseguita con tenacia solo da pochi. Moscetta è uno di questi, convinto che l’esperienza conseguita negli anni e l’applicazione costante, unita alla passione per il lavoro, alla fine pagano sempre.

 

Il restauro di mobili di alto valore e soprattutto di quadri è un gran bel lavoro. Per farlo bene occorre avere una grande formazione professionale che si può conseguire solo attraverso scuole, stage e corsi di perfezionamento. Oggi, pochi chiedono di restaurare mobili antichi e quadri. La crisi attuale non favorisce certo l’investimento del restauro a livello diffuso, come succedeva invece qualche anno fa. Chi viene comunque dalla scuola della bottega artigiana del falegname non deve temere nessuna crisi. Il lavoro c’è sempre per chi sa adattarsi ai tempi.

 

 

 

Il lavoro nel settore calzaturiero tra passato e presente.

 

La signora Rosa, sposata con Patrizio Acciarri è una vita che lavora nell’azienda di famiglia, in via Pavese n°4. Da ragazza, l’apprendistato presso la ditta Sagripanti, una volta coniugata, subito con il marito che aveva la prima fabbrica di scarpe assieme al fratello Lucio in via Leopardi. Nel 1965 ha inizio l’attività della fabbrica, 40 anni di lavoro nel settore  calzaturiero, 30 circa gli operai attualmente in attività presso la fabbrica di via Pavese, considerando anche i cassintegrati, più altri che lavorano all’esterno  nell’indotto, come le orlatrici o nei solettifici, tomaifici e tacchifici. “E’ stata una vita di duro sacrificio, ma se avessi la possibilità di ritornare indietro”, dice la signora Rosa, “rifarei tutto quello che ho fatto. Lavoro tuttora, ho cresciuto tre figli: Noemi, assistente Sociale presso la Comunità di recupero PARS  di Corridonia, Stefano e Mirko, l’uno che continua il lavoro nell’azienda di famiglia, l’altro studente universitario. Sono fiera dei miei figli, ho insegnato loro che il lavoro è sacrificio ma che dà anche tante soddisfazioni, quale quella di formare una famiglia. Oggi non si è più tanto disposti a fare sacrifici perché si rivendicano solo dei diritti. Si fa fatica a formare una famiglia perché si cerca un lavoro che non sempre è quello che uno vorrebbe. Figli ne nascono sempre meno.  Le ore di lavoro di mio marito in fabbrica non si contano. Vanno dal mattino presto fino a sera tarda, certo che se si accampano solo richieste ed anche le più sciocche, non ci si prepara alla vita che impone dei sacrifici”.

 

“Il lavoro nel settore della calzatura è in difficoltà”, afferma Mirko, che lavora nell’azienda di famiglia, “perché c’è una concorrenza sleale a tutti i livelli. Il governo consente che le grandi fabbriche possano aprire all’estero dove il costo del lavoro è inferiore, ma non ha aiutato né sta aiutando la piccola fabbrica che è costretta a dimezzare il lavoro, mettere in cassa integrazione i propri operai o chiudere del tutto l’attività, incapace di reggere alla concorrenza delle fabbriche più grosse. Globalizzazione e delocalizzazione sono fenomeni che interessano ogni attività, specialmente quella calzaturiera. C’è da aggiungere poi che un ragazzo o ragazza che ha studiato vede il lavoro alla manovia come umiliante e poco gratificante, ma si ha sempre bisogno di operai che si piegano a fare i lavori anche più semplici ed umili, quale quello di passare il mastice, ecco allora che quei posti vengono occupati da extracomunitari. Nel mio caso, continuo il lavoro nell’azienda di famiglia, anche se ho studiato e posso ritenermi un fortunato. Non ci dobbiamo lamentare più di tanto però se in parte le attuali difficoltà sono volute ed altre sono il frutto di scelte più grandi”.

 

Fino a pochi anni fa il quartiere di San Marone era un pullulare di fabbriche: solettifici, tomaifici, tacchifici, ora nel quartiere rimangono solo poche fabbriche, segno evidente che cambiano i tempi, ma importante è che non cambino le persone. Il lavoro è alla base della dignità di ognuno. E’ nel lavoro che si costruisce l’identità personale e collettiva. Grande poi è la responsabilità di chi gestisce la fabbrica perché se questa va bene e produce ricchezza, non solo d’ordine commerciale, come invece si sta registrando nel settore calzaturiero, nascono competenze e conoscenze che contribuiscono ad innalzare il benessere di tutti.

 

Raimondo Giustozzi

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