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Libri. Henry Kissinger: Ordine Mondiale Capire gli equilibri del mondo

Ordine mondiale E. Kissingerdi Raimondo Giustozzi

Il libro, Ordine Mondiale di Henry Kissinger, novantotto anni, il segretario di Stato più celebre nella storia d’America, pubblicato nella sua prima edizione nell’aprile del 2015, “è una guida per orientarsi nel mondo di oggi, turbolento e ansiogeno. Torna utile per capire se c’è una via d’uscita, una soluzione stabilizzante e rassicurante, e se questa chiami in causa il ruolo dell’America o di altre potenze in ascesa”. La guerra contro l’Ucraina apre scenari del tutto nuovi. C’è chi vorrebbe ricostruire l’antico impero zarista e riscrivere la storia del Novecento. Ci saranno nuovi equilibri  e nuovi giorni, scomparso il sol dell’avvenire che ha avuto il potere di illudere più generazioni.

“Qualsiasi ordine mondiale si fonda su due componenti: un insieme di regole comuni accettate dalle parti, un equilibrio di potenze che imponga il rispetto delle regole o che comunque fissi dei limiti all’uso della forza, in modo da impedire che una singola potenza schiacci le altre. Non è una definizione astratta ma calata nella storia e in questa disciplina Henry Kissinger è un maestro in quanto professore all’università di Harvard e autorevole studioso di storia della diplomazia, in particolare di quel periodo che va dalla pace di Vestfalia (1648) al Congresso d Vienna (1815)” (Henry Kissinger, Ordine mondiale, Prefazione, Milano 2015). Queste due date rappresentano due cesure importanti perché, la prima dà inizio ad un tipo di ordine, l’altra ad un nuovo ordine mondiale.

Quando si parla di ordine mondiale, è chiaro che lo spazio geografico si allarga nel corso della storia. ”Per cinquecento anni il dominio imperiale di Roma aveva garantito un unico insieme di leggi, una difesa comune e uno straordinario livello di civiltà. Con la caduta di Roma, che convenzionalmente si colloca nel 476 d. C., l’impero si disintegra. In quelli che gli storici chiamano secoli bui o Alto Medioevo, si diffonde la nostalgia per l’universalità perduta”, che la chiesa si fa carico di ristabilire. “Ci sono due sistemi”, scriveva Papa Gelasio I all’imperatore di Bisanzio Anastasio nel 494con cui questo mondo viene governato, l’autorità consacrata dei sacerdoti e il potere dei re. Tra questi, la responsabilità maggiore la portano i sacerdoti in quanto risponderanno al Signore, anche per i re, nel Giudizio finale. Il vero ordine mondiale in tal senso non era di questo mondo”( Ibidem, pag. 26). Questa visione si scontrava con una realtà molto diversa. La Città di Dio, teorizzata da Agostino di Ippona non si identificava affatto con la Città degli uomini. Decine di autorità politiche esercitavano la sovranità senza che tra esse vi fosse una gerarchia chiara.

L’aspirazione verso una sintesi tra le due città, quella terrena e l’altra celeste si materializza con l’incoronazione nella notte di Natale dell’800, quando Leone III incoronò il re franco Carlo Magnoimperator Romanorum”. Ma il Sacro Romano Impero di Carlo Magno non realizzò le sue aspirazioni. Di fatto iniziò a sgretolarsi quasi subito dopo la fondazione. L’impero romano d’Oriente, che pure il papa aveva assegnato, continuò ad avere una sua propria storia. “Indebolito da guerre civili, meno di un secolo dopo la sua fondazione, l’impero di Carlo Magno uscì di scena, quantomeno come entità politica coerente (anche se il nome rimase in uso con riferimento a una serie variabile di territori fino al 1806)” (Ibidem, pp. 26- 27).

