I musei raccolgono e presentano oggetti relativi a comportamenti, storie, manufatti, interessi, pensieri e studi umani. L’istituzione pubblica o il gruppo sociale che ne ha promosso almeno uno, vi trova un senso anche rispetto alla propria ragion d’essere, presentare ad altri qualcosa che si è o si è fatto. Ovviamente, a quel punto devono esserci appunto gli “altri”, un “pubblico” che lo frequenta con proprie specifiche ragioni. Se siamo stati formati ad apprezzare la funzione necessaria dei musei, se abbiamo tempo e voglia in quella fase della nostra esistenza, un pubblico vasto tende a cercare la “bellezza” nelle raccolte, un piacere nella visita, mentre pubblici di nicchia sono incuriositi dal tema proposto, bello o brutto sia quel che vede. La nicchia interessata a un museo che tratta il carattere migrante dei sapiens a prescindere da tempi e luoghi, o che tratta la propria emigrazione quando si è ormai immigrati altrove o che tratta la propria immigrazione quando è stata vissuta sulla pelle di tante fatiche supplementari, appare obiettivamente ristretta. Eppure sono ormai molti i musei delle migrazioni nel mondo, per quanto in genere relativamente poco visitati, almeno in Italia.Abbiamo visto che le prime istituzioni risalgono agli anni settanta, per crescere molto di quantità e qualità nei decenni successivi, in paesi di un po’ tutti i continenti; abbiamo visto che in Italia ne esistono tanti, dedicati più alle emigrazioni che alle immigrazioni e che ormai ha aperto anche quello nazionale; abbiamo iniziato a vistarne alcuni oltre allo stesso MEI di Genova, il secondo virtuale. Dalle prime verifiche certamente non sono in testa alle classifiche delle presenze di pubblico, seppur rivestano ormai un ruolo rilevante nella programmazione didattica di tante scuole.
A Genova nel 2022, nei circa sette mesi dall’inaugurazione alla fine dell’anno, i veri e propri “visitatori” del grande curato Museo nazionale dell’emigrazione (MEI) sono stati 2600, non ci sono i dati sulla provenienza e sulla composizione: il cosiddetto passaporto volontario all’inizio del percorso non è stato pensato per la profilazione, viene chiesto soltanto di assumere un’identità che possa fare entrare nelle storie dei migranti attraverso i successivi strumenti digitali, ma tutti i dati possono essere liberamente inventati. Per l’attività didattica, nel 2022 sono entrate 23 classi, sia a girare che a svolgere alcune delle belle attività previste. Un po’ meglio sta andando nei primi mesi del 2023, fra l’altro già a metà gennaio si erano prenotate 32 classi per i mesi successivi. Obiettivamente piccoli numeri, pur considerando la recentissima apertura e l’ovvia difficile comunicazione a un pubblico “nuovo” (più o meno di nicchia) potenzialmente interessabile. Gli orari sono: da martedì a venerdì dalle10 alle 18, sabato e domenica dalle 11 alle 19, lunedì chiuso. Il costo del biglietto: intero 7 euro, ridotto (ragazzi dai 7 ai 17 e oltre i 65 anni) 5, famiglie (due adulti e un ragazzo) 16, scuole 5, gratuito per bambini sotto i 7 anni.
A Recanati nei primi nove anni di apertura (dal dicembre 2013) vi è stata una media di circa 10.000 visitatori l’anno (considerato anche il quasi triennio di restrizioni per la pandemia), circa un terzo di studenti in visita collettiva con le classi scolastiche di appartenenza. Il piccolo bel Museo dell’Emigrazione marchigiana è ospitato in una villa ove sono frequentabili altre particolari esposizioni civiche (storia, Lotto, Leopardi, mostre temporanee), ma il novanta per cento di chi vi arriva segue proprio il percorso dell’emigrante. Gli orari sono: da martedì a domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18, lunedì chiuso. Numeri discreti e in crescita, ora che si può circolare più liberamente. Il costo del biglietto comprende l’intero circuito museale della villa o della città, da 9,50 euro, con specifiche condizioni di riduzioni o gratuità (ragazzi fino a 13 anni, guide, persone con disabilità, giornalisti). Dal 10 dicembre 2022 è stato possibile accedere anche col tour virtuale, lo hanno fatto ben 2.500 sapiens solo nel primo mese (merito soprattutto delle connessioni con l’Argentina). Interessanti sono i dati anche del museo virtuale dell’emigrazione emiliano-romagnola: la piattaforma MIGRER è nata un paio di anni fa (online verso la fine del 2019) e fino a marzo 2023, ha avuto circa 114.000 visualizzazioni, mentre oltre 37.000 utenti hanno proprio “visitato” il museo virtuale.
