
Musa Darboe e Francesco Moglianesi
di Valerio Calzolaio
Recensione La prima goccia
La prima goccia
Musa Darboe e Francesco Moglianesi
Migrazioni
Zefiro Fermo
2021
Pag. 479 euro 20
Valerio Calzolaio
Gambia (Sahara, Mediterraneo) e Italia (ora Svezia). Dal 10 gennaio 1996. Musa Darboe nasce in una famiglia povera (come tutte le altre) di Manduar, un modesto villaggio di appena mille abitanti nel Kiang, regione poco sviluppata (niente strade, precarie acqua ed elettricità) dello stato più piccolo dell’intero continente africano. Dal 13 febbraio 2021 si trova in Svezia: sogna un diploma, un lavoro e altre soddisfazioni. Ci racconta qui la sua vita, con orgoglio le proprie radici, poi una storia di migrazione, ma anche di accoglienza. Fino a 17 anni è restato in patria. Madre Manyma contadina e cuoca (senza fornelli, solo fuoco e grandi pietre) nelle scuole della zona (non un “salario”, solo provviste alimentari), nata nel 1959; padre Lamin (con due diverse mogli) contadino e sarto (cucendo non solo i vestiti ma anche il tessuto sociale), nato nel 1936; tantissimi fratelli e sorelle (fra gli altri, otto figli solo dalla stessa mamma), il più grande nato nel 1974 (e morto nel 2019), il più piccolo del 2000, adesso poco più che ventenne; innumerevoli altri vari parenti, cugini ovunque. Parto all’ospedale di Keneba, al lavoro sulle spalle dei genitori per i primi cinque anni, poi scuola elementare nel villaggio, media iniziata a Kaneba (otto chilometri a piedi) e terminata in cittadine via via più grandi (ospitato in case da dove poteva prendere l’autobus per i lunghi tragitti). Lontano da casa scopre che c’è chi parte, decide di fuggire anche lui nel settembre 2013 con un piccolo zaino, chiama gli amati padre e madre da Agadez, sta affrontando il deserto, lo attende il mare. Dopo molteplici pericoli e disavventure giunge a Fermo nelle Marche, lentamente s’inserisce, impara l’italiano, viene adottato, lavora, gioca a calcio, ricomincia a studiare. Subito prima di raggiungere un cugino in Svezia (che può ospitarlo) riesce a buttar giù di getto quel che ha vissuto. Dopo un anno esce il suo libro, bellissimo.
Non è un’autobiografia, non è un diario. L’idea di scrivere appunti schematici sulla propria storia prese forma durante le notti insonni all’inizio della pandemia. Al computer, frasi arditamente in incerto italiano, all’inizio soltanto una cronaca degli eventi principali. Dopo un mese stampò i venti fogli e li portò sempre con sé. Quando decise di lasciare l’Italia incontrò il possibile coraggioso editore, da ultimo l’ottimo storyteller Francesco Moglianesi (Montappone, Fermo, 1989), esperto di comunicazione e fotografia. Attraverso tante intense videochiamate gli appunti sono divenuti una coinvolgente narrazione a quattro mani, Musa parla senza fiction (in prima al passato), trama e linguaggio sono ora compiuti (arricchiti di sviluppo vocabolario stile). Vi sono le identità di luogo e di tempo, donne e uomini di un’esistenza reale; l’incidere è divenuto emotivo ed elegante. Alcuni termini della lingua orale nativa fanno da titolo e tema della tripartizione cronologica in cui sono divisi i ventuno capitoli: jeelo sorriso (fino al 2013), hamo coraggio (fino alle acque italiane), geeko speranza (finora, con in mezzo un solo commovente rientro nella terra africana). Il titolo del volume (da leggere presto, con gusto e passione) è il filo e motore narrativo, condiviso dai due autori: la maggiore biodiversità climatica fra le lontane successive residenze (sotto il Sahara tende a esserci un’unica attesa stagione delle piogge, in Gambia dalla fine di maggio); la similitudine fra gocce e frasi (“le parole buone sono come la pioggia che bagna il terreno”, proverbio africano in esergo); la poesia ricorrente ogni volta che piove, ovunque sia (si ricorda sempre “la prima goccia che cade sulla mano di un bambino”). La svolta sociale e culturale avviene alla Fattoria Sociale Montepacini di Fermo (“un luogo magico”, uno di quegli ecosistemi di umanità poco conosciuti e decisivi per tanti e tante da decenni), soprattutto attraverso l’incontro con il principale animatore della struttura, Marco Marchetti, divenuto per Musa un “padre spirituale”. Si tratta di una singola esperienza dalla quale molto (non ideologicamente) si capisce dei gradi relativi della libertà di migrare: “sono troppe le variabili che influenzano la vita di chi si mette in viaggio”; “per l’ennesima volta, perdemmo la cognizione dello spazio e del tempo, come se quella fosse l’inevitabile condanna di ogni migrante”; “il razzismo in Italia è un problema di sistema”.
