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Libri. Nuove recensioni

Recensione Youthless. Fiori di strada

Youthless. Fiori di strada
Massimo Carlotto, Patrizia Rinaldi, Alessandra Acciai, Pasquale Ruju, Massimo Torre
Noir
HarperCollins Milano
2022
Pag. 313 euro 18,50
Valerio Calzolaio
Dal Veneto alla Calabria. Di questi tempi. La 16enne Domitilla Agostinelli Balbi è bellissima: bionda, gambe lunghissime, corpo leggero, viso dolce, all’apparenza perfetta e cresciuta in una famiglia ricchissima. I genitori vivono di rendita in un bel palazzo di Torino, trascorrono “vacanze” a Chamonix e Costa Smeralda; lei è in fuga (dal collegio svizzero), molto tossicodipendente, quando serve vende facilmente il corpo per le droghe, perlopiù chimiche; ora ha trovato provvisorio rifugio in una sperduta cascina con altre ragazzine costrette ad abbandonare tutto (loro, davvero poco o tanto brutto) e a fuggire. L’unica consapevole di cosa poteva aspettarsi e di avere un compito personale da portare a termine (senza diritto a un futuro) è la coetanea calabrese Teresa, che quella mattina scopre da lontano poliziotti e Scientifica intorno al cadavere di una giovane nuda, si tratta della loro amica e precaria coinquilina Stella, la seconda di loro uccisa negli ultimi giorni. Deve subito avvertire le altre (oltre a Domitilla che le piace proprio, ci sono le indivisibili gemelle Anna e Claudia, bruttina e carina, l’alta francese Léa, la nera riccia Rachida), debbono scappare di nuovo, capiscono che ci sono predatori in caccia di indifese e, anzi, le intercettano: due poliziotti dalla doppia natura. Giustina Rebellin e Cristoforo Marino si coprono a vicenda e organizzano festini in cui uccidono dopo averle violate le vittime, in vari modi. Le caricano su un furgoncino, lui non si tiene, monta dietro con loro, le mena e si fa succhiare da Anna, la più fragile, incinta. Un dosso provoca un incidente; le ragazzine feriscono il cattivo, si liberano; la cattiva guarda morire il partner di ferocia e si mette sulle loro tracce; hanno preso il marsupio e, senza saperlo, hanno una pennetta con il video degli orrori; deve trovarle prima dei colleghi buoni, che all’inizio non ci capiscono nulla e brancolano. Molti intensi giorni senza tregua, quasi in apnea, turbinanti.
Un’ottima idea, una splendida realizzazione. Cinque scrittori o scrittrici, di differenti radicamento ed esperienza, scrivono insieme un bel noir a dieci mani. Sono Massimo Carlotto (Padova, 1956), Patrizia Rinaldi (Napoli, 1960), Alessandra Acciai (Roma, 1965), Pasquale Ruju (Nuoro,1962) e Massimo Torre (Napoli, 1958), li conosciamo già tutti tutte abbastanza bene come autori autrici di romanzi e sceneggiature di notevole successo. Ci parlano di sei “fiori di strada”, la vicenda collettiva delle ragazzine (ancora vive) a cui era stata tolta dai familiari (genitori o nonni o altri) l’adolescenza (da cui il titolo) e che diventano “amiche”, affrontando insieme il tentativo di sopravvivere, ognuna con propri condizionamenti, origini, motivazioni ed esigenze. La narrazione alterna la terza persona varia su buoni e cattivi ai brevi capitoli in prima persona e in corsivo di loro tutte: la dolce Domitilla totalmente dipendente dalle sostanze, Claudia solo e sempre in difesa della sorella diversa, Anna stuprata dal padre e frastornata, Rachida solidale ed empatica alla ricerca della madre senegalese, Léa militante impegnata e scafata nel ricordo di un vero amore, Teresa determinata a vendicare la madre contro il contesto criminale (la cara Fiore l’ama e l’aiuta ma è dura). Viaggiano da nord a sud, con una breve sosta nelle Marche vicino Ascoli Piceno, fino all’epilogo nei pressi di Gioia Tauro; incalzati dall’implacabile aguzzina invasata sulle loro tracce, dalle tecnologiche ricerche ufficiali di polizia (il Valerio ce la mette tutta ed è proprio una brava persona), dagli allarmi televisivi (che restano sullo sfondo ma di cui verifichiamo l’impatto), in parte dagli stessi non irreprensibili parenti, dalle complicazioni pratiche di chi non ha mezzi e deve scansare tutto. Segnalo che taluni predatori entrano in polizia per avere mano libera, come alcuni “pedofili quando entrano in seminario”, a pag. 301. Si parte dale colline con le vigne di Glera e Cartizze, si gira ovunque e soprattutto in campagna. L’anziano arruffato Dannunzio ospita per un po’ le fuggitive e mette loro a disposizione ottime compilation musicali d’epoca (la sua, quella della maggioranza degli autori e forse di noi lettori).