Il lungo Medioevo, quanto ad un ordine mondiale, non termine con la scoperta dell’America (1492) o con la caduta di Costantinopoli (1454) ma arriva al Congresso di Vestfalia (1648) che pone fine alla Guerra dei Trent’anni (1618- 1648), che fu a tutti gli effetti un conflitto religioso. I conflitti armati tra protestanti e cattolici non erano meno aspri di quelli che oggi oppongono mussulmani sunniti e sciiti. Uno dei principii stabiliti nel 1648 è: “Cuius regio, eius et religio”. Ogni re ebbe riconosciuta la potestà di decidere quale religione  (cattolica o protestante) dovesse praticarsi nel suo territorio. Da un lato, il principio ratificava il diritto di interferire nella coscienza individuale dei sudditi, cosa che oggi ci ripugna, ma da un punto di vista geopolitico era un riconoscimento della sovranità: un re non doveva immischiarsi nelle vicende interne del suo vicino. Si apriva così l’età della diplomazia, un nuovo metodo per gestire le relazioni internazionali. Fino ad allora solo la Serenissima Repubblica di Venezia praticava l’uso sistematico degli ambasciatori. Grandi o piccoli che fossero, tutti gli stati vedevano riconosciuta almeno in linea di principio la propria esistenza e la propria dignità. Questo non vuol dire che andasse tutto alla perfezione. Di volta in volta c’erano degli stati che volevano imporsi a danno dei vicini. In questo modo gli equilibri tra stati venivano spezzati. La Rivoluzione Francese pima e Napoleone Bonaparte dopo furono i protagonisti di questa rottura.

Al Congresso di Vienna nel 1815 fu aggiunto un nuovo elemento alle regole della pace di Vestfalia: l’equilibrio di potenze, principio in base al quale si voleva impedire il predominio di una potenza continentale a scapito delle altre (Prussia, Austria – Ungheria, Francia, Russia). Ma i principi di Vestfalia  e dell’equilibrio fra potenze continuarono a essere destabilizzanti ogni volta che sulla scena emergeva un’ideologia dalle pretese universali che quindi si considerava legittimata a interferire negli affari interni dei vicini: fascismo, nazismo, comunismo, nel XX secolo. Più di recente, la jihad non riconosce il principio Cuius regio, eius religio; al contrario, applica la pena di morte agli infedeli, vuole riunire sotto un’unica teocrazia l’intero mondo islamico (Ibidem, pp. 8-9).

Una pace di Vestfalia nel XXI secolo che cosa può significare? Nei nostri atteggiamenti verso la Cina e la Russia, applicare il principio Cuius regio, eius religio significherebbe rinunciare a criticare gli abusi contro i diritti umani: l’incarcerazione o l’eliminazione dei dissidenti. In questo senso Xi Jinping e Vladimir Putin sono vestfaliani o kissingeriani, poiché denunciano le campagne occidentali per i diritti umani come altrettante interferenze negli affari interni di Stati sovrani. “Dove l’America e i suoi alleati dovrebbero essere ben più vigilanti, secondo Kissinger, è nel contrastare ogni mossa che destabilizzi l’ordine e gli equilibri fra le potenze: le minacce della Cina contro il Giappone o le Filippine, oppure le annessioni militari della Russia in Europa”.

“Secondo Putin è stato l’Occidente che ha sconvolto gli equilibri di forze, quando ha allargato la Nato annettendovi diversi paesi ex socialisti che sono stati nella sfera sovietica (Polonia, Romania, Bulgaria, Paesi Baltici). In questa versione degli eventi, Putin agisce nello spirito del Congresso di Vienna. Vuole ripristinare lo status quo. Secondo questa visione kissingeriana trova una giustificazione l’appoggio di Putin dei dittatori arabi (Siria, Egitto) che fanno da argine contro il dilagare dei fondamentalisti islamici. Naturalmente, secondo Kissinger, fa bene l’America a sostenere l’Arabia Saudita- alleato di ferro- sorvolando sulle discriminazioni contro le donne, la censura, l’oscurantismo religioso nel regno wahabita. Kissinger non espelle del tutto i valori morali dalla sfera della geo strategia. Tuttavia ammonisce a non trascurare le lezioni del passato, i tanti precedenti in cui gli stati, convinti di detenere la Verità suprema, si sono arrogati il dritto di invadere i vicini, scatenare guerre, commettere atrocità”.

