di Raimondo Giustozzi
La marcia su Roma, organizzata dal Partito Nazionale Fascista, volta al colpo di Stato, con l’obiettivo di favorire l’ascesa di Benito Mussolini alla guida del governo in Italia, avviene nei giorni 27- 31 ottobre 1922. E’ la conclusione di un lungo processo storico che inizia più di tre anni prima. Sull’avvenimento è stato scritto e prodotto di tutto: saggi, romanzi, film e documentari. Giorgio Dell’Arti, giornalista di lungo corso, scrive su “la Repubblica”, “Oggi”, “Vanity Fair”, ha dato alle stampe per La nave di Teseo, un libro originale: La marcia su Roma. L’autore del saggio, duecento cinquantaquattro pagine, formato semi tascabile, ripercorre con un linguaggio brioso: eventi, personaggi e date consegnate alla storia.
La narrazione si dipana sotto la forma del dialogo. “Si parva licet”, scrive nella breve presentazione di appena undici righe, nelle quali spiega chi sono i due personaggi che dialogano tra loro: “Il personaggio che fa le domande sono io, che fingo di non sapere nulla. E il personaggio che fornisce le risposte sono sempre io, che fingo di sapere tutto”. Quest’ultimo sarebbe il narratore onnisciente. “Si parva licet componere magnis” è parte di un verso virgiliano (Georgiche, IV, 176). “Se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi”, sembra voglia dire il giornalista, io uso la stessa tecnica di Platone, quando il filosofo greco riporta il pensiero di Socrate, nella forma del dialogo. E’ una simpatica “captatio benevolentiae”, conquistare la benevolenza dei lettori.
Giorgio Dell’Arti non inventa nulla. Usa le fonti storiche in suo possesso, ma conosciute da tutti, con sagacia e precisione. Giustino Fortunato, grande meridionalista, Benedetto Croce, filosofo, Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi, Enrico De Nicola, Giovanni Amendola, tra i politici più in vista del tempo non capiscono la deriva mussoliniana. Pensano che il Fascismo sia un fenomeno passeggero. Giovanni Amendola, sicuro antifascista, che gli squadristi avrebbero ammazzato di botte nel 1926, il primo ottobre del 1922, nel corso di un incontro con i liberal – democratici di Sala Consilina, si augurava che i fascisti fossero chiamati al governo. Fascismo e Socialismo non erano che due braccia delle quali di volta in volta la democrazia avrebbe potuto servirsi per il conseguimento delle sue finalità nazionali. Un altro illuso” (Giorgio Dell’Arti, la marcia su Roma, pag. 23, La nave di Teseo editore, Milano, 2022).
Solo Giacomo Matteotti capì subito la natura eversiva del Movimento fascista. Nel discorso alla camera del 10 marzo 1921 denunciò in parlamento non solo gli orrori fascisti ma anche le protezioni di cui i fascisti godevano: “Il brigadiere dei carabinieri di Pincara cantava, beveva, sparava insieme ai fascisti di cui era socio (…) I carabinieri di Loreo, quando parecchi individui sono andati a riferire loro di fascisti che li avevano percossi, hanno arrestato i denunziatori (…) Il comandante dei carabinieri di Lendinara proclama che i socialisti debbono essere tutti ammazzati, e che appena finita la sua ferma egli si farà fascista. Il tenente dei carabinieri di Rovigo è udito prendere i suoi accordi con i locali agenti di queste violenze, e in prefettura a me dichiara che le violenze usate nel Polesine contro i leghisti non sono che la legittima ritorsione delle violenze commesse in provincia di Bologna” (Ibidem, pag. 29). I leghisti sono gli iscritti o semplici simpatizzanti delle leghe bianche fondate dal partito dei cattolici o leghe rosse fondate dai socialisti.
