La Scuola Media “Enrico Mestica” esiste a Civitanova Marche dal 1937, anno della sua istituzione. Durante il periodo bellico, per i continui bombardamenti che si rovesciano su Porto Civitanova, è trasferita a Civitanova Alta. Nel 1948 è riportata a Porto Civitanova, come risulta dagli atti della segreteria. Nel 1962, a seguito della legge N° 1859 (31 dicembre 1962), che istituisce la Scuola Media unica e obbligatoria, diventa “Media Unificata” e nel 1964 ha la propria sede nel Palazzo Mestica di Corso Garibaldi. Da questa sede, verso la metà degli anni ottanta, è spostata al Centro Aurora, zona Capacchietti, dove rimane per circa dieci anni. Nell’anno scolastico 1994 / 95 si trasferisce nell’attuale sede di via Quasimodo 18. La cerimonia di inaugurazione della nuova sede aveva luogo mercoledì 21 dicembre 1994 alle ore 10,00. Erano presenti il preside prof. Aldo Arbuatti, il sindaco arch. Barbara Pistilli, consiglieri e assessori del comune di Civitanova Marche. Nell’anno scolastico 2012 / 2013 viene inglobata nell’Istituto Comprensivo di via Tacito, come scuola secondaria di primo grado.
Ho insegnato nella Scuola Media Mestica, come docente di lettere, dall’anno scolastico 1997/ 98 e ininterrottamente fino all’anno 2011 / 2012. Mi sono trovato subito a mio agio. Ero ritornato dalla Lombardia nell’anno scolastico 1995 / 1996 e nel 96 / 97 insegnai nella Scuola Media Annibal Caro, succursale di Civitanova Alta, ora Scuola Media Ungaretti. Dal 1980 / 81 al 1994 / 1995 ho insegnato in modo continuativo nella Scuola Media di Verano Brianza (Mb). Dal 1976 / 1977 / al 1979 / 1980 ho svolto il mio lavoro di docente in diverse scuole del milanese. Appena arrivai alla “Mestica” notai che la scuola era dotata di strutture didattiche all’avanguardia: due aule di Informatica, laboratorio linguistico, niente di diverso da quello che avevo lasciato in Brianza, anzi per certi versi anche migliore. Proposi subito di dar vita alla rivista della Scuola. L’idea venne accettata dal Collegio dei docenti. Il giornalino della scuola, www.mestica.it uscì quasi tutti i mesi con il concorso di alunni e docenti.
Nei quindici anni pubblicai 134 numeri della rivista e circa venti inserti su temi i più diversi: ecologia, droga, poesie, racconti. Feci aderire gli alunni al progetto del Resto del Carlino, Cronisti in Classe. Nelle sei edizioni, alle quali partecipammo, la scuola risultò tre volte vincitrice e due volte arrivò seconda tra dodici- tredici scuole della provincia di Macerata. Non partecipammo alla prima edizione di Cronisti in Classe perché in quell’anno preferii impegnare gli alunni nel progetto Il Giornale nella Scuola, indetto dall’ordine nazionale dei giornalisti. La rivista www.mestica.it fu segnalata come una delle migliori tra le tante altre testate a livello nazionale. Ricordo che alcuni rappresentanti, assente per altri impegni Angelo Del Boca allora presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, vennero a conferirci il riconoscimento nell’aula magna dell’Istituto.
La rivista, chiamarla giornalino è riduttivo, è lo specchio di quindici anni di vita della scuola. Ogni numero era sempre aperto da un piccolo editoriale che faceva riferimenti ai temi trattati o ai problemi del momento. Ogni classe si trasformava in una piccola redazione che mandava gli articoli alla redazione centrale, coordinata da me e che si riuniva quando era possibile. C’erano alcune rubriche fisse: l’angolo della posta, l’officina del racconto, curiosità, fumetti, cruciverba, sport. Le pubblicazioni più numerose riguardavano: racconti fantastici, fantascientifici, umoristici, storici, gialli, novelle, fiabe, favole, miti, leggende, testi d’esperienza, d’avventura, poesie. Dopo aver letto, a seconda degli anni di studio, prima, seconda e terza media, i diversi tipi di testo, invitavo gli alunni a scrivere loro un proprio testo che si avvicinasse in qualche modo ai testi letti. Qualche ex alunno ancora oggi, quando mi incontra, mi racconta che alle superiori gli insegnanti notavano l’esercitazione fatta precedentemente. E’ una piccola gratificazione in mancanza di quella economica. E’ il mestiere dolce amaro dell’insegnante.