v.c.

Recensione Bell’Abissina

Bell’Abissina
Carlo Lucarelli
Noir
Mondadori Milano
2022
Pag. 185 euro 17
Valerio Calzolaio

Cattolica. Una notte senza luna d’inizio dell’aprile 1940. Il bravo commissario aggiunto Marino è appostato, lo conoscete: alto snello biondo, occhi azzurri e naso dritto, perfetto, bello come un attore! Da un po’ sta seguendo due comunisti che risalgono la spiaggia nella sabbia mobile della bassa marea, “pericolosi” militanti antifascisti ricercati in tutt’Italia. Non si è accorto che l’atteso terzo lo sta prendendo alle spalle e gli punta una pistola alla testa. Fatica a spiegare loro che è lui il “contatto” che cercavano, quello di Giustizia e Libertà che ha gli indispensabili passaporti, nome in codice Locàrd. Glieli consegna nella baracca delle reti, dove ha anche portato sarde arrosto e fiasco di vino rosso, ospitalità romagnola. Non se ne vanno subito, quello tarchiato dei tre si presenta come Roccia, si chiama in realtà Labruna e faceva la guardia nella Squadra Fognature della Presidenziale, ha riconosciuto la faccia di Marino, dopo averlo incontrato nell’ottobre 1937 sulla scena di un crimine davanti al tombino di una villa a Prati, il ritrovamento di un minuscolo corpo femminile, la nana Mariannella del Quadraro ovvero la 18enne Adele Lina Ninchi, a servizio presso quella casa padronale ma residente in un ostello gestito da suore. Chiede a Marino di ricominciare a cercare l’assassino: ha saputo che il padrone commendatore, dopo essersi arricchito in Africa grazie alla guerra d’Etiopia, ora vive proprio a Cattolica, si chiama Francone Brandimarzio. E il commissario indaga: è vero, sembra quasi un recluso, ha un figlio, Attilio che frequenta amichevolmente la carinissima ragazza di colore Tzegè Weinì Lombardi, meticcia figlia della domestica eritrea Lette e di un dottore che l’aveva riconosciuta prima che le ultime leggi lo impedissero. Non potrà che scoprire altre morti e corrotti strafottenti, fra pericoli mortali e colpi di scena.
Il grande poliedrico scrittore, oltre che sceneggiatore e conduttore televisivo, Carlo Lucarelli (Parma, 1960) torna periodicamente sui suoi principali personaggi (De Luca, Coliandro, Grazia Negro, Colaprico). Avevamo incontrato il ribelle Marino in un celebre romanzo del 1993, Indagine non autorizzata (sempre Giallo Mondadori, stagione eroica del primo noir italiano), ambientato a Rimini nell’estate del 1936, lasciato a quel tempo triste e solitario, arrabbiato e deluso, fregato da tutti e costretto ad accettare un brutto odioso compromesso. Torna ora, militante clandestino sincero e coerente, ovviamente nell’avversato contesto fascista, quando il duce dittatore Mussolini sta per annunciare l’ingresso dell’Italia in guerra. Il romanzo è dedicato al mitico caro Gianfranco Orsi, la narrazione è in terza fissa sul protagonista (a parte il prologo), il titolo ovviamente riferito all’affascinante sognata eritrea Weinì, ben consapevole della canzone di Cesare Andrea Bixio che tanti fischiettavano e dei diffusi timori per i pericoli del meticciato in Abissinia. Ad Addis c’era una squadra pronta a fare irruzione nelle case degli italiani sospettati di avere rapporti more uxorio, si chiamava Squadra Talamo. Segnalo il Manuale di polizia tecnica del professor Locàrd, in più punti. Si ascoltano altre musiche, come Faccetta Nera e Crapa Pelada. Si bevono Sangiovese e liquore d’anice.