Millenovecentoventidue. Il libro, declinato in dodici brevi capitoli, si apre con l’anno che fa da cornice alla marcia su Roma. L’autore passa in rassegna tutto ciò che avviene in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. Il millenovecentoventidue è l’anno di nascita di Enrico Berlinguer, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman. Nello stesso anno muoiono Marcel Proust e Giovanni Verga. A Parigi esce il romanzo Ulisse di Joyce. Totò ha ventiquattro anni, De Sica ventuno. Fellini due, Nino Manfredi uno. Mastroianni non è ancora nato. A Milano, al cinema Provvisorio, corso Vittorio Emanuele 22, uno spettatore spara contro lo schermo nel tentativo di fermare i gangster inseguiti dalla polizia. L’America da un anno impazza per Rodolfo Valentino, e il mondo per il monello di Charles Chaplin. Funzionano i telefoni, la televisione, no. La radio muove i primi passi in Europa. Guglielmo Marconi continua con i suoi esperimenti. Il teatro vive un anno straordinario. A Brooklyn esordisce l’attore Humphrey Bogart. Nel Bel Paese Eleonora Duse calca ancora le scene. Al Manzoni di Milano, nel mese di febbraio, va in scena l’Enrico IV di Pirandello. L’anno prima, al Valle di Roma, avevano debuttato i Sei personaggi, sempre di Luigi Pirandello. Gabriele D’Annunzio ha cinquantanove anni.
L’Italia, nonostante i seicentomila soldati morti nella Grande Guerra, tra il 1915- 1918 crollano i matrimoni, conta circa quaranta milioni di abitanti. Il saldo tra vivi e morti segna ogni anno un più trecentomila. In America è presidente Warren Gamaliel Harding. Muore a quarantasette anni. Era repubblicano. Non lo ricorda più nessuno. In Russia si ammala Lenin e Stalin diventa il segretario di partito. Proprio nel 1922 nasce l’URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In Turchia, Kemal Pascià, detto Atatürk, trasforma il paese in uno stato laico. In Germania, sconfitta nella Grande Guerra, il marco tedesco comincia a precipitare. La Repubblica di Weimar cade in una crisi profonda. membri della Consul, organizzazione nazionalista e nemica degli ebrei, uccidono Walther Rathenau, il ministro degli esteri della Repubblica. Gli sparano mentre era in macchina. Non convinti di averlo ucciso gli tirano addosso anche una bomba. Hitler muove i primi passi. Della Consul respira l’antisemitismo. Il resto lo farà negli anni successivi, prendendo a modello Mussolini, ma superandolo di gran lunga.
Sul trono pontificio, l’arcivescovo di Milano, Achille Ratti, succede a Benedetto XV con il nome di Pio XI. Il nuovo Papa aveva sempre manifestato simpatia per Mussolini. Con il Concordato del 1929 arriverà a chiamarlo “l’uomo della Provvidenza”. Pio XI non manifesta alcun interesse per il partito cattolico, chiamato da don Sturzo “Partito dei cattolici”. Alle elezioni del 1919 il nuovo partito aveva ricevuto una valanga di voti, tanto da diventare l’ago della bilancia tra Socialisti e Liberali. Gli italiani iniziano a conoscere i nomi di Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi, Antonio Segni e Luigi Einaudi. Gli ultimi tre, passata la bufera della seconda guerra mondiale, saranno presidenti della Repubblica. Einaudi nel 1922 ha quarantotto anni. Scrive sul “Corriere della Sera”, riservando qualche lode al fascismo che “Tutela le ragioni supreme dell’economia nazionale e della libertà umana, contro l’arbitrio politico, il monopolio economico e la distruzione della produzione” (Ibidem, pag. 20).
