Giuseppe Tamagnini pioniere pedagogico della Cooperazione Educativa in Italia, di Rinaldo Rizzi.
Seconda puntata
L’apertura della casa paterna di Frontale, comune di Apiro, per corsi e incontri estivi rivolti agli iscritti del Movimento di Cooperazione Educativa, ma anche a simpatizzanti e amici, coincide con la terza fase dell’Associazione dopo gli esordi pioneristici di Tamagnini alla ricerca di un nuovo modello di scuola, dove il bambino fosse protagonista del proprio processo d’apprendimento. Commoventi sono le due testimonianze, una della maestra torinese Daria Ridolfi, l’altra della Direttrice Didattica trevigiana Luisa Tosi sull’esperienza formativa vissuta a Frontale, posta su una delle tante dolci colline marchigiane. Scrive Rinaldo Rizzi: “Si tratta di due memorie su Giuseppe Tamagnini e la sua opera a Frontale, inviatemi – su mia richiesta – a seguito della sua scomparsa nel 2002” (Rinaldo Rizzi, L’ideale e l’impegno, Giuseppe Tamagnini, pioniere della Cooperazione Educativa in Italia, pp.202 – 210, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, n° 333, Ancona, 2020). Ma è tempo di affrontare la quarta parte del libro, dove l’autore segue l’ideale e l’impegno di Tamagnini messi a disposizione del Movimento.
Parte Quarta (pp. 213 – 275).
La voce della C.T.S. (Cooperativa Tipografia a Scuola), registrata legalmente nel dicembre del 1952 assume il nome “Cooperazione Educativa”. Nel 1953 si rinsalda passando alla stampa tipografica 8da Pesaro a fano, 1953- 1958) e sale progressivamente a una tiratura da 200 a 700 copie, nel 1959 passa alla casa editrice di Ernesto Codignola, la Nuova Italia di Firenze. Il vecchio Bollettino (1951. 1953), duplicato col ciclostile aveva una tiratura da 50 a 100 copie. Presso la Nuova Italia esce prima come mensile dal 1959 al 1993, poi come trimestrale dal 1994 al 2000, quindi passa alle edizioni Junior di Bergamo, con cadenza bimestrale dal 2001 al 2006, successivamente come trimestrale, per essere assunta infine dal 2013 ad oggi dalle Edizioni Erickson di Trento (Ibidem, pag. 213).
Il Congresso di Fano del 1957, a detta dello stesso Tamagnini, segna un po’ lo spartiacque nel percorso dell’esperienza associativa. Si consolidano le esperienze e la sperimentazione cooperativa, per giungere infine alla formalizzazione di un percorso pedagogico autonomo e organico nazionale di “Cooperazione Educativa”. Tamagnini ne sempre l’anima. Sa raccogliere, formare e valorizzare attorno a sé in termini crescenti, anche grazie alla fucina della “Casa Estiva MCE”. Il movimento cresce negli scritti e nei simpatizzanti. Nella primavera del 1958 apre l’ultimo fascicolo di Cooperazione Educativa, edito dalla CTS, scrivendo tra l’altro che il bollettino è aperto alla collaborazione di tutti: “Nostri naturali collaboratori sono potenzialmente tutti quei lettori che traggono dal bollettino motivi di riflessione, stimoli, chiarimenti per il proprio lavoro; tutti coloro che condividono la nostra ansia di ricerca e di ininterrotto perfezionamento” (Ibidem, pag. 214).
