bacheca social

FAI UNA DONAZIONE





Sostieni questo progetto


A tutti i nostri lettori

A tutti i nostri lettori . Andremo dritti al punto: vogliamo chiederti di proteggere l’indipendenza dello Specchio Magazine. Se tu e tutti coloro che stanno leggendo questo avviso donaste un caffè, potremmo permetterci di far crescere l’Associazione lo Specchio e le sue attività sul territorio. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è il prezzo di una colazione o di una rivista nazionale. Questa è la maniera più democratica di finanziarci. Con il tuo aiuto, non negheremo mai l’accesso a nessuno. Grazie.
settembre 2022
L M M G V S D
« Ago   Ott »
 1234
567891011
12131415161718
19202122232425
2627282930  

Libri: John Lamberton Harper. La guerra fredda Storia di un mondo in bilico.

la guerra freddadi Raimondo Giustozzi

Pubblicato l’ultimo volume N° 25 della collana geopolitica, capire gli equilibri del mondo, curata da Federico Rampini, La guerra fredda, storia di un mondo in bilico, di John Lamberton Harper. Il titolo originale del saggio, The Cold War, fu edito nel 2011 dalla Oxford University, tradotto in Italia e pubblicato nel 2013 dalla Società editrice il Mulino (Bologna); esce come edizione speciale per il Corriere della Sera su licenza della Società editrice il Mulino, il 26 agosto 2022. La collana si chiude con un classico di geopolitica unico nel suo genere. Il libro consta di 358 pagine, comprese una prefazione, l’introduzione, le abbreviazioni, carte, note e una ricchissima bibliografia.

Il saggio è diviso in due parti, nella prima sono esposti gli antefatti, nella seconda vengono narrate le alterne vicende che portano alla guerra fredda. Il libro di Jhon Lamberton Harper ricostruisce la politica estera delle due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, al termine della seconda guerra mondiale, un conflitto immane, con un bilancio di perdite umane senza precedenti nel mondo intero, tra i 70 e gli 85 milioni di morti. Sul fronte occidentale è un bilancio del tutto squilibrato. Per ogni soldato americano morto al fronte ci sono 13 morti tedeschi e 70 morti sovietici. Il libro illumina l’intero periodo che va dal dopoguerra fino alla caduta del muro di Berlino (1989) e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991).

“La Guerra fredda”- scrive Harper – “cominciò nel 1945, si inasprì nel 1946, fu ufficiosamente dichiarata nel 1947 e si cristallizzò in un sistema nel biennio 1948- 1949”. Il tentativo di Stalin di controllare l’accesso al Mar Nero e la Turchia, la guerra civile con cui i comunisti greci perseguirono la presa del potere ad Atene, furono campanelli d’allarme altrettanto importanti per Washington quanto l’avanzata dei comunisti in Italia e il Francia. Il fianco sud della Russia, Iran e Turchia, quindi le vie d’accesso al Medio Oriente erano una posta strategica quasi quanto l’Europa Occidentale.

Harry Truman, succeduto a Franklin Delano Roosevelt, morto pochi mesi prima la fine del conflitto, si circonda di una squadra molto preparata e affiatata, nella quale spiccano due figure importanti, il segretario di Stato George Marshall e George Kennan, uno dei più acuti studiosi che pianifica la politica estera americana; nel 1947, quest’ultimo lancia l’allarme: la fame in Europa non può che fornire nuove reclute ai partiti comunisti, aumentando in questo modo l’influenza di Stalin che aveva assoggettato tutte le nazioni dell’Est europeo. “Il dittatore comunista”, alla conferenza di Yalta nel Mar Nero, “è deciso a far valere lo spropositato tributo di sangue versato dal popolo sovietico (25 milioni di morti tra militari e civili) nella guerra contro Hitler e vuole tradurlo in una influenza allargata nelle mappe geopolitiche del dopoguerra”.

Yalta rappresenta un cedimento, una resa quasi simile alla Conferenza di Monaco del 1938 quando inglesi e francesi avevano consegnato la Cecoslovacchia al Reich di Adolf Hitler. In particolare, la Polonia e la Cecoslovacchia e altri paesi dell’Europa Orientale vennero abbandonati dall’Occidente e finirono sotto il tallone di un impero prepotente. Secondo gli Stati Uniti era il prezzo da pagare nei confronti dell’Unione Sovietica.  Mosca, supportata dall’aiuto militare degli USA, combatte per quasi tre anni dal 22 giugno 1941 (Operazione Barbarossa) fino al 6 giugno 1944 (Sbarco degli alleati in Normandia) contro la Germania nel proprio territorio.