Nel secondo e terzo capitolo del libro, l’autore descrive e racconta le forze politiche in campo: Liberali, cattolici e socialisti. Gli ultimi sono divisi tra massimalisti (Arturo Labriola, Amadeo Bordiga, Costantino Lazzari, Giacinto Menotti Serrati) e riformisti (Filippo Turati, Andrea Costa, Leonida Bissolati). I liberali (Francesco Crispi, Giovanni Giolitti, Agostino Depretis) tengono in mano il timone del paese dal 1861 al 1922. I cattolici, dopo il superamento del “Non expedit, impedire oportet”, lanciato da Pio IX per protestare contro gli iniqui Patti delle Guarentigie, si organizzano come Partito dei cattolici. Diventano elettori e sono anche eletti nei diversi collegi elettorali. Entrano in Parlamento alla spicciolata. Iniziano con il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, antenato dell’attuale Paolo Gentiloni, commissario europeo per gli affari economici e monetari. L’anno di svolta è il 1913. Giovanni Giolitti ha bisogno dell’appoggio dei cattolici. Questi ultimi trovano un accordo ed entrano nell’agone politico. Un altro anno di svolta per i cattolici è il 1918. Don Luigi Sturzo, prete di Caltagirone, fonda il Partito Popolare. Non è il partito cattolico ma dei cattolici come disse subito: “Il cattolicesimo è universalità; il partito è politica, divisione”.
I capitoli quarto, quinto e sesto, intitolati rispettivamente “Professor Mussolini”, “Mussolini depresso” e Mussolini reazionario” descrivono tutta la vicenda politica di Benito Mussolini da socialista massimalista qual era, come emerse in modo chiaro l’8 luglio 1912 al Congresso socialista di Reggio Emilia, fino alla fondazione dei Fasci di combattimento (Milano 23 marzo 1919) trasformati il 9 novembre 1921 nel Partito Nazionale Fascista. In questo lungo arco temporale si inserisce tutta l’attività di Mussolini, come direttore dell’Avanti, quotidiano socialista, giornalista de l’Avvenire del Lavoratore, in Svizzera. Ottenuto il diploma di maestro elementare, Mussolini, per evitare il servizio militare, scappa in Svizzera. In terra elvetica si piega a fare tutti i lavori per sbarcare il lunario: manovale, muratore, commesso di bottega, garzone di vinaio, macellaio, operaio in una fabbrica di trebbiatrici Marzal. Rientrato in Italia, nel 1904, fa il servizio militare, è maestro elementare a Tolmezzo, cameriere a Forlì, nell’osteria del padre. Nel 1908 è insegnante di francese a Oneglia. Nel 1909 è segretario del segretariato trentino del lavoro. Ovunque vada, il suo interesse precipuo è di scrivere su tutte le testate giornalistiche che riesce ad avvicinare.
Scoppiata la Grande Guerra, combatte come soldato in trincea. “Resta ferito dallo scoppio di un lanciagranate. Dopo l’ospedale viene congedato. Era il 1917”. Terminata la guerra, continua la propria militanza politica, non più nel Partito Socialista dal quale viene cacciato, ma in un partito tutto suo nel quale intende raccogliere tutto il malcontento del momento storico. Nonostante l’impegno, nelle elezioni del 1919 il suo partito prende appena duemilacinquecento voti. Non viene eletto né lui né nessun fascista. Mussolini, che voleva erodere voti al Partito Socialista, vira a destra e raccoglie l’attenzione della ricca borghesia agraria che finanzia le prime squadre fasciste e il nuovo partito.