Sempre garbato, con un linguaggio che va diretto al cuore, invita a mettere da parte la falsa modestia, che è sì una virtù ma, quando si hanno da dire delle cose che possono essere utili se non a tutti ma a molti, bisogna scrivere e comunicare. Ormai la nuova serie di “Cooperazione Educativa” è proiettata nella vetrina didattico – pedagogica nazionale. In questa nuova dimensione, Tamagnini cerca di rispondere in modo chiaro e senza giri di parole, ma nel rispetto di tutte le opinioni anche contrarie, la giusta corrispondenza tra le parole e le idee. Anche a livello di linguaggio occorre essere precisi non ondivaghi. “L’ambiguità verbale è insieme effetto e causa di ambiguità mentale”. E’ un concetto che ritorna spesso negli articoli di Pino, che ricorda la genesi del movimento della Cooperazione Educativa: “Il MCE non è nato sotto il segno dell’alta cultura, non è scaturito dalla speculazione ad alto livello, ma da umili esperienze condotte modesta[1]mente nell’intimità delle nostre classi in condizioni assai disperate, nel[1]la maggior parte dei casi difficilissime … Il suo mordente non gli deriva dalle verità teoriche che professa ma dalla realistica rispondenza della sua didattica ad esigenze avvertite dalla parte più sensibile e preparata della classe insegnante. Con ciò non si vuol certo concludere che il MCE sia contro la cultura, tutt’altro anzi, basti pensare che la nostra azione è sempre stata ed è volta all’attuazione pratica dei principi che la teoria pedagogica va elaborando …” (Ibidem, pag. 220).
Gli anni dal ’56 al ’58 segnano un salto non solo di quantità ma di qualità nel percorso dell’esperienza avviata e diretta da Tamagnini in termini di responsabilità e cooperazione. Si registrano infatti una serie di eventi significativi.
Nel 1956 dà alle stampe a Fano un quaderno, “Orientamenti didattici (Sulle tecniche Freinet)”, che dopo l’esplosione della partecipazione al congresso di San Marino (il 4°) risponde all’esigenza di una realtà associativa non più fondata su uno stretto rapporto personale diretto.
Nell’estate del ’56, su sua iniziativa, prende avvio la casa di “Vacanze MCE” che assume… “… un ruolo importante nello svolgimento della vita del Movimento […] (diventando) uno degli strumenti più preziosi per il miglioramento del nostro lavoro e l’approfondimento e chiarimento delle nostre idee”.
Nel novembre del ’57 al nuovo congresso di Fano viene approvato lo Statuto del M.C.E. e le relative Dichiarazioni delle finalità, con le quali nel primo… punto: “Si dichiara che è un’Associazione scaturita da una libera iniziativa di insegnanti, la quale persegue in piena autonomia e col metodo e nello spirito della cooperazione, il rinnovamento della vita scolastica italiana, inteso come contributo di fondo allo sviluppo del costume democratico”. In tale occasione Tamagnini viene eletto presidente dell’associazione.
Nel 1957 in Francia a Nantes – ad opera del Freinet – viene costituita la FIMEM (Fedération Internationale des Mouvements d’Ecole Moderne); l’MCE ne è parte fondante e Tamagnini, unitamente alla belga Lucienne Balesse Mavet, fondatrice del movimento freinetiano in Belgio (l’Education Populaire), ne diventa vicepresidente. Con il passare del tempo, Tamagnini prenderà le distanze dalla FIMEM e dal Freinet, puntando ad uno sviluppo autonomo del Movimento Italiano, precisando che l’associazione italiana “… non ha accolto passivamente le tecniche Freinet e non si è proposto di trapiantarle semplicemente in Italia (…). Come risultato il M.C.E. ha fatto proprie le tecniche di base del Freinet rielaborandole in un complesso metodologico e coerente, aperto e dinamico”. Precisa Rinaldo Rizzi: “Tamagnini non ha inteso fare del Freinet un mito e, quindi, una ‘ideologia pedagogica’ ma solo un laico punto di partenza per un autentico atteggiamento e percorso di azione cooperativa di ricerca, differenziando così la natura, le relazioni e il percorso del Movimento italiano da quello francese. Movimento che era molto rigido e sostanzialmente dipendente dalla ferma guida del Freinet, più attento a riprodurre le sue idee che liberamente a co-ricercare” (Ibidem, pag.223).