L’aspetto decisivo è che in apposite aree, sia di Recanati che di Genova, è possibile occupare la postazione multimediale che consente di consultare l’archivio on line del Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana (CISEI), sviluppato nell’ultimo decennio e attualmente ricco di oltre 5 milioni di nomi di emigrati italiani. Il CISEI è stato costituito proprio a Genova e ha oggi sede presso il MEI. Il Centro studi fu ideato per conservare e valorizzare la memoria dell’emigrazione italiana, con il duplice obiettivo di creare un archivio documentale nazionale dell’emigrazione storica italiana e di stabilire contatti a livello nazionale e internazionale con altri centri studi ed istituzioni museali che si occupano di migrazioni in Italia a livello regionale, in Europa e nel mondo; nel 2001 l’Autorità Portuale di Genova avviò il progetto e riunì le istituzioni liguri, il mondo dell’università e della ricerca in un Comitato Promotore; nel 2006 divenne realtà acquisendo lo status di Associazione, dotata di Statuto, Assemblea, Consiglio e di un Comitato scientifico di cui fanno parte studiosi della materia. Il CISEI svolge in ambito MEI le funzioni di Centro Studi, Biblioteca e piattaforma CISEINET di comunicazione con gli emigrati nel mondo.
Nella natia Recanati mi sono seduto con calma e collegato all’archivio del CISEI, digitando nel mio caso Calzolaio e rintracciando intanto 20 collegamenti di cognome. Uno si trova negli Stati Uniti (ne avevo probabilmente individuato già traccia anche sul significativo muro di Ellis Island, decenni fa a New York), il 25enne Cosimo nel 1902; cinque sono in Brasile, la 36enne Antonia nel 1896, poi altri maschi sempre nel 1896 (un marito o un fratello e due figli, all’apparenza), ultimo il 16enne Raffael nel 1953, tutti a San Paolo. Quattordici si trovano in Argentina (senza ulteriore specifica di località), immigrati là giovani o minori quasi tutti il 23 settembre 1910, solo uno nel 1926, il 22enne Humberto. Non si tratta, dunque, di venti differenti emigrazioni dall’Italia, piuttosto di gruppi familiari attraverso reti migratorie verso le Americhe che riguardano tanti altri connessi cognomi.
L’archivio consultato si è in base alle partenze avvenute dal porto di Genova soprattutto nel periodo della grande emigrazione italiana di fine Ottocento e inizio Novecento, il porto principale e i numeri maggiori, ha subito coperto luoghi e tempi cruciali. Via via i dati sono stati messi in rete e integrati, in modo corretto e scientifico, tuttavia non possono essere completi né per i periodi molto precedenti né per le tortuosità dei percorsi migratori di vettore, transito, rientro, ricollocazione, ricongiungimento, rilancio, tanto più nei decenni e per le generazioni successive all’arrivo. Basta vedere i milioni di presenti ancor oggi in molti dei paesi di tutti i continenti come italiani all’estero (gli oriundi o i cittadini votanti di cui si parla in questi giorni, in particolare per l’Argentina, da sola oltre 4 milioni). Calzolaio vi saranno forse da altre parti, altri saranno tornati magari a vivere in Italia, altri probabilmente saranno partiti dopo senza quel biglietto che contrassegnava un tempo proprio la emigrazione.
Credo sia impossibile “rintracciare” tutte le migrazioni del passato, ognuno di noi è figlio di migrazioni millenarie, secolari e recenti, in vario modo; siamo tutti meticci, in varia forma. Lo studio del DNA antico qualcosa ci ha detto delle ibridazioni anche con altre specie e dei percorsi più antichi dei sapiens in questi ultimi due-trecento mila anni. Lo studio del DNA dei contemporanei ha dapprima aggiunto molto altro sulle nostre originarie vite migratorie, c’è chi si incuriosisce e incasella la propria piramide alla rovescia, pur se risulta discutibile ci sia un punto di arrivo individuale.