Gli squadristi (capitolo VII, pp. 123- 139) diventano sempre più agguerriti in alcune geografiche del paese, soprattutto a Trieste e nella Venezia Giulia. “L’odio tra sloveni e italiani aveva dato luogo a incidenti molto gravi. L’11 luglio, siamo sempre nel 1920, gli slavi avevano ammazzato Tommaso Gulli, capitano della nave Puglia, e il motorista Aldo Rossi. Due giorni dopo, a Trieste, Giunta organizzò in piazza dell’Unità una manifestazione di solidarietà nazionale (…) Alle 18 del 13 luglio dell’anno in corso, una gran folla si riunì nella stessa piazza. Mentre Giunta, in piedi sul parapetto della fontana dei Quattro Continenti, teneva la sua orazione, Giovanni Nini, un apprendista cuoco di Novara, diciassette anni, in prova al ristorante Bonavia, veniva accoltellato a morte sotto i portici. I fascisti per vendetta andarono in massa a dar fuoco al Narodni Dom, il centro culturale sloveno della città, al cui interno stavano l’Hotel Balkan, un caffè, un teatro, una banca, appartamenti e uffici” (Ibidem, pp. 125- 126). Ciò che accadde a Trieste gettò un solco profondo tra i due nazionalismi, quello italiano, cavalcato dal fascismo e quello sloveno. Renzo De Felice definisce l’episodio il “Vero battesimo dello squadrismo organizzato”, che continua con disordini a Venezia, Trieste, Monfalcone, Pola, Val Padana e Bologna. Gabriele D’Annunzio intanto viveva a Fiume il celebre “Natale di sangue”. I suoi legionari vennero spazzati via dall’intervento dell’esercito italiano. Mussolini, che temeva la concorrenza del vate d’Italia, fu quasi contento del trattamento riservato al rivale. Le squadre fasciste imperversano in altre parti d’Italia, contro le leghe e il partito socialista.
Gli ultimi cinque capitoli: L’estetica della violenza (Cap. VIII, pp. 141- 157), Marciare o non marciare (Cap. IX, pp. 159- 179), La marcia sotto la pioggia (Cap. X, pp. 181- 202), “Prepara la valigia” (Cap. XI, pp. 203- 229) e Una camera di morti (Cap. XII, pp. 231- 244) rappresentano l’epilogo del libro, che si chiude con una bibliografia (pp. 245- 246).
Il Fascismo, nelle manifestazioni pubbliche, ostenta fin da subito tutta una coreografia tesa a impressionare: squilli di trombe, gagliardetti levati in aria e agitati. Le personalità fasciste indossano tutte la camicia e il fez nero. Mussolini entra nella scena in pompa magna: “Indossa la camicia nera e reca sulle maniche i distintivi del grado, simili a quelli di generale d’esercito. Attraversa il palcoscenico fra uno scroscio di applausi. Tutto il teatro sorge in piedi, dai palchi e dalla platea molti sventolano cappelli e fazzoletti” (Ibidem, pag. 142). Le violenze fasciste imperversano in ogni dove: “Nel primo semestre del 1921 i fascisti avevano costretto alle dimissioni, con la violenza, i consigli comunali di trecentosessantacinque città. Tutti i comuni rossi. Distrutte diciassette tipografie e sedi di giornali della sinistra, cinquantanove Case del popolo, centodiciannove Camere del lavoro, centosette cooperative, ottantatré leghe contadine, otto società di mutuo soccorso, centoquarantuno sezioni e circoli socialisti e comunisti, cento circoli di cultura, dieci biblioteche popolari e teatri, un’università popolare, ventotto sedi di sindacati operai, cinquantatré circoli operai e ricreativi” Ibidem, pag. 143). Il massacro continuava con più veemenza nel 1922 con uccisioni, incendi e distruzioni. La forza pubblica stava a guardare.
Mussolini parla per la prima volta di “marcia su Roma” a Cremona, in un discorso del 26 settembre 1922; sei giorni prima aveva pronunciato parole forti a Udine, indicando nella città eterna “una delle poche città che ci siano al mondo, perché a Roma, tra quei sette colli così carichi di storia, si è operato uno dei più grandi prodigi spirituali che la storia ricordi; cioè si è tramutata una religione orientale, da noi non compresa, in una religione universale, che ha ripreso sotto altra forma quell’imperio che le legioni consolari di Roma avevano spinto fino all’estremo confine della terra” (Ibidem, pag. 170). Era l’inizio della catastrofe. Retorica, avventura, religione e politica formavano una miscela esplosiva che avrebbe incendiato tutto.