v.c.
Recensione Stavros
Stavros
Sophia Mavroudis
Traduzione (dal francese) di Giovanni Zucca
Noir
Edizioni e/o Roma
2022 (ed. orig. 2018)
Pag. 219 euro 16
Valerio Calzolaio
Atene. Inizio autunno 2014. Con passo pesante e svogliato entra in taverna (il suo quartier generale) e si piazza su tre sedie (una per sedere, le altre per appoggiare una gamba e un gomito) il virile Stavros Orso Nikopolidis, alto un metro e ottantasette e imponente, robusto e ancora non arrotondato (nonostante il poco sport), braccia forti e muscolose, nonno arrivato da Smirne nel 1923 (esodo forzato dall’Anatolia) ed eroe della resistenza, genitori intellettuali di sinistra, padre professore imprigionato e torturato, vittima della dittatura dei colonnelli. Deve pensare: quella mattina lo hanno chiamato per l’omicidio di un archeologo in mezzo agli scavi vicino alla stazione della metropolitana di Monastiraki e il passato gli ha invaso la mente. Dieci anni prima era avvenuto l’analogo omicidio di un altro archeologo con gli arti spezzati, insieme alla scomparsa sia di un frammento di un fregio del Partenone appena riportato alla luce che, soprattutto, della sua amata moglie Elena (poi riconosciuta in un cadavere carbonizzato), elegante bella colta responsabile degli scavi. Ancora una volta sulla scena del delitto viene trovata una moneta con incisa sul rovescio la civetta, l’uccello di Atena. Le sue ricerche non avevano portato a nulla, pur essendo considerato il miglior poliziotto della città. Bloccato da ogni parte, a corto di mezzi, morale e cuore a mezz’asta, rabbia e alcol a portata di mano, era crollato. Ora deve provare a scuotersi. Crede di sapere chi è l’assassino: quel Rudolf implicato in vari giri criminali, traffici internazionali di opere d’arte, prostituzione, armi; tornato per vendicarsi su lui, sul suo adorato figlio Yannis, su protetti e amici.