Quale dovrebbe essere il ruolo dell’America, se vuole ristabilire una nuova forma di Ordine Mondiale? Gli Stati Uniti sono reduci da un decennio che ha bruciato due idealismi. A destra, i neoconservatori, sfruttando il momento unipolare, dopo la caduta del muro di Berlino, hanno creduto di plasmare il mondo a somiglianza dell’America, esportando la liberal democrazia in Iraq e in Afghanistan. L’idealismo di Barack Obama, soprattutto nella sua fase iniziale, ha creduto che presentando un’America più umile, modesta e autocritica, poteva accumulare un capitale di simpatie per stabilizzare il mondo con il suo soft power.  Ambedue le scelte sono state sconfitte. Il ritiro dall’Afghanistan è naufragato in una debacle politica e militare. Con Donald Trump e Joe Biden, gli Stati Uniti sono tentati dall’isolazionismo, sempre ricorrente nella storia americana. Davanti al colosso economico rappresentato dalla Cina, molti in America ritengono che occorrerebbe ridurre l’iper dilatazione militare, smettere di disperdere le proprie energie in troppe zone del mondo, investendo in casa propria per recuperare efficienza e competitività.

La guerra contro l’Ucraina, definita semplice operazione militare speciale da Putin, sta accelerando profondi cambiamenti nello scacchiere geopolitico mondiale. Scrive Federico Rampini nella prefazione al saggio di Henry Kissinger: “La lezione geopolitica di Kissinger, con la sua attenzione alla storia nei tempi lunghi, torna preziosa oggi se vogliamo capire la nostalgia russa di una sfera d’influenza che risale all’epoca degli zar, prima ancora che dell’Unione Sovietica. “Gigante paranoico, da secoli la Russia è afflitta da una sindrome legata alla sua storia e geografia. Ha la superficie più vasta del pianeta. Non ha però barriere naturali, come lo sono per esempio i due oceani che proteggono l’America. La Russia è stata invasa da tutti: mongoli e svedesi, francesi e tedeschi. Ha reagito annettendo paesi vicini, per allontanare le frontiere esterne da Mosca e San Pietroburgo. Questa sindrome paranoica, che trasforma la propria insicurezza in bulimia di conquista, fece sì che tra il 1552 e il 1917 la Russia si allargasse al ritmo di centomila chilometri quadrati in più all’anno. Per placare questa insicurezza, rese insicuri i propri vicini. Oggi questa logica detta le azioni più recenti di Vladimir Putin. Sull’Ucraina Putin alterna due narrazioni: una nazional popolare e romantica circa la comune identità ancestrale russo – ucraina; l’altra vittimistica, sul presunto tradimento delle promesse americane dopo la caduta del  muro di Berlino, secondo cui la Nato non si sarebbe mai allargata ad Est (in realtà l’esistenza di quell’impegno è controversa, comunque non fu mai sancito in modo formale” (Ibidem, pp.11- 12).

La narrazione nazional popolare romantica di Putin sul medesimo destino di Ucraini e Russi parte dalla notte dei tempi, dalla RUS di Kiev, quando tribù slave, baltiche e finniche riuscirono a creare nel IX secolo dopo Cristo una entità monarchica che si estendeva dal Mar Bianco nel Nord al Mar Nero nel Sud e che comprendeva dunque parte dell’attuale territorio ucraino, russo e bielorusso. Tale entità monarchica, la RUS di Kiev, il cui inizio fino ad oggi è del tutto nebuloso, si dissolse nel 1240 sotto l’incalzare delle tribù mongole e tatare. Kiev venne rasa al suolo e la popolazione locale, mescolata ad altre tribù, si spostò verso il centro dove assieme ad altre popolazioni ivi esistenti, fondò la città di Mosca, ribattezzata la Terza Roma. La conversione alla religione cristiana, nel rito ortodosso, avvenne ad opera dei santi Cirillo e Metodio.