L’accenno a Roma ritorna con insistenza nel discorso tenuto a Napoli, martedì 24 ottobre 1922: “Io vi dico con tutta la solennità che il momento impone – si tratta ormai di giorni e forse di ore: o ci danno il governo o lo prenderemo calando su Roma” (Ibidem, pag. 178). La marcia su Roma si concretizza materialmente dal 27 al 31 ottobre 1922, quando squadre fasciste muovono da Perugia e Orte verso Roma, Il re non firma lo stato d’assedio che il ministro Facta aveva pur preparato. Se lo avesse firmato, i fascisti sarebbero stati spazzati via, ma non lo fece, anzi chiamò Mussolini a Roma per formare il nuovo governo. Mussolini telefona alla moglie Rachele Guidi, dicendole: “Prepara la valigia con un po’ di roba e un vestito. Devo andare a Roma”. Il titolo dell’ultimo capitolo “Una camera di morti” è preso dall’intervento che Filippo Turati pronunciò in Parlamento. Era il 16 novembre 1922: “La camera non è chiamata a discutere la fiducia, ma a darla e se non la dà, il governo se la prende. In questo modo è diventata una camera di morti”(Ibidem, pag.243). Iniziava per l’Italia una nuova pagina di storia. La dittatura era dietro l’angolo. Bello il libro di Giorgio Dell’Arti. L’autore affronta la storia con un taglio giornalistico accattivante e vivace.
Raimondo Giustozzi
Giorgio Dell’Arti – Biografia
Giorgio Dell’Arti, nato a Catania il 4 settembre 1945, è giornalista, scrittore, conduttore radiofonico e storico, fondatore nel 1987 del supplemento settimanale Il Venerdì di Repubblica. Editorialista della Gazzetta dello Sport e della Stampa, giornalista della testata Paese Sera; dal 1992 ha collaborato come libero professionista con tutti i quotidiani e i settimanali italiani. E’curatore dell’edizione del lunedì de Il Foglio. Attualmente scrive per Vanity Fair, Il Sole 24 Ore, Voce Arancio settimanale online. È suo il sito Cinquantamila, fondato nel 2011 in partnership col Corriere della sera, e realizzato in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. Cinquantamila, approssimativamente, sono i giorni di cui è composta la storia italiana a partire dal 1861. Oggi Giorgio Dell’Arti dirige un giornale che il lettore riceve in abbonamento via mail al mattino dalle 7 in punto, quotidiano costruito con i migliori pezzi pubblicati dalle testate ancora prima che queste raggiungano l’edicola. Ci lavora tutte le notti, leggendo otto quotidiani in anteprima, dalle due del mattino fino alle 6.40. Si chiama – appunto – Anteprima.
Intensa è anche l’attività radiofonica di Giorgio Dell’Arti. Su Radio uno nel 2009 ha curato il programma di approfondimento “Ultime da Babele”. Dal 2014 invece conduce “Radio1 in Corpo 9”. Nel 2010 ha vinto il Premio Livio Zanetti, intitolato al celebre direttore, prima dell’Espresso, poi di Radio uno della Rai.
Giorgio Dell’Arti non è solo giornalista ma anche scrittore. E’ stato finalista del Premio Viareggio con il libro “Il giorno prima del ‘68”. Ha pubblicato una biografia di Cavour, scritta in forma di dialogo, uscita a puntate su La Stampa e poi pubblicata come “Cavour, vita dell’uomo che fece l’Italia” con l’editore Marsilio, un romanzo sul debito pubblico italiano“I nuovi venuti”, per le Edizioni Clichy e un altro romanzo sulla mitologia greca, intitolato infatti “Bibbia pagana”, sempre per le Edizioni Clichy. Ha scritto con Rosario Villari “La Storia del Risorgimento”. Quattro edizioni e 25.000 copie vendute per “L’uomo di fiducia”, Mondadori 1999, intervista con Ettore Bernabei, direttore generale della Rai dal 1961 al 1973. Presso la nave di Teseo ha pubblicato i libri: le guerre di Putin (2022), gli onorevoli duellanti, ovvero il mistero della vedova Siemens (2020).
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