v.c.

Recensione Il giro del mondo nell’Antropocene

Il giro del mondo nell’Antropocene. Una mappa dell’umanità del futuro
Immagine
Con le carte di Francesco Ferrarese
Geografia
Raffaello Cortina Milano
2022
Pag. 200 euro 22
Valerio Calzolaio
Terra. 2872 d.C. Proiettiamoci in un ipotetico, fantascientifico e distopico futuro, tra 850 anni, comunque circa mille anni dopo l’inizio del primo viaggio in Italia di Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832), durato quasi due anni prima del ritorno a Weimar nel giugno 1788 (poi rielaborato in due volumi pubblicati tra il 1816 e il 1817). Lo scenario sarà certo irrealistico, sono troppe le variabili in campo (per il pianeta, le terreferme e i mari, le specie, i sapiens, per noi stessi o i nostri eventuali eredi), serve tuttavia a riflettere meglio sul fatto che l’assetto ereditato del pianeta non è affatto scontato, e che oggi è nostra la vivente responsabilità di orientarlo in una direzione o nell’altra. La geografia è mobile (abbastanza, seppur non quanto la storia e la sapiens, verrebbe da dire): nel corso del tempo mari e terreferme non “rimangono” sempre nello stesso “luogo”, talora si spostano ciclicamente, talora quasi “migrano” (il concetto è fertile perché indica che lasciano qualcosa e qualcos’altro si sposta con loro). Le ragioni sono tettoniche, morfogenetiche, climatiche e, sempre più, antropiche, in particolare ora che ci troviamo a valutare una nuova era, l’Antropocene, in cui la nostra specie sta modificando sensibilmente gli equilibri acquisiti, con un’accelerazione inedita verso una nuova sconvolgente fase calda planetaria. Meglio superare steccati disciplinari e specialismi e tentare (come qui) una riuscita alchimia tra linguaggi diversi: cartografico (a partire dai luoghi umani originari), narrativo, pure dall’indimenticabile biodiversa Cape Town e fino all’Antartide nuova “arca” di Noè (gli antichi ottanta giorni diventano otto per la scommessa del novello simpatico protagonista Phileas Fogg, ispirato al paleoantropologo Ian Tattersall), scientifico (a partire dalla geografia).
“Il giro del mondo nell’Antropocene. Una mappa dell’umanità del futuro” è la splendida narrazione scientifica dei coetanei ottimi illustri docenti Telmo Pievani (Gazzaniga, Bergamo, 1970) e Mauro Varotto (Padova, 1970), i quali a primavera 2021 avevano già pubblicato un analogo viaggio interno solo alla nostra penisola. Lo spunto è ancora una volta patavino: in una teca esposta nella sala dedicata ai cambiamenti climatici del Museo di Geografia (primo museo geografico universitario, inaugurato nel 2019) è conservato il manoscritto autografo della voce Clima redatto per l’Enciclopedia Treccani nel 1931 da Luigi De Marchi, geografo fisico e meteorologo in cattedra all’Università di Padova dal 1903, primo a proporre (e a presiedere dal 1928) la Commissione scientifica internazionale antesignana dell’attuale IPCC (istituito nel 1988). Precedono le pulite colte narrazioni fiction (Pievani) e no fiction (Varotto), entrambe meticce, quindici significative carte fisiche di spicchi continentali della Terra, più o meno come potrebbe evolvere in quell’anno futuro, redatte secondo le accorte previsioni esistenti di studiosi e scienziati, quando si sarà ormai completata la fusione delle calotte glaciali continentali e, conseguentemente, sarà avvenuta un’ampia ingressione marina, fino ad almeno 65 metri di quota sul livello di costa attuale (con il 15% delle terre emerse in meno rispetto al 2022). Meglio vederla davanti agli occhi dal vivo o con cartoinfografiche che descriverla connettendo scrittura e cervello: Afriche del sud e del nord, Europa ovest, Artide, Medio Oriente, India e Indocina, Insulindia, Oceania e Melanesia, Asia est, Americhe del nord e del sud, Amazzonia, Pampas e Patagonia, Antartide; un clima enormemente diverso e mediamente molto più caldo ovunque; un ruolo “euristico” di luoghi oggi insignificanti allora straordinari (che impareremo a conoscere meglio); paesaggi locali degli ecosistemi e delicati equilibri della biodiversità, descrivibili oggi solo con molta meditata scienza e curiosa giocosità picaresca. Ingrandiamo una quindicina di istantanee di quella mappa globale; osserviamo da vicino picchi e insenature, laghi e fiumi, spiagge e fiordi, deserti e metropoli; ragioniamo su alcune possibili innovazioni tecnologiche e sociali; proviamo a narrare gli umani parlanti con pensiero simbolico astratto come saranno allora. E iniziamo a fare un viaggio “fantageografico” intorno al mondo, dai!