Tamagnini in tutti questi anni è impegnato a sistematizzare la proposta pedagogica in un organico disegno didattico – educativo, che superi le singole tecniche, per investire una prassi complessiva, quale espressione di un processo organizzativo e formativo più organico. Si muove per tutta la Penisola, portando le esperienze del movimento anche nelle regioni meridionali e nella Sardegna. Le esperienze dei maestri che fanno capo al movimento vengono conosciute in tutta Italia. Lo strumento per farle conoscere è la rivista Cooperazione Educativa. Nel 1960, un direttore didattico del Nord pubblica sulla rivista “Scuola e Città” un articolo dal titolo Le tecniche Freinet nell’opinione dei maestri. Bruno Ciari, nel 1961 dà alle stampe il testo Le nuove tecniche didattiche. Mario Lodi, altro grande maestro dell’associazione, pubblica sulle colonne della rivista “Cooperazione Educativa” il proprio percorso didattico, dal titolo “Pagine di diario” e “C’è speranza se questo accade a Vho” (1963). Vho di Piadena era il luogo dove insegnava come maestro della locale Scuola Elementare. Celebre la corrispondenza dei suoi alunni con la scuola di Barbiana. Don Lorenzo Milani e Mario Lodi sono stati due grandi maestri, sempre da ricordare nel grigiore totale dei nostri tempi, dove il vuoto è riempito dal nulla e la smania di apparire mostra solo il niente che si nasconde in tutte le pieghe della società, compresa la scuola (nota di chi scrive).
Raffaele Laporta sistematizza pedagogicamente l’esperienza dell’educazione attiva, cooperativa e popolare nel testo La comunità scolastica (1963). L’esperienza della Cooperazione Educativa si muove dentro un quadro del tutto nuovo. Sono gli anni del boom economico. Nel 1964 si inaugura l’Autostrada del Sole. Sul piano politico, il predominio della Democrazia Cristiana si va sostituendo con il coinvolgimento del PSI (Partito Socialista Italiano) e prendono forma i primi governi di centro sinistra. Il Movimento della Cooperazione Educativa si divide in due anime, una più esistenziale, legata al modello della classe come comunità e alle sue tecniche di base, l’altra più tendenzialmente curiosa, più attenta e protesa verso gli sviluppi della ricerca internazionale. E’ in questo clima culturale che Giuseppe Tamagnini dà alle stampe, nel 1965, il libro “Didattica operativa (Le tecniche Freinet in Italia)”, opera non adeguatamente conosciuta, apprezzata dopo il ’68 sia nel MCE che nel mondo accademico della pedagogia, ristampata nel 2002 in occasione della morte di Tamagnini.
“Quest’opera” – scrive Rinaldo Rizzi – “oltre a costituire allora un punto fermo di riferimento nella specifica elaborazione nel nostro Paese della ‘pedagogia popolare’, sicuramente rappresenta tutt’oggi, pur nel mutamento profondo delle condizioni sociali, tecnologiche e culturali, un utile stimolo alla riflessione e nella elaborazione di una azione didattica ed educativa aperta e socialmente impegnata” (Ibidem, pag. 231). Il volume si compone di tre parti. I principi, le tecniche, esperienze. Tamagnini sceglie di chiamare la didattica operativa e non attiva per non ingenerare equivoci su quest’ultimo termine allora usato e abusato. Pino è chiaro anche nella premessa al volume, quando scrive: “È qui il caso di precisare subito che noi non siamo né apostoli né mecenati; non abbiamo né verità da rivelare né merce da vendere. Siamo semplicemente degli insegnanti che ambiscono a diventare sempre più educatori e che hanno fatto della cooperazione un sistema di lavoro. Noi abbiamo preso molto dal Freinet, nelle tecniche e nello spirito. Abbiamo accolto – dopo s’intende numerose e attente esperienze che ne hanno provato la validità anche per la nostra scuola… Dello spirito Freinet abbiamo accolto in pieno il concetto di cooperazione, il senso della ricerca” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 233).