L’aiuto americano all’Unione Sovietica negli anni più tremendi dell’offensiva tedesca è sempre da ricordare contro ogni ingratitudine postuma. Il generale sovietico Georgij Zukov, il conquistatore di Berlino, si chiedeva spesso come sarebbe andata a finire la guerra contro la Germania senza l’aiuto americano. A guerra finita, lo diceva spesso nelle conversazioni e negli incontri, tanto da essere spiato dal Kgb che non gradiva affatto questa ipotesi ma preferiva che si mettesse l’accento sulla Guerra Patriottica.

Alla conferenza Franklin Delano Roosevelt giunge malato, gli resta infatti solo pochi mesi da vivere. Anche Winston Churchill, che si considera ben più astuto del presidente americano, si fida della promessa di Stalin sulla tenuta di libere elezioni in Polonia, promessa subito calpestata. Stalin si considera un genio nel gioco degli scacchi ma commette degli errori strategici di non poco conto. Il suo marxismo leninismo dottrinario gli fa prevedere un inevitabile conflitto tra imperialismi. Si illude che l’America e l’Inghilterra sarebbero entrate in guerra tra loro per contendersi le spoglie dell’impero britannico in declino. Si sbaglia ancora quando si convince che gli Stati Uniti torneranno all’isolazionismo di una volta e abbandoneranno l’Europa al suo destino.

Non si verifica nulla di tutto quello in cui Stalin credeva. Per gli Stati Uniti era stata l’infamia dell’attacco giapponese a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 a scuoterli dall’isolazionismo. Per tutta la durata del conflitto, Franklin Delano Roosevelt coltivò l’idea di un nuovo ordine internazionale fondato su regole e sicurezza per tutti. L’architettura di questo nuovo mondo, a guida americana, è imperniata su istituzioni come le Nazioni Unite (ONU), il Consiglio di Sicurezza, che nelle intenzioni di Roosevelt doveva poter funzionare come un vero gendarme pacificatore. Il Fondo Monetario internazionale, la Banca Mondiale, l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), sono tre pilastri di un’economia aperta che deve rinascere a vantaggio di tutti.

Tutte queste istituzioni vedono la luce nel primo dopoguerra con Harry Truman e la sua squadra di governo. Accantonato il piano Morgenthau, dal nome del segretario al Tesoro Henry Morgenthau, Truman sposa il piano Marshall. Il piano Morgenthau prevedeva l’annientamento radicale della Germania, rendendola inoffensiva per sempre. Non solo un disarmo totale, ma la retrocessione dell’economia tedesca a un passato rurale, pastorale, romantico e frugale. Stalin briga che gli Stati Uniti approvino il piano. L’orso russo resterebbe l’unica superpotenza in Europa, in grado di condizionare la politica di tutti gli stati europei. Truman invece incarica George Marshall di dare attuazione al suo piano: aiutare gli stati europei, vincitori e vinti e fare della Germania la locomotiva della rinascita del vecchio continente.

In poco tempo, la Germania dell’Ovest, la Repubblica Federale Tedesca (RFT), grazie alla munificenza americana, che contribuisce a cancellare tutti i debiti di guerra contratti da Hitler, cresce in potenza industriale, tecnologica, finanziaria. La Repubblica Democratica Tedesca (RDT), rimasta nella sfera sovietica, rimane la sorellina separata della Germania, lontana anni luce dalla prosperità occidentale. E’ l’inizio della Pax Americana che procede spedita. Anche Enrico Berlinguer, il leader comunista  italiano, nel 1976, trent’anni dopo il primo annuncio del piano Marshall arriverà a dire “di sentirsi più sicuro da questa parte dell’Alleanza Atlantica”.