La Mestica, edificio a due piani con circa ventiquattro aule, più altre, usate come laboratori, un grande auditorium, gli uffici di segreteria, e il grande giardino che le gira intorno, si trova all’interno di una vasta porzione di terreno, delimitata ad Ovest dalla via S. Quasimodo, a Sud dalla via G. Verga, a Nord dalla via G. Deledda, ad Est da un diverticolo che costeggia il supermercato COOP. Oltre l’illustre filologo Enrico Mestica a cui la scuola è intitolata, l’istituto scolastico è circondato da tre grandi autori della narrativa italiana dell’800 – 900: Quasimodo, Verga, Deledda.
Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968) è uno dei più grandi poeti del Novecento. Siamo in un paese di mare. Impossibile non citare S’ode ancora il mare, una delle sue poesie più belle: “Già da più notti s’ode ancora il mare, / lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce. // Eco d’una voce chiusa nella mente / che risale dal tempo; ed anche questo / lamento assiduo di gabbiani: forse / d’uccelli delle torri, che l’aprile / sospinge verso la pianura. Già / m’eri vicina tu con quella voce; // ed io vorrei che pure a te venisse, / ora, di me un’eco di memoria, / come quel buio murmure di mare” (Salvatore Quasimodo, Giorno dopo giorno, Milano, Mondadori, 1947). Milano Agosto 1943, Uomo del mio tempo (“Sei ancora quello della pietra e della fionda, / uomo del mio tempo…”, Alle fronde dei salici: “E come potevamo noi cantare / con il piede straniero sopra il cuore, / fra i morti abbandonati nelle piazze / sull’erba dura di ghiaccio, al lamento / d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero / della madre che andava incontro al figlio / crocifisso sul palo del telegrafo? / Alle fronde dei salici, per voto, / anche le nostre cetre erano appese, / oscillavano lievi al triste vento” (Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici, Giorno dopo giorno, 1947). Ora che sale il giorno: “Finita è la notte e la luna / si scioglie lenta nel sereno, / tramonta nei canali. // È così vivo settembre in questa terra / di pianura, i prati sono verdi / come nelle valli del sud a primavera. / Ho lasciato i compagni, / ho nascosto il cuore dentro le vecchi mura, / per restare solo a ricordarti. // Come sei più lontana della luna, / ora che sale il giorno / e sulle pietre bette il piede dei cavalli!” (Salvatore Quasimodo, Ora che sale il giorno). Quasimodo ha lavorato per un periodo in Lombardia. Guardava e descriveva il paesaggio lombardo ma ricordava anche quello siciliano. Nella poesia seguente invece, il paesaggio è quello romano. Lo scrittore visse per un po’ di tempo anche nella città eterna. I ritorni: “Piazza Navona, a notte, sui sedili / stavo supino in cerca della quiete, / e gli occhi con rette e volute di spirali / univano le stelle, / le stesse che seguivo da bambino / disteso sui ciotoli del Platani / sillabando al buio le preghiere. // Sotto il capo incrociavo le mie mani / e ricordavo i ritorni: / odore di frutta che secca sui graticci, / di violaciocca, di zenzero, di spigo; / quando pensavo di leggerti, ma piano, / (io e te, mamma, in un angolo in penombra) / la parabola del prodigo, / che mi seguiva sempre nei silenzi / come un ritmo che s’apra ad ogni passo / senza volerlo. // Ma ai morti non è dato di tornare, / e non c’è tempo nemmeno per la madre / quando chiama la strada, / e ripartivo, chiuso nella notte / come uno che tema all’alba di restare. // E la strada mi dava le canzoni, / che sanno di grano che gonfia nelle spighe, / del fiore che imbianca gli uliveti / tra l’azzurro del lino e le giunchiglie; / risonanze nei vortici di polvere, / cantilene d’uomini e cigolio di traini / con le lanterne che oscillano sparute / ed hanno appena il chiaro di una lucciola “ (Salvatore Quasimodo, I ritorni).
Di Giovanni Verga ( Vizzini, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922), grande romanziere, e scrittore di novelle, non si può non citare il finale de “I Malavoglia”: “Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile, e lo stesso Alessi, che andò ad aprire, non riconobbe ‘Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato, coperto di polvere, e colla barba lunga” (Giovanni Verga, I Malavoglia, cap. XV. Ntoni di patron Ntoni, uscito dal carcere per aver dato una coltellata a don Michele, la guardia di Aci Trezza, si reca da Alessi, il più piccolo dei Malavoglia, che ha riscattato la casa del Nespolo. Si accorge che lì non può stare nonostante le insistenze del fratello. La casa non è mai il rifugio tranquillo dove si consumano i miti del benessere, ma il piccolo monticello bruno a cui tornano ad aggrapparsi le formiche dopo lo spasimo ed il via vai della disperazione e della tempesta. E in questa riconsacrazione della casa non ci sarà più posto per coloro che se ne sono allontanati: Lia e ‘Ntoni.