Sempre nella premessa, Tamagnini, prendendo le distanze da quanti, a sinistra, ritenevano che prima si doveva trasformare la società per poi poter aggiornare la scuola, sottolineava: “In realtà la scuola deve iniziare la propria trasformazione dal basso e subito, nei limiti consentiti dalle attuali strutture; non possiamo aspettare che in alto si siano messi d’accordo su come la scuola dovrebbe essere e sul come si dovrebbe insegnare; i bambini vengono su, e non aspettano per crescere che i nostri dirigenti abbiano deciso su come debbano crescere, le generazioni si succedono e se non si va avanti, in questo campo, si va indietro” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 234). Tamagnini, pur accettando le tecniche del Freinet, indirizza il proprio impegno verso la ricerca di una didattica cooperativa e non si impegna affatto di acquistare i materiali del maestro francese.
“Due sono i postulati indispensabili per una didattica operativa: il primo riguarda la natura dell’educazione e lo troviamo presso vari autori enunciato come segue: l’educazione è un processo di socializzazione. Il secondo riguarda l fine dell’educazione oggi, e possiamo formularlo nel modo seguente: l’educazione deve tendere alla formazione della coscienza democratica nell’educando. Sulla base di questi postulati noi fondiamo i nostri principi didattici di cui diamo qui l’elenco: 1) Individualizzazione; 2) Socializzazione; 3) Operatività; 4) Motivazione; 5) Concretezza; 6) Unità e organicità” (pp. 238- 239). L’educazione è un processo di socializzazione. Punto di partenza è l’educando, ma non già l’educando astratto delle statistiche o dei testi scientifici. L’educazione non è un fatto neutro, ma deve essere motivata da condizioni, relazioni e obiettivi.
Il tema della individualizzazione didattica e dei criteri conseguenti della valutazione venivano posti allora da Tamagnini in termini fortemente anticipatori. Ancora oggi, 2021, al termine del primo quadrimestre c’è qualche insegnante, che non avendo fatto nulla in termini di individualizzazione del proprio insegnamento disciplinare, dopo quattro mesi di scuola, si chiede quale voto mettere ad un’alunna perché si accorge che la situazione della stessa è veramente problematica. Insegnare a chi già sa, avrebbe detto don Milani, è troppo facile. Il voto che l’insegnante mette, spesso è del tutto indipendente da quello che fa nel corso del lavoro. Potrebbe solo aggiungere, sottolineava don Milani: Beata la mamma che ti ha partorito. Oggi, non si accetta più nessuna provocazione, perché ognuno è sicuro di essere nel giusto e nessuno controlla nessuno. Il preside o dirigente, che dir si voglia, deve badare ad altro. La Cooperazione Educativa di Tamagnini, di don Milani, di Mario Lodi è cosa d’altri tempi. Eppure si è cresciuti nella didattica delle discipline ma in modo individualistico, non cooperativo. Il risultato è che la programmazione didattica, per unità d’apprendimento, somiglia molto in senso metaforico al titolo della celebre commedia di Edoardo Scarpetta, Miseria e Nobiltà. I risultati sono miseri e la nobiltà dei fini rimane solo sulla carta (nota di chi scrive).
La lucidità del proprio ragionamento sui termini di socializzazione, di operatività, di motivazione, di concretezza e di originalità, Tamagnini la sviluppa nel corso del libro in un crescendo unico e irrepetibile. E’ nell’ultima parte del libro che i principi basilari della didattica operativa si traducono nelle tecniche didattiche: messa a punto del testo libero, la tipografia e la stampa, la corrispondenza interscolastica, gli schedari autocorrettivi, il calcolo vivente, la ricerca e lo studio d’ambiente, i piani di lavoro settimanali individuali, di gruppo. “Presupposto insostituibile allo sviluppo di queste tecniche è il sorgere e lo sviluppo di condizioni psicologiche e materiali caratterizzanti un’autentica comunità educativa, dove tutta la vita della classe, secondo le nostre tecniche, è imperniata sul concetto di comunità operante secondo cui tutta l’attività confluisce in un processo organico e funzionale. In perfetta armonia cioè con il principio didattico della unità e organicità (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 261).
Parte Quinta (pp.279- 348).