Harper ricorda che, dietro la scelta americana di sostenere attivamente l’embrione di una Unione Europea, c’era un disegno isolazionista: “L’originale giustificazione dell’unità era che essa avrebbe permesso all’Europa di emanciparsi dagli Stati Uniti ed evitato un intervento americano nel vecchio mondo”. La corrente isolazionista ritorna sempre nella storia americana. Non è da dimenticare che i primi coloni americani, che hanno contribuito a fondare le prime colonie sulla sponda atlantica, erano tutti dei fuoriusciti dall’Europa. Erano scappati dalle guerre di religione e da ogni sorte di violenza nei propri paesi di origine. Non vedevano mai di buon occhio un coinvolgimento americano nelle beghe europee.

“Rispetto agli obiettivi iniziali, gli americani si trovarono gradualmente a fronteggiare un paradosso: gli Stati dell’Europa Occidentale non vedevano l’unità come un’alternativa alla protezione americana; anzi, temevano esattamente che potesse accadere ed erano disposti ad accettare un maggiore grado di integrazione solo in cambio della promessa degli Stati Uniti di rimanere in Europa contro l’aggressione tedesca o russa”. Quando nasce la Nato, infatti, presto viene descritta con la celebre battuta per cui il suo compito sarebbe stato quello di “Tenere fuori i russi, dentro gli americani, giù i tedeschi”.

Lo studioso americano nel saggio si destreggia con lucidità fra varie scuole di pensiero che sulla guerra fredda hanno offerto interpretazioni diverse. C’è una scuola ortodossa, secondo la quale, il conflitto prolungato Est – Ovest era semplicemente inevitabile, visti gli obiettivi sovietici: estendere il sistema del comunismo totalitario ben oltre le necessità di sicurezza dell’URSS. Secondo questa scuola di pensiero “Nessuna possibile azione intrapresa dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna avrebbe indotto Stalin a moderare i suoi disegni”. Harper ritiene che alcune puntate espansionistiche di Mosca erano tipicamente geopolitiche, slegate dall’ideologia comunista; i russi volevano controllare il Mar Nero, così come gli americani, dai tempi della dottrina Monroe, volevano il Mar dei Caraibi nella loro sfera di influenza.

“Una seconda scuola di pensiero è squilibrata nel senso inverso, ed è tornata di attualità in occasione dell’attacco militare di Vladimir Putin contro l’Ucraina nel 2022: è quella che vede l’espansionismo americano come l’unica forza del male nella storia contemporanea. La New Left (Nuova Sinistra), egemone nelle università e nelle piazze dagli anni Sessanta in poi, ha sempre accusato il complesso militare – industriale degli Stati Uniti di essere il vero istigatore della guerra fredda. Come minimo – spiega Harper – la visione antiamericana tradisce una visione semplicistica del capitalismo e dei suoi legami con la politica estera, e ignora che i settori avanzati del capitalismo americano orientati verso l’estero ed espansionisti tendevano a favorire un miglioramento delle relazioni con l’Unione Sovietica” (Federico Rampini, prefazione, pag. 13, in John L. Harper, La guerra fredda, storia di un mondo in bilico, Milano, 2022).

“Il quadro delle interpretazioni della guerra fredda si arricchisce con un terzo gruppo di studiosi che hanno una posizione più distaccata. Collocano lo scontro Est – Ovest in una prospettiva più ampia: “La guerra fredda era soltanto l’ultimo anello di un’interminabile catena di conflitti per dominare il continente europeo”. Infine, in una sintesi di cui l’esponente più autorevole è John Gaddis, si riconosce che gli Stati Uniti avevano creato una sorta di impero dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma questo impero americano non era guidato da imperativi economici né era stato imposto da vittime indifese contro la loro volontà. Era un impero difensivo, guidato da preoccupazioni di sicurezza nazionale e attivamente sollecitato dai suoi sudditi in Europa e altrove. Sono temi tornati di un’attualità pregnante nel 2022, quando fior di opinionisti italiani dal vasto modo filo- putiniani hanno reinventato a modo loro la storia della guerra fredda e hanno descritto un’Italia schiava degli americani” (Ibidem, pag. 14).