L’insegnante, ricercatrice e consulente in relazioni internazionali (e conflitti europei) Sophia Mavroudis (Casablanca, 1965), padre greco e madre francese, ha scelto di raccontare la Grecia dell’ultimo ventennio, in particolare dopo la terribile crisi economica del 2008 (gestita pessimamente dall’Unione Europea), attraverso una serie noir (pensata in greco, scritta in francese), di cui questa è la prima avventura, incentrata sul suo protagonista (da cui il titolo), narrata in terza quasi esclusiva al presente, in corsivo i dialoghi ricordati con i progenitori. Di Stavros saprete tutto, vicende carattere pensieri opere affetti, un bel tipo disordinato e febbrile come l’impianto del romanzo, interessante e avvincente. Lo apprezzeremo sul lavoro, con il suo capo Anastasios Machiavelli Livanos, erede dell’alta borghesia ateniese e dello “spirito” greco, odioso e leale; con i fedeli bizzosi collaboratori, Dora mancina esperta di arti marziali, Eugénios giovane mago delle tecnologie informatiche; con gli altri poliziotti che spesso non lo sopportano ma lo stimano, forse pure quelli di destra (lui era iscritto al Partito Comunista e odia Alba Dorata). Lo valuteremo a casa come genitore affettuoso, ottimo cuoco e divulgatore. Lo seguiremo nel gioco antico del tavli (raccontato più volte e nei particolari, chi legge non potrà che imparare a capirci qualcosa), nei meandri degli ipersensibili labirintici percorsi mentali, nelle scelte dei piatti e dei vini (perlopiù bianchi in botti, ma per rilassarsi niente di meglio che il secco fruttato rosso Château Nico Lizaridi, addirittura con qualche cubetto di ghiaccio). Poi Ouzo sempre e comunque, un po’ come le poesie di Costantino Kavafis, l’autore preferito da Stavros che, per scendere proprio in fondo all’anima, opta infine per il bouzouki, il blues greco.
v.c.
Recensione Lo sputo
Lo sputo
Marzia Sabella
Romanzo storico
Sellerio Palermo
2022
Pag. 171 euro 14
Valerio Calzolaio
Sicilia e Palermo. 1919-2004. Serafina Battaglia visse 84 anni, era parte di una famiglia mafiosa. Nel 1960 per una faida le fu ucciso il marito Stefano Leale, chiese al figlio Salvatore di vendicarsi, fu ucciso anche lui. Dal 1962 non si chiuse nell’omertà, collaborò con il giudice istruttore Terranova, si dotò di una pistola e testimoniò in vari processi nei decenni successivi, con gesti teatrali e sputi agli imputati. Nel bel romanzo “Lo sputo”, la magistrata Marzia Eugenia Sabella (Bivona, Agrigento, 1965) parte dai servizi televisivi nazionali al momento della morte, riprende l’intervista che donna Serafina fece nel 1967 e ne ripercorre in dieci scorrevoli capitoli le tappe principali della vita dagli anni quaranta in avanti. Prende spunto da frasi verbalizzate su giornali, verbali o sentenze per una colta ricca narrazione, partecipe ma non complice, in terza al passato. Non è resoconto, non è biografia, piuttosto l’immersione in un punto di vista colmo di acredine competente.
v.c.
Recensione Storie liberate
Storie liberate
Vittorio Gazale e Piero Marras
Diciassette storie penitenziarie, narrate e musicate
Carlo Delfino Sassari
2018
Pag. 224 in due volumi e due CD, 19,90 euro
Valerio Calzolaio
Sardegna. Da oltre un secolo. Le colonie penali nascono a inizio Ottocento e con l’Unità entrano nella legislazione italiana, vennero istituite con l’obiettivo di bonificare e rendere produttivi terreni marginali, generalmente paludosi e infestati dalla malaria. In un precedente volume sono state analizzate le otto esperienze sarde attraverso una ricerca archivistica e documentaria, la collaborazione delle carceri e il lavoro di detenuti appositamente formati. In questo virtuale seguito, “Storie liberate”, il bravo direttore del parco dell’Asinara Vittorio Gazale racconta e il grande cantautore polistrumentista Piero Marras musica diciassette emozionanti storie personali (fra il 1860 e oggi). Si tratta di quattro splendidi prodotti indivisibili: due volumetti cartonati, con numerose foto d’epoca, e due intensi CD, con canzoni composte in lingua italiana nel primo, in lingua sarda nel secondo. Parole e musiche dedicate al mondo carcerario, di cui spesso è facile dimenticare l’umanità.
v.c.