Il brano è di una tristezza indicibile. Riporto solo il pezzo finale. Ntoni si allontana dalla casa che sta albeggiando: “E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi, quando fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci eran chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe e par la voce di un amico” (Giovanni Verga, Ibidem). Porto Civitanova alla fine dell’Ottocento, forse era molto vicina ad Aci Trezza per la stratificazione sociale, il lavoro sul mare. Non abbiamo avuto un cantore di casa nostra che abbia saputo descrivere l’ambiente marinaro. Solo alcune pagine del romanzo “Una donna” di Sibilla Alerano danno un’idea di come fosse questa porzione di territorio, allora frazione di Civitanova Alta. Ci sono poi le poesie di Alessandro Bella (1930- 2020), che descrivono l’ambiente marinaro di Porto Civitanova con rara efficacia, raccolte nelle pubblicazioni: ”Quagghiò lo Porto” (1988) ‘Na storia ‘na città (1991), C’era ‘na orda … a Portocitanò (1998), Li Portesi (2007).
Grazia Deledda ( Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è l’unica italiana che ha vinto nel 1926, il Nobel per la Letteratura. I suoi romanzi più famosi: Canne al vento, Marianna Sirca, Elias Portolu sono ottime chiavi di lettura per ricostruire anche storicamente le variabili relative alla struttura dei sistemi familiari, di convivenza, parentela, vicinato e comunità, alla funzione economica della famiglia (unità di produzione e consumo). Certo le poesie di Salvatore Quasimodo possono essere imparate a memoria, dei romanzi si possono memorizzare le pagine più belle. Tutto il quartiere San Marone è attraversato da vie dedicate a poeti e scrittori. Gli alunni ma anche la gente comune, girando per le vie che lo attraversano, possono memorizzare nomi di autori greci, latini e italiani.
In via Quasimodo e via Verga nel secondo dopoguerra c’erano campi di grano e alberi da frutta. Il mutamento sociale più notevole e di più vasta portata, che ha avuto modo di manifestarsi in tutta la sua portata nella seconda metà del secolo appena trascorso, è stata la morte della classe contadina. Se dal Neolitico in poi, la maggior parte degli esseri umani è sopravvissuta grazie alla terra e al bestiame o ha sfruttato il mare dedicandosi alla pesca, questo non è valso più nei “trenta anni gloriosi”, quelli che vanno dal 1945 al 1975 (Eric J. Hobsbawm, Il Secolo Breve – 1914 / 1991 – L’epoca più violenta della storia dell’Umanità, Bur, 2000).
Se le campagne si svuotavano, le città si riempivano. Questo fenomeno ha interessato vaste zone del cosiddetto triangolo industriale, nel nord Italia: Milano, Torino e Genova, ma anche tante città della costa adriatica, tra cui Civitanova Marche, hanno avuto un incremento demografico senza precedenti, soprattutto nella periferia. Là dove c’erano orti, campi coltivati a grano, vigne, ortaggi, nascevano lentamente grandi agglomerati urbani, con le prime case popolari.
C’è chi ancora ricorda lo sconcerto di vecchi proprietari di case coloniche e terreni espropriati per far posto ai nuovi insediamenti residenziali e commerciali. “Per farmi la casa, ho trasportato i mattoni con la carriola, prendendoli dalla fornace Ceccotti, ed ora quelli del Comune mi espropriano la terra”, raccontava una donna che aveva la propria casa là dove ora insiste la Scuola Media “Mestica”, in zona COOP. All’angolo della scuola di via Quasimodo c’era una casa privata. All’incrocio con la Via Verga esisteva una casa colonica abitata da una signora di Roma che vi veniva con il figlio soltanto in Estate.
C’è voluto del tempo prima che tutta la zona acquistasse l’aspetto che ha ora: strade comode ed asfaltate, marciapiedi, illuminazione pubblica, aiuole e giardini. Gli abitanti del posto lamentano il deterioramento, ammaloramento si chiama in termine tecnico, del manto stradale pieno di buche. Ma di questo hanno parlato a lungo i giornali locali. I campi non dissodati rimasero per un lungo tempo la meta preferita di ragazzotti che li avevano scelti per le loro scorribande con le biciclette o con le motociclette. Bastavano piccoli avvallamenti del terreno o la terra ammucchiata casualmente a formare piccole collinette che si provava quasi l’emozione di essere in una vera e propria pista da motocross; quando ci si stancava di correre, allora, a seconda delle stagioni, si andava a raccogliere dagli alberi: pesche, fichi, ciliegie, mele e pere.