“Semplificando all’estremo, la guerra fredda fu un confronto per la supremazia fra gli Stati Uniti d’America, che si consideravano la guida di un mondo libero di democrazie capitaliste e liberali (anche se molti dei paesi che si allinearono con Washington erano ben lontani dalla democrazia), e l’Unione Sovietica (URSS) che rivendicava la guida del campo socialista o comunista (anche se alcuni dei suoi seguaci rientravano solo nominalmente in tale definizione). Fu una lotta per il controllo fisico di luoghi considerati vitali per entrambi. Allo stesso tempo fu una sfida tra due sistemi politici e sociali antagonisti che ambivano a dimostrarsi più capaci di generare potenza e benessere e porsi quali modelli di sviluppo per i paesi post coloniali e non allineati. I due fronti furono divisi non solo da esigenze di sicurezza incompatibili, ma anche da ideologie in conflitto tra loro: come nel caso della profonda frattura che divise il cristianesimo all’epoca della Riforma; si potrebbe considerare questa divaricazione ideologica come uno scontro fra ramificazioni della stessa civiltà europea. Ma quella proposta da entrambi i contendenti nella guerra fredda fu una religione secolare che pretendeva di offrire la via al progresso materiale; ciascuno rivendicò una validità universale per la propria visione e nutrì la certezza che il proprio sistema avrebbe alla fine prevalso” (Introduzione, pag. 17).

La novità della guerra fredda era rappresentata dal fatto che “I contendenti principali non si affrontarono sul campo di battaglia, preferendo scontrarsi per procura attraverso i loro servi di intelligence, utilizzando i mezzi della guerra economica e psicologica, e nell’arena dell’opinione pubblica mondiale. Raymond Aron colse il senso di ciò che succedeva nei lunghi decenni della guerra fredda quando parlò di “pace impossibile, guerra improbabile”. La pace era impossibile a causa delle visioni del mondo e degli interessi apparentemente inconciliabili delle superpotenze e dei rispettivi seguaci; ma una guerra in piena regola era improbabile a causa del potenziale distruttivo messo in luce in modo indelebile a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945”.

“Oltre alle armi nucleari, ci sono almeno tre fattori fondamentali che determinarono i parametri della guerra fredda e ne influenzarono il corso. Il primo fu la nuova e ambigua posizione dei protagonisti di precedenti lotte per la supremazia: sconfitti, occupati e umiliati, Germania, Italia e Giappone  divennero premi in palio nella competizione delle grandi potenze, mentre la Francia e la Gran Bretagna, nonostante fossero fra i vincitori nel 1945 e non mancassero di potenza militare, si trovarono a dipendere dagli Stati Uniti e videro i rispettivi imperi fortemente compromessi. Queste potenze, tuttavia, non furono spettatori passivi, perché erano decise a mantenere (o nel caso da Germania, Italia e Giappone a riguadagnare) la loro libertà d’azione e a ricostruire le loro economie.

Il secondo fattore fu l’emergere di nuovi stati indipendenti in Asia e in Africa. La rivolta contro l’Occidente delle ex colonie era cominciata nei primi decenni del Novecento, ma trasse un impulso decisivo dalla Seconda Guerra mondiale. Proclamandosi e convincendosi di essere antimperialisti e campioni del progresso, Stati Uniti e URSS si lanciarono in una frenetica e costosa competizione per sostituire l’influenza europea e assicurarsi vantaggi strategici ed economici nel terzo mondo. Asia, Africa e America Latina divennero il banco di prova dell’idea, indispensabile per il prestigio e l’autostima di ciascuna superpotenza, di avere il carrozzone della politica internazionale sotto il proprio controllo.

Un ultimo fattore, strettamente correlato, fu l’ascesa, se non di una terza superpotenza, di un terzo polo geopolitico e ideologico: la Repubblica Popolare Cinese. Dopo un secolo di decadenza interna e di aggressioni imperialistiche da parte europea e giapponese, la Cina aveva ritrovato la sua unità sotto i comunisti e perseguiva il disegno di trovare un ruolo internazionale adeguato alla sua storia millenaria. L’ambizione cinese non solo condizionò la politica degli Stati Uniti ma in alcuni momenti aggravò il contrasto tra USA e URSS: il coinvolgimento sovietico in Asia, Africa e America Latina, che provocò confronti a volte violenti con gli Stati Uniti, fu collegato infatti alla competizione per l’egemonia della leadership comunista che prese il via nei tardi anni Cinquanta tra Mosca e Pechino.