v.c.

Recensione Il libro delle parole

Il libro delle parole
Jenny Erpenbeck
Traduzione e cura di Ada Vigliani
Sellerio Palermo
2022 (orig. 2005)
Pag. 153 euro 13
Valerio Calzolaio

Berlino, pare. Fine secolo scorso. Il flusso di pensieri di una bambina sotto la violenta dittatura al tramonto, in prima persona. Lei appare smarrita, confusa, sbiadita, apatica di fronte al regime di polizia. Rievoca e narra, ricorda filastrocche, canzoni, proverbi, brandelli di memoria, colpita dall’ansia per la sorte dei genitori (il padre lavora tutti i giorni in un palazzo che all’esterno è completamente bianco, mentre la madre cerca di rispondere a tutte le sue inquiete domande), forse prima o poi torneranno a casa. Anche questo toccante romanzo di inserti sensoriali infantili in parte autobiografici, “Il libro delle parole”, riprende il lungo racconto d’esordio del 1999 (dedicato alla madre) e costituisce la matura evoluzione letteraria di Jenny Erpenbeck (Berlino Est, 1967). La madre non aveva potuto allattare la bambina, una badia l’aveva sostituita, al vero padre il libro è dedicato. L’autrice ha scritto poi ancora molto e bene, premiata in Germania e all’estero.

v.c.

Recensione Insubordinati

Insubordinati. Inchiesta sui rider
Rosita Rijtano
Lavoro
Edizioni Gruppo Abele
2022
Pag. 127 euro 14
Valerio Calzolaio

Italia. Oggi. Lo sfruttato mestiere di rider non si limita al lavoro di gambe per consegnare (in genere la cena) a domicilio, c’è la pressione di dover rispettare determinati tempi, l’ansia di non perdere le notifiche e la necessità di apprendere nuove competenze (psicosociali e tecnologiche). Enrico racconta i suoi tre anni di esperienza, ovvero mille giorni interi, 46.000 chilometri e sette incidenti. Per descrivere quel che succede prima che ci suonino a casa e spiegarci il nostro uso (spesso cattivo) del loro lavoro, la brava giornalista Rosita Rijtano (Lipari, 1987) ha studiato le legislazioni, valutato ricerche accademiche, raccolto decine di testimonianze, verificato inchieste giudiziarie e giornalistiche. Ecco “Insubordinati”, un bel volume per diventare tutti consapevoli: serve ma non basta usare solo certe app, raggiungere il corriere in strada, lasciare la mancia, evitare superficiali recensioni. Da come può essere e sarà regolata quest’attività dipende il domani di tanti.

v.c.

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