Ora fare di questi eventi storici, lontani nel tempo, avvolti ancora nella leggenda, un progetto politico, è un’operazione folle. Si vuole riscrivere non solo la storia più recente del Novecento ma anche quella degli ultimi mille anni. La guerra contro l’Ucraina viene presentata dalla Federazione Russa come la lotta del bene contro il male. Il bene è rappresentato dall’esercito russo, il male dall’esercito ucraino e dall’Occidente. Eppure l’esercito russo bombarda, distrugge città intere, monumenti, ammazza i civili per strada e li getta in fosse comuni. Queste sono le informazioni che abbiamo. Secondo la narrazione russa, di Putin e dell’arcivescovo ortodosso russo, Vladimir Michajlovič Gundjaev, Cirillo, sedicesimo patriarca di Mosca e di tutte le Russie, il paese aggressore, la Federazione Russa, non è in realtà l’aggressore ma l’aggredito. E’ il ribaltamento della verità (Nota di chi scrive).

Oggi, continua Federico Rampini, “Si ha bisogno di un realismo politico che si richiami direttamente a Kissinger e che prema per una revisione della strategia verso Mosca, gigante di cui abbiamo bisogno sia come fornitore di energia (finché il gas sarà necessario, cioè a lungo), sia come sbocco per le nostre merci. Le sanzioni verso Putin non bastano. I regimi autoritari hanno una notevole capacità di resistenza alle sanzioni, basti vedere Cuba, la Corea del Nord, l’Iran. Il capolavoro della diplomazia di Kissinger fu l’apertura alla Cina di Mao (1971- 72). Quella mossa geniale consentì all’America di legarsi all’avversario allora più debole (Pechino) per indebolire quello che all’apice della Guerra Fredda era il nemico più forte (Mosca) Oggi alcuni autori della realpolitik rimproverano alla Nato di aver spinto Putin nelle braccia di Xi Jinping, rendendo ancora più forte una Cina che è l’unica vera minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti nel lungo periodo. Alcuni argomenti sono validi, ma non tutti. Il paragone con la diplomazia di Kissinger trascura il fatto che Mao all’inizio degli anni Settanta temeva un’imminente aggressione militare sovietica; la sua Cina era stremata dalla miseria e da lotte politiche interne, isolata rispetto al blocco comunista. Putin non ha nostalgie di comunismo, si circonda di oligarchi miliardari ed è alleato con la chiesa ortodossa, però la sua politica estera rivela una continuità geopolitica che va dagli Zar a Stalin: la coerenza ancestrale dell’imperialismo russo. Ragion di più per studiare Kissinger e leggere il suo libro”.

Il saggio Ordine Mondiale, di Henry Kissinger, 343 pagine, è diviso in nove capitoli, dopo una prefazione, una introduzione sulla questione dell’ordine mondiale e infine le Note che racchiudono una vasta bibliografia.

Capitoli:

  1. Europa: l’ordine internazionale pluralistico
  2. Il sistema europeo di equilibrio di potere e la sua fine
  3. L’Islamismo e il Medio Oriente: un mondo in disordine
  4. Gli Stati Uniti e l’Iran: concezioni dell’ordine
  5. La molteplicità dell’Asia
  6. Verso un ordine asiatico: confronto o partnership?
  7. Agire per tutta l’umanità: gli Stati Uniti e il loro concetto di ordine
  8. Gli Stati Uniti: superpotenza ambivalente
  9. Tecnologia, equilibrio e consapevolezza umana

Conclusione: Ordine mondiale nella nostra epoca?

Il saggio di Henry Kissinger, per quelli della mia generazione, è in parte una rivisitazione del proprio passato; la sua figura ci ha accompagnato per tutti gli anni della giovinezza e della maturità. E’ stato anche un personaggio discusso: “Quando era all’apice del suo potere venne accusato di crimini contro l’umanità, per i bombardamenti illegali contro la Cambogia (vittima collaterale della guerra in Vietnam). Quando gli fu assegnato il Nobel per la pace per aver firmato l’armistizio con Hanoi, due membri del comitato di Oslo diedero le dimissioni per protesta” (Ibidem, pag.13). Il mondo attuale, reso difficile dalla pandemia ancora in atto, di guerra in corso in Ucraina, ci obbliga a leggere e a scrivere, quando riusciamo a trovare il tempo per farlo.

Raimondo Giustozzi

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