Il mondo della guerra fredda, in buona sostanza, non fu mai veramente bipolare, un termine che suggerisce un globo diviso nettamente fra due avversari. I contemporanei, come scrisse Aron nel 1956, videro che l’unità del pianeta tendeva manifestamente a disintegrarsi. Nuovi centri di forza, fuori dai confini degli USA e dell’URSS erano destinati a sorgere. Attori diversi dalle due superpotenze furono presenti sulla scena fin dall’inizio, talvolta riuscendo a trasformare le loro debolezze in punti di forza. Il termine bipolarismo è fuorviante anche perché suggerisce una sostanziale parità in termini di potenza fra Stati Uniti e Unione Sovietica. La competizione nella guerra fredda non fu mai alla pari, né fu percepita come tale dalle grandi potenze.

Winston Churchill era del tutto certo che gli USA avrebbero fatto un uso giudizioso della propria forza militare, terrestre, navale e aerea e lo dichiarava apertamente in un messaggio indirizzato a Franklin Delano Roosevelt nel 1944, poco dopo le elezioni presidenziali americane. Non c’è un messaggio analogo di Iosif Stalin perché il leader sovietico non era solito fare risaltare l’inferiorità del proprio paese rispetto a tutti gli indicatori di potenza, a parte quello delle forze terrestri, ma, per quanto temibile l’Armata Rossa  non poteva essere tenuta indefinitamente sul piede di guerra, in vista delle necessità della ricostruzione post bellica. Nonostante ciò, Stalin era consapevole del gap esistente tra gli USA e il resto del mondo, e ancora più preoccupato per le sue implicazioni. Come ricordava Nikita Kruscev, la vittoria non impedì a Stalin di tremare internamente” (Ibidem, pp. 19- 23).

Indice del saggio

Tolte le pagine iniziali (7 – 25) e finali (77 – 358), il saggio vero e proprio, diviso in due parti, si articola secondo questo indice:

Parte prima (Gli antefatti)

Tracce documentarie

  1. Russia e Occidente. Uno scontro inevitabile?
  2. La fine delle illusioni, 1945 – 1946
  3. Il consolidamento dei blocchi, 1947 – 1949

Parte seconda (Le alterne vicende)

La guerra fredda nella storiografia

  1. La globalizzazione e militarizzazione del confronto, 1949 – 1953
  2. L’età del rischio calcolato, 1953 – 1963
  3. La lotta nel terzo mondo, 1950 – 1968
  4. Ascesa e declino della distensione, 1966- 1977
  5. Verso il panico del 1979
  6. Segnali di cambiamenti, 1980 – 1985
  7. La fine della guerra fredda, 1986 – 1990

Conclusioni (pp. 269 – 276)

“Il dibattito sull’inizio, l’evoluzione e la fine della guerra fredda non si esaurirà probabilmente mai” – scrive l’autore – qualora venissero alla luce nuove fonti documentarie. Detto questo, John Harper conclude questo tentativo di raccontare la storia della guerra con un decalogo di osservazioni. “La guerra fredda cominciò in parte perché le superpotenze avevano radicate tendenze a prepararsi al peggio e a concepire le loro esigenze di sicurezza in termini espansionistici: un’abitudine mentale definita nel saggio fatalismo hobbesiano. Gli USA costruiscono la propria nazione affrontando ostacoli naturali da un lato ma dichiarando guerra ad altre nazioni dall’altro per ingrandire il proprio territorio dall’Atlantico al Pacifico. La Russia zarista combatte con la spada gli stati vicini in un costante clima da paranoia. Il pensiero di Hobbes, Homo homini lupus (l’uomo è un lupo per l’uomo) si addice ad ambedue i popoli, anche se nella costruzione dello spirito americano entra largamente il pensiero di John Loch, fautore del pluralismo politico e padre del liberalismo, mentre Hobbes è il teorico della monarchia assoluta, come è stata la Russia degli Zar, temperata da timide riforme”.

La guerra fredda continuò in parte perché armarsi contro un possibile attacco ed esagerare la minaccia furono armi efficaci in politica interna. Nel sistema bipartitico americano, tutti i politici, democratici e repubblicani, ebbero paura di apparire deboli e fecero a gara per essere duri con il comunismo, sia in patri sia fuori di essa. Anche se il sistema sovietico non fu certo una democrazia, l’opinione generale era che la gente avrebbe perdonato alla leadership qualsiasi cosa tranne una ripetizione della tragedia dell’inizio della seconda guerra mondiale. Questo significò soddisfare in tutti i modi l’appetito del complesso militare – industriale sovietico.

