di Valerio Calzolaio
Non esiste immigrazione verso qui senza emigrazione proveniente da un’altra parte, talora dopo altri transiti e residenze. Il legame fra gli emigrati altrove immigrati resta molto a lungo, spesso per sempre. E questo luogo da cui emigrano non è più proprio lo stesso, dopo; più o meno come quell’altro luogo in cui immigrano non resta proprio lo stesso, dopo. Fra l’altro, in questo stesso luogo prima o poi arrivano immigrati da altrove emigrati e da quell’altro luogo dove sono immigrati qui, altri emigrano prima o poi verso qualche altra parte. Sembrano vari scioglilingua le consecutive insistite connessioni di parole, con quel minimo prefisso davanti al sostantivo migrazione per differenziare radicalmente la destinazione verso fuori o verso dentro di un’attività (non solo umana) davvero doppia, diacronica e asimmetrica.
Una storia delle migrazioni umane è quasi impossibile senza tener fermo un periodo determinato di tempo e una collocazione geografica ben precisa, uno dei due o meglio entrambi. Eppure, comunque, ogni periodizzazione e ogni confine avranno qualcosa di arbitrario e impreciso, nella storia e nella geografia, può probabilmente confermarlo ogni studioso che si è coraggiosamente cimentato nell’impresa, sia egli professionalmente uno storico o un geografo, uno statistico o un demografo, un sociologo o un giurista, un antropologo o uno psicologo, anche quando abbia maturato con umiltà e profitto un’indispensabile ottica interdisciplinare.
Prendiamo le emigrazioni e le immigrazioni di noi italiani e italiane, per esempio, almeno da quando l’Italia è una denominazione d’origine certificata, da quando è un territorio istituzionalmente e internazionalmente riconosciuto con una connessa lingua ufficiale e, soprattutto, da quando la popolazione censita si riferisce proprio e solo ai cittadini residenti, con conseguenti spostamenti all’interno o all’estero, per qualche anno della vita di un individuo o per gruppi e generazioni. Il nostro paese negli ultimi 161 anni è stato più luogo d’emigrazione che d’immigrazione, terra più da lasciare che da scoprire, si sa.
Basta per capirsi un paio di spunto demografico-statistici riferiti a una tendenza stabile di lungo periodo e a un picco quantitativo incredibile. Tra il 1861 e il 1985 gli italiani emigranti sono stati circa 29 milioni: di questi, oltre 10 sono successivamente tornati in Italia (il 35%), mentre quasi 19 si sono definitivamente stabiliti all’estero (il 65%). Tra il 1890 e il 1910 circa l’1,5% della popolazione italiana di allora (!) emigrò ogni anno dal nostro paese (free migrations?); nel 1901 fu istituito appunto il commissariato italiano “per l’emigrazione”. In quel ventennio si allontanarono intere generazioni da alcune zone del paese, condizionando la complessiva storia successiva, anche interna a e fra le varie regioni.
Non è possibile capire il nostro paese “a prescindere” dagli emigrati. Ancora oggi li troviamo fra i cognomi di note personalità “straniere”, istituzionali e sportive in particolare. Così, spesso su iniziativa dei discendenti delle prime generazioni, sono sorte raccolte museali diffuse. Ogni migrante si fa il proprio museo privato, inevitabile. Ovvero raccoglie reperti delle sue presenze multiple, dei luoghi e delle persone incontrate e lasciate, anche da molto prima che esistesse la possibilità di tramandare scritture e riprodurre immagini. Talora si tratta di vere e proprie opere d’arte, di oggetti di valore o comunque d’interesse storico-scientifico, che potrebbero tranquillamente finire in un museo pubblico, costituire fattore essenziale di memoria collettiva. Spesso ci sono finite.
In Italia esistono oggi tantissimi musei locali e regionali dell’emigrazione. Ne ho rintracciati ovunque, talora su iniziativa dei singoli comuni, talora progettati e realizzati attraverso scelte normative delle istituzioni regionali, talora “sanzionati” da una pur lacunosa attività di coordinamento del Ministero della Cultura. Ora, nel 2022 è sorto anche un vero e proprio museo nazionale a Genova, inaugurato sette mesi fa, a metà maggio. Nella storia italiana il porto della Lanterna è stato spesso l’ultima visione del nostro Paese per milioni di persone dirette verso paesi di un po’ tutti i continenti: Australia, Americhe, Africa, Asia. Un viaggio, come detto, perlopiù senza ritorno (sul rapporto fra ecosistemi e migrazioni qui si è più volte riflettuto.
A questa storia nazionale dell’emigrazione è dedicata la nuova struttura del MEI, con allestimenti scenografici e significative interattività, accurati riferimenti nazionali e specificità liguri, autobiografie, diari, lettere, fotografie e giornali. Ospitata all’interno della meravigliosa Commenda di San Giovanni di Prè si sviluppa su tre piani e 2.800 metri quadrati: attraverso una meditata suddivisione in sedici aree tematiche, si possono ripercorrere le molteplici storie delle migrazioni italiane, quelle unitarie e preunitarie, le ondate novecentesche fino alla contemporaneità. Andrà visitato con calma.