Recensione L’ordine infranto
L’ordine infranto
Maria Teresa Casella
Avventura
Oltre Sestri Levante
2022
Valerio Calzolaio
3
Roma. Qualche anno fa. Marta Torrese scopre di aver vissuto i primi propri ventitre anni in un imbroglio concertato da altri. Ascoltando per caso un colloquio dei genitori Laura e Alberto (critici verso i suoi tarli scontrosi) scopre di essere stata adottata a un anno, la madre biologica l’aveva abbandonata nella comunità dove aveva trascorso gli ultimi mesi di gravidanza, loro non avevano mai trovato il momento adatto per dirglielo, è una rivelazione inaspettata e sconvolgente. Bruna con gli occhi scuri, fisico robusto, aperta alle esperienze, studentessa in medicina al quarto anno, infranto l’ordine della sua vita, tentato inutilmente di ricomporlo, quella stessa notte di marzo lascia la casa dov’era cresciuta e fugge, due mesi in sistemazioni occasionali e poi randagia per strada, per qualche mese vive di stenti da barbona. Incrocia Zaclina, una zingara, due volte a pochi giorni di distanza, vivono entrambe di espedienti. Prima, una domenica la ragazzina 17enne prova a derubarla della carità ricevuta, Marta la raggiunge e la picchia selvaggiamente; poi, la ritrova a fine luglio dentro Villa Borghese, mentre fa la carità e due giovinastri balordi tentano di violentarla, Marta riesce coraggiosamente a metterli in fuga e l’accompagna alla Mercedes degli zingari, dove di nuovo quei due aggrediscono Marta. A quel punto, Zaglina l’aiuta e le propone di aggregarsi: la kumpània è il loro clan (molte famiglie unite insieme), diventa per Marta una nuova provvisoria precaria famiglia, conta un centinaio di persone in baracche e roulotte nell’area sud del più vasto periferico accampamento rom della capitale (migliaia di persone), promiscuità assoluta sotto le lamiere, bisogni all’aperto. Lei è una gagì (“donna non rom”), loro parlano romanes. Vi trascorre tre stagioni, come assistente sanitario di fatto, trova amici e avversari in un nuovo specifico sistema gerarchico (maschilista), ne accadono tante prima che si infranga anche quell’ordine, lasciando affetti.
La giornalista, pubblicitaria e scrittrice Maria Teresa Casella (Roma, 1960) ha all’attivo dal 1987 decine e decine di romanzi e racconti con innumerevoli case editrici, spesso pubblicati con uno pseudonimo (il più noto è Theresa Melville, collane da edicola). Scrive bene, si documenta, cura il prodotto narrativo. Il titolo di quest’ultimo bel romanzo contemporaneo risuona in ogni pagina: Marta è uno spirito inquieto, in continua introspezione, non sempre si piace e ne paga le conseguenze con ardore. La narrazione è in prima persona al passato, fin quasi dall’inizio aleggia il possibile sgombero degli accampamenti rom, da sempre questione di delicate contraddizioni amministrative e di scontro politico culturale, a Roma e non solo. La scoperta di come vi si vive, insieme delicata e crudele, riguarda Marta e gran parte dei lettori; la ricostruzione non è ideologica né asetticamente giornalistica, si passa per le vite vissute, convinzioni convenzioni abitudini pulsioni sentimenti emozioni dialettiche scontri, di comunità e individuali, di genere e sociali. Il concetto del tempo per i rom è legato all’esperienza del presente, non c’è (forse) progettualità dell’esistenza. Noi (forse) vorremmo che cambiassero almeno qualcosa per stare meglio per conto proprio, loro no. Di giorno Marta va a raccattare questue in giro per la città (e sa dei furti), di notte torna ai ritmi accampati, faticando a essere accettata; inoltre, assiste un vecchio malato, aiuta il parto di una donna, fa sesso con un bell’avanzo di galera, ruba per curare la sempre più malata Zaglina, viene malmenata, assiste a incendi e ispezioni, non proprio le solite storie. Vino in gran quantità. Potente musica gitana, ballabile non da tutti.
v.c.
Vita da rom
https://it.wikipedia.org/wiki/
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