La guerra fredda fu una competizione fra sistemi socio economici che si consideravano reciprocamente come naturali nemici. Ciascuna parte sposò una visione direzionale e messianica della storia, convinta che la propria causa sarebbe risultata vincente. La guerra rimase fredda perché dopo Hiroshima il mondo sapeva come sarebbe stata la prossima guerra. Nikita Kruscev usò i missili dispiegati a Cuba per ottenere un impegno degli USA a non invadere l’isola, fallì nel tentativo di usare la prospettiva di una guerra nucleare per costringere le potenze occidentali ad abbandonare Berlino. Nel suo teatro centrale, il conflitto fu uno scontro del tutto impari, gran parte delle regioni più ricche e avanzate dell’Europa rientrarono nella sfera occidentale. I membri fondatori della Comunità Economica Europea furono i principali beneficiari del confronto USA – URSS oltre che importanti protagonisti della vittoria finale dell’Occidente. L’autore si dilunga poi a parlare dei risvolti che ebbe il confronto USA – URSS nei paesi che erano al di fuori dei due schieramenti. Nelle tre pagine conclusive, Harper riporta il pensiero di George Kennan circa il risultato finale. All’interno dell’URSS, lo statista americano individua tre semi della decadenza dell’Unione Sovietica:

“L’economia sovietica dopo il 1953, chiusa al mondo esterno e amministrata dal centro, era diventata inefficiente e sclerotica, dopo la crescita tumultuosa avvenuta con Stalin. E’ il primo seme della debolezza sovietica. La classe politica era tutta da sostituire per raggiunti limiti di età. Solo Kruscev e Gorbaciov tentarono di costruire un socialismo dal volto umano”. Non ci riuscirono, anzi, Gorbaciov, osannato in Occidente e negli USA per la sua Perestroika e Glasnost, premio Nobel per la pace, morto il 30 agosto 2022, in Russia è accusato di ogni nefandezza. Ha contribuito a distruggere l’impero russo e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, che Vladimir Putin vuole ricostruire, segno che per lui e per il Cremlino la guerra fredda non è mai terminata. Il secondo seme della decadenza viene identificato da Kennan, che per altro riprende il pensiero di Charles de Gaulle, nella fine del comunismo che “Resiste nella misura in cui è nazionalismo”. Mai altra profezia è così azzeccata come questa alla luce della guerra d’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina. Il terzo seme, se non della decadenza dell’URSS ma della sua trasformazione nella sua relazione con l’Occidente, fu quando Kruscev ripudiò Stalin e permise l’inizio di un disgelo culturale”.

“… L’Occidente vinse la partita in parte perché il campo di gioco fu sempre inclinato a suo favore, e gli Stati Uniti condivisero gli allori non solo con l’Europa ma anche con il più grande sistema autoritario del mondo. Un certo grado di sguardo retrospettivo ai campi della guerra fredda, insieme a un senso di sollievo che il mondo sia sopravvissuto a quarantacinque anni di conflitto, evoca sentimenti di rimpianto e di umiltà” (John L. Harper, La guerra fredda, storia di un mondo in bilico, pag. 276, Milano, 2022).

Rimpianto e umiltà devono sempre accompagnare ogni ricerca storica sui grandi avvenimenti che toccano l’umanità intera. Occorrerà del tempo prima di studiare serenamente l’operato di Michail Gorbaciov, per ora vale solo il ricordo di una figura importante nella storia dell’Unione Sovietica. Il tempo presente è forse un tempo più difficile e irto di paure e angosce, più di quante ne abbia passate l’umanità dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi. L’invasione dell’Ucraina ad opera della Federazione Russa, ribattezzata da Putin come operazione militare speciale, volta a denazificare l’ex Repubblica Socialista Sovietica, indipendente dal 1991, è inquietante, soprattutto quando si vuole riscrivere la storia passata e si intraprende una guerra di civiltà contro un’altra ritenuta decadente, l’Occidente o non si riconosce la fine dell’Unione Sovietica, la caduta del muro di Berlino, l’unificazione tedesca, definiti come atti illegali da alti rappresentanti del Cremlino (N.D.R.).

Raimondo Giustozzi

 

Invia un commento

Puoi utilizzare questi tag HTML

<a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>