Intanto, ognuno può verificare cosa esiste dalle proprie parti, che ci conduca in altre parti del mondo insieme a concittadini, corregionali, connazionali del passato. Non esistono un elenco dettagliato e una mappa completa. Certo, quasi tutte le denominazioni richiamano solo l’emigrazione (con rare eccezioni, per esempio a Belluno in Veneto) ma quel che conta è poi lo sviluppo delle raccolte che inevitabilmente intrecciano geografie e storie del nostro paese d’origine e di altri ecosistemi di transito e di arrivo. Alcuni musei dell’emigrazione italiana sono stati istituiti, infatti, anche in città o metropoli dell’altro mondo (per esempio, su iniziativa dei calabresi a Chicago). D’altra parte, è ormai universalmente noto un museo “internazionale” dell’immigrazione (ovvero pure dell’emigrazione italiana), non a caso a Ellis Island (New York), coi nostri nomi nel muro della memoria. Qualcosa del genere è giustamente in fieri a Lampedusa.
Si tratta di un viaggio da fare insieme, siamo tutti sapiens meticci anche se non siamo emigrati o immigrati mai come singoli individui. Forse l’esperienza più importante di museo regionale ora si trova nelle Marche, il Museo regionale dell’emigrazione ha degna sede a Recanati (pare che dalla cittadina sia partito per l’Argentina anche uno dei recenti antenati di Lionel Messi, a proposito dei mondiali di calcio) ed è stato inaugurato nove anni fa, il 10 dicembre 2013, su iniziativa di comune e regione, con il cofinanziamento del Dipartimento della Gioventù e del servizio civile nazionale, all’interno della è una maestosa medievale nobiliare Villa Colloredo Mels. Il contributo annuo della Regione Marche è oggi di 8mila euro (davvero pochi considerata la mole di attività svolta) e proviene dal capitolo relativo ai “marchigiani nel mondo”, non dall’assessorato alla cultura (elemento discutibile che torna anche in altri casi di musei regionali meno attivi).
L’istituzione è dedicata a tutti i marchigiani, circa 700mila, che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, presero la delicata decisione di abbandonare la terra d’origine per dirigersi verso luoghi loro sconosciuti alla ricerca di “fortuna” (sopravvivenza e riproduzione, inviando indietro “rimesse”). In quegli anni, in molta parte d’Italia la vita era particolarmente dura, contraddistinta da un’estrema povertà. Le famiglie erano grandemente numerose e spesso il capofamiglia, che nella maggior parte dei casi lavorava la terra delle “marche” con il contratto della mezzadria, non sapeva come sfamare i propri figli e procurare loro tutto il necessario per farli crescere e studiare.
Il museo di Recanati, aperto tutto l’anno con personale specializzato assunto con regolare contratto nazionale, è incluso in un circuito museale che comprende altri quattro siti, più l’ufficio turistico comunale. Ancora negli ultimi due anni (difficili per i musei) sono stati prodotti dal MEMA un video spot professionale, una nuova brochure cartacea bilingue, campagne di comunicazione specifica, appositi educational per insegnanti, attivando una piccola biblioteca, aggiornando e sistematizzando i pannelli esplicativi (anche con traduzione in inglese) e incrementando via via la collaborazione con alcune comunità dei marchigiani all’estero. Una ragione in più per visitare Recanati, dunque, meta che dovrebbe essere considerata cruciale almeno una volta ogni quinquennio per i non marchigiani, ovviamente innanzitutto causa Leopardi. Chi non vi fosse stato dopo il 2018-2019 avrebbe già perso molto, come qui illustrato.
Non a caso, alla quarta edizione del tradizionale convegno internazionale Diaspore Italiane. Italy in movement, tenutosi a Buenos Aires dal 28 al 30 novembre scorso (quest’anno sul tema: Frontiere fra noi e gli altri. Il diritto a migrare come diritto umano. Transiti, esperienze e immaginari) hanno partecipato solo le due istituzioni italiane fin qui citate, MEI e MEMA. Quest’ultimo è stato selezionato per partecipare al panel “Musei e migrazioni: progettazione museale e partecipazione delle comunità discendenti”, coordinato dal Museo del Mare e delle Migrazioni di Genova, proprio per affrontare le positive iniziative svoltevisi nonostante la recente pandemia; azioni che si sono poi evolute in una innovativa modalità di condivisione delle riflessioni sulla tematica migratoria rivolte a un pubblico ampio e variegato.
Lo scorso sabato 10 dicembre, in occasione della Giornata delle Marche 2022, è stato poi presentato il tour virtuale del Museo dell’Emigrazione Marchigiana di Recanati, novità tecnologica che consentirà al museo di essere visitato da ogni parte del mondo e di raccontare la vicenda migratoria in maniera ancora più completa (fin dal primo giorno vi sono state migliaia di visualizzazioni, la maggior parte delle quali in Argentina). Il visitatore è accompagnato nelle sale da un emigrato dalle Marche in Argentina, il quale, interpretato dall’attore Paolo Magagnini, ripercorre la propria vicenda migratoria raccontandone le varie fasi; all’attrice Roberta Marcaccioli, invece, il compito di recitare alcuni significative e toccanti memorie di emigrate marchigiane. Molto importante nel percorso virtuale anche il legame con la Città di Genova (gemellata da un protocollo d’intesa con Recanati), come detto principale porto di partenza per gli emigrati.
Continueremo a girare insieme per i musei delle migrazioni: venite?
Invia un commento