I sapiens che viviamo oggi, in un qualsiasi dato ecosistema o luogo, non discendiamo esclusivamente da coloro che vivevano nello stesso posto nel lontano passato. Le popolazioni hanno avuto un ricambio continuo, la mescolanza di gruppi estremamente differenziati è stata un fenomeno ricorrente, le popolazioni a noi contemporanee sono una miscela di quelle passate, che erano miscele a loro volta. Oggi tutti i circa 8 miliardi di sapiens siamo figli di antichissime continue mescolanze e migrazioni: fatta salva una più remota comune origine africana, la formazione dell’attuale popolazione dell’Eurasia è stata certo favorita dalla diffusione dei produttori di cibo. Di tutto ciò vi è scarsa traccia, tuttavia, nei musei delle migrazioni. Forse è dato per scontato, più probabilmente non viene considerato rilevante per parlare dei flussi migratori moderni e contemporanei. Erroneamente. Non c’entra l’etnografia, c’entrano la biologia evoluzionista, l’antropologia, la geografia, l’archeologia, la sociologia.
Recentemente è stata proposta una tipologia, in particolare con due articoli nel 2021 su Museology and Cultural Heritage e con il saggio del 2022 in inglese di una giovane storica polacca Michalina Petelska, su una rivista specializzata. Spiega quest’ultima autrice, elencando e poi descrivendo i sei tipi che riassumono la situazione esistente:
Migration museums are perceived by some professionals as specialised, thematic historical or ethnographic museums, […] the diversity of historical and contemporary migratory movements in connection with the current dynamic development of museums. Among the migration museums, the following types were grouped and distinguished: museums which comprehensively address the subject of various migrations, museums in the historical infrastructure of migration, open-air migration museums, museums dedicated to specific events, migration museums established by immigrant communities and virtual migration museums. The importance of addressing the topic of migration in other types of museums, such as maritime, ethnographic, historical and art museums, is also highlighted. Covering the global network of migration museums allows us to search for answers to the question of the role of museums at a time when refugees and climate migrations will be among the greatest challenges for humanity.
Il saggio è molto interessante: descrive il dibattito internazionale interno alla museologia, porta e compara molti esempi concreti (citando anche quelli che, a inizio 2022, stavano per aprire come il MEI o erano già chiusi come quello parigino nella discutibile collocazione), ragiona su tempi e modi dell’istituzione dei principali, contiene un’ampia seppur parziale bibliografia, offre spunti importanti. E, soprattutto, sollecita nelle conclusioni un archivio critico mondiale, ben più completo e interdisciplinare, che conduca a un ripensamento teorico di come vanno propriamente pensati i musei delle migrazioni per capire meglio il fenomeno migratorio e attirare più visitatori:
“Migration museums can be a site for studying migration on two different levels. The first one is the analysis of the source materials collected at the museum (both physical objects and oral history archives). The second research option is even more interesting: by looking at museums of migration, one can analyze the way in which the narrative of migration is constructed in the broader context of historical policy. The subject of the analysis may be the educational activities of the museum, the narration of exhibitions, but also the context of who (local government, the state, a private foundation) created the museum, or what kind of migration (emigration, diaspora, immigration, refugee) is described therein”.
“The global network of migration museums is also of secondary importance. Migration museums seem to be the most suitable partners of any type of museum for geopolitical researchers. This applies both to the historical aspect of shaping social and political relations, and to studies on the contemporary geopolitical situation. In the narrative of migration museums, a lot of space is occupied by the political and economic causes of historical and contemporary migrations, as well as historical and contemporary migration routes. Museums – including migration museums – are also part of the public history. Contemporary museums have successfully attracted a wide range of visitors with different needs and ages with their offer, and have become institutions that enable lifelong learning. At a time when scientists forecast that various types of migration (climate, refugees) will be one of the greatest and permanently present challenges facing humanity, it is worth emphasising that migration museums can be a place where wide social circles can acquire reliable knowledge about migration”.
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