Qualche sposina che era andata ad abitare nelle prime case popolari di via Verga, quelle che danno sul fronte della strada, dopo l’area occupata dai giostrai, veniva fatta oggetto di commiserazioni da parte dei parenti: “Ma do’ sì jita figlia ad abità, proprio in mezzo alle paludi!”. Questa donna, che abita in via Verga ormai da trent’anni non cambierebbe il posto con nessun altro, tanto vi si trova bene, servito anche da ben due centri commerciali tutti a portata di mano.
Un aspetto della zona che ora non esiste più ma che vive nel ricordo di chi ha una certa età sono le fratte che costeggiavano la ferrovia Civitanova – Macerata – Fabriano. Siepi di biancospini che si ammantavano di more. Erano i “murrigini”, come venivano chiamati in dialetto. “Si niru ‘mmurricatu”. E’ rimasto nel dialetto l’uso di indicare una persona abbronzatissima, tanto da paragonarla al colore nero delle more. “Era il tempo delle more / e i grilli attorno a noi”. No, non c’è più quel tempo lontano. Vita frenetica, corse affannose per andare dove nessuno lo sa. Disagio giovanile, vecchie e nuove povertà di cui tanto si parla, ma i problemi rimangono con contraccolpi, anche tremendi nella vita e nei rapporti sociali. Epidemia prima, guerra, crisi economica, diffidenza dell’uno verso l’altro sono gli scenari di questi tempi.
La Scuola “Mestica” si trova nel cuore del più popoloso quartiere di Civitanova Marche, frequentata fino all’anno scolastico 2011 / 2012 da quattrocento cinquanta alunni circa che provenivano dai quattro diversi Circoli Didattici distribuiti nel Comune e dalla frazione di Santa Maria Apparente. Gli utenti, ragazzi e ragazze frequentano anche, nella stragrande maggioranza, le strutture oratoriane e la parrocchia di San Marone. L’alunno è colui che va nutrito (dal latino aluo, is, ui, altum, aluere, nutrire) con la cultura e con quant’altro serva a lui per sviluppare la propria personalità in tutte le direzioni: etica, religiosa, sociale, intellettiva, affettiva, operativa e creativa.
E’ quanto viene detto espressamente nel testo dei Programmi Ministeriali. La cultura, dal latino “colére” è la coltivazione del proprio animo attraverso la conoscenza del vero e del bello e l’alunno è anche persona, figlio e amico che trova anche in altri spazi esterni alla scuola, occasioni per crescere; sta a quest’ultima armonizzare tutti i suoi percorsi in un disegno unitario. Interessarsi di lui solo sotto il profilo scolastico non basta, anche se è il percorso più semplice e facile da controllare, ma questo è ciò che sta avanzando negli ultimi anni, dopo aver smesso di pensare e di esporsi anche. L’egoismo individuale e di gruppo la sta facendo da padrone in ogni settore della vita e la scuola ne è lo specchio.
Lungo la via Deledda, sull’altro lato della scuola, si aprono diverse case popolari che continuano, sempre sulla destra, in via Quasimodo. In via Verga, sul fronte della strada, insistono le case popolari ricordate sopra, dietro, altre due file di case costruite da cooperative edilizie, in fondo, sulla curva, a sinistra, altre case popolari; sul retro, altre recentissime case popolari, le ultime costruite, con un bel giardino che serve tutta la zona. Due Piani di Edilizia Popolare hanno consentito a tutta la zona e nel breve tempo uno sviluppo senza precedenti, ma si sa che questo ha portato una concentrazione nella stessa di problematiche sociali di diverso tipo, prova ne sia che i diversi giardini, quello di via Guerrazzi e l’altro all’inizio di via Verga sono spesso raggiunti da pattuglie di Polizia e Carabinieri su segnalazione di privati cittadini, per un controllo del territorio e per contrastare fenomeni devianti che allineano soprattutto tra i giovani.
L’Associazione Anime di Strada ha riqualificato anche le palazzine di via Verga costruite in tempi più recenti, rispetto ad altre case popolari del quartiere. Due artisti polacchi, Etam e Cru, hanno realizzato, nel settembre 2016, opere di dimensioni colossali, in cui gli elementi fiabeschi, il folklore e i ricordi d’infanzia si mescolano, creando un racconto a colori. Sulla parete di una casa, l’opera ritrae un uomo in età avanzata che indossa una borsa a tracolla su cui campeggia il marchio Lody Bambino. Gli stessi artisti hanno raccontato che quella era negli anni cinquanta una notissima e costosa marca di gelati polacca, bramata da tutti i bambini. Utilizzava termini italiani per dare prestigio al marchio. Il dipinto è un omaggio alla nostra terra, interamente realizzato a mano libera. C’è anche un legame profondo di Civitanova Marche con la Polonia. Esiste un gemellaggio con la città di Skawina, poco lontana da Cracovia. Dopo la seconda guerra mondiale, alcuni soldati polacchi si fermarono a Civitanova Marche. Si sposarono con ragazze del posto e misero su famiglia. La stessa cosa avvenne in altri paesi del Fermano e del Maceratese.
Altre due opere sono state realizzate, sempre nel settembre del 2016, durante la seconda edizione del Festival promosso sempre dalla stessa associazione. La prima opera è di Telmo Miel. La firma in calce è l’acronimo dei due artisti. Telmo Pieper e Miel Krutzmann sono due giovani artisti olandesi che nel 2007 incrociano le loro strade all’interno del Willem de Kooning Academy. I loro lavori sono di grande impatto visivo. Lo stile è quello pop, dove si mescolano reale e surreale. Nell’immagine delle due figure femminili c’è un’attenzione sfrenata per il dettaglio. Gli animali presenti nella seconda opera sono molto simbolici. Le scimmie adagiate sul libro indicano la sapienza. L’uovo affiancato a un animale, per metà gallo e per l’altra metà gallina, è una riflessione sul ciclo della vita. Nella prima opera invece la donna raffigurata sembra una sorta di robot. Durante la realizzazione dei due dipinti hanno incantato gli abitanti del quartiere e i curiosi venuti ad assistere al loro lavoro. Il colore giganteggia nelle due figure molto vicine nello stile ad opere di pittori surrealisti.
La seconda opera invece, un paio di palazzine più in là, è di un’intimità sorprendente. Appena girato l’angolo, ci si trova davanti al dipinto di Luis Gomez de Teran, autodidatta, nato a Caracas ma romano da sempre. La sua arte è profondamente simbolica e spettacolare, sensibile alla luce e d’ispirazione classica, in preda a forti contrasti che sembrano un combattimento su muro. A Civitanova ha dipinto “Attraverso lo specchio” un intenso doppio ritratto, una moderna declinazione del mito di Narciso. A colpire immediatamente è la mancata corrispondenza di sguardi tra la donna e il suo riflesso. Predomina in tutto il dipinto, una sorta di estraniamento. L’immagine riflessa volge lo sguardo altrove. La figura reale ne cerca il ricongiungimento ma invano. Il merito dell’Associazione “Anime di strada”, con le opere realizzate in via Napoleone e in via Verga, è stato quello di avvicinare Civitanova Marche ad altre città del Nord Europa. I grandi dipinti sulle case di periferia hanno avuto origine proprio in questi anonimi agglomerati urbani.
Ho ampliato in alcune sue parti il testo scritto una quindicina d’anni fa. Si sa che le cose cambiano col tempo e noi con loro. Qualsiasi quartiere muta nel tempo, quanto a composizione sociale, servizi, spazi per il tempo libero, luoghi d’aggregazione, quello di San Marone non fa eccezione. Per questo ho deciso di riprendere in mano tutta la rubrica “Angoli e scorci del quartiere San Marone” della Sorgente, il periodico della parrocchia omonima, e aggiornare di volta in volta le trasformazioni avvenute, soprattutto quelle degli immobili destinati ai servizi, come banche, negozi, pizzerie, laboratori. Non potendo farlo tutto subito, lo farò di volta in volta.
La rivisitazione di quanto ho scritto negli ultimi vent’anni e pubblicato nel periodico ricordato sopra è l’occasione per ripensare ai cambiamenti avvenuti in questo lasso di tempo anche a livello mentale, personale e collettivo. La cattività dovuta alla pandemia da Coronavirus ci ha relegato nelle case con pochi contatti con l’esterno. La guerra in corso, scatenata dalla Federazione Russa contro l’Ucraina, ci preoccupa oltremodo. Nel corso di questi venticinque anni trascorsi a Civitanova Marche ho perso tante persone che conoscevo, con le quali condividevo ideali e sogni, conversazioni e amicizia, come sarà successo anche ad altri. Ora mi accompagnano ancora speranze, con i nipotini che crescono, ma anche tanta delusione verso le persone in cui credevo. La decisione di destinare i testi scritti ad un sito Internet potrà mettere in comunicazione realtà geografiche diverse e suggerire in chi legge qualche confronto anche se soltanto affidato ad un commento, una sottolineatura.
Raimondo Giustozzi
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