Nell’opera Didattica Operativa, Tamagnini, riportava anche tre scritti, che – come sottolineava lui stesso – ci sembrano molto importanti per cogliere il vero spirito del nostro lavoro. Il primo lavoro è “Metodo Aperto”, di Aldo Visalberghi, l’altro, “Scuola di popolo”, di Raffaele Laporta, il terzo, “Non abbiamo ricette”, sempre di Aldo Visalberghi, pubblicato su “Cooperazione Educativa”, rispettivamente nel settembre 1956, nel dicembre del ’55 e nel febbraio del ’60. Il primo testo scelto da Tamagnini era stato predisposto per il quinto Congresso del Movimento. Scrive Pino nel libro: “Le nostre tecniche, se costituiscono un metodo, costituiscono un metodo aperto, aperto in tutti i sensi. […] Ma continueremo a parlare di tecniche e non di metodo, giacché sentiamo il bisogno di lavorare piuttosto che di teorizzare […] Il nostro metodo è nello spirito con cui facciamo il nostro lavoro, con cui impieghiamo le nostre tecniche: spirito d’apertura, di cooperazione e di discussione continua, volontà di non baloccarci con sistemazioni teoriche, ma di incidere per quanto possibile sulla realtà quotidiana della nostra scuola e di migliorarla” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 280). Questa continua volontà di sperimentare nello spirito cooperativo, di andare sempre oltre quello che si stava raggiungendo, segnerà col tempo il progressivo distacco dal Freinet che rimproverava al Movimento di Cooperazione Educativa l’eccessiva teorizzazione. Per quanto riguarda il secondo testo, sempre Tamagnini scriveva: “La scuola di popolo, insomma, non è quella per il popolo (inteso come volgo o plebe); ma è quella che fa il popolo (inteso come nazione), e lo fa della sostanza umana reperita in ogni ambiente, in ogni classe sociale. […] Le nostre tecniche hanno per noi valore non in quanto formano dei nuovi cervelli, ma degli uomini, umanamente armonici se non, naturalmente, completi o perfetti”. A commento del terzo testo, così scriveva: “La moderna economia esige ormai, in maniera estremamente chiara, estremamente articolata, un tipo di preparazione che non sia più puro condizionamento in senso professionale ristretto, ma preparazione ad essere agenti del processo produttivo, relativamente responsabili e relativamente capaci di continue riqualificazioni, perché di per sé oggi l’economia moderna non ammette più le qualificazioni rigide, ma ha bisogno di una continua ristrutturazione rispetto alla quale i singoli a tutti i livelli debbono essere capaci di continue riqualificazioni personali” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 281). Anche in questo Tamagnini anticipava i tempi
Tamagnini era per il Movimento di Cooperazione Educativa il primo attore e il riferimento sostanziale dentro e fuori del movimento stesso. Uno dei suoi impegni precipui è stato per molti anni quello di affrontare e rispondere alle critiche rivolte al Movimento. Sostanzialmente quelli che lo avversavano si dividevano in tre gruppi: “Un primo gruppo, il più numeroso, è costituito da coloro che vedono in noi uno dei tanti indifferenti movimenti attivistici. Costoro, che sono in genere i paladini della tradizione, della scuola come si è sempre fatta, sostengono con irascibile insofferenza che la scuola italiana è sempre stata attiva, che tutte queste novità non fanno che turbare l’alta missione del maestro […] L’accusa che costoro ci rivolgono […] è di pragmatismo; e sembra che in questo termine essi racchiudano tutto quanto vi può essere di spregevole, di eversivo e minaccioso per il decoro, la dignità, la spiritualità di quella missione che secondo costoro si attuerebbe in una atmosfera rarefatta in cui ogni forma di materialità si dissolve […]. Un secondo gruppo è costituito da coloro che, insospettiti dal termine tecniche usato per definire i procedimenti didattici da noi seguiti, senza prendersi il disturbo di andare a vedere che cosa effettivamente ci sia sotto, ci accusano di materialismo didattico, di empirismo meccanicistico, di tecnicismo, ecc. Infine vi è il terzo gruppo il quale, in forma assai più insidiosa e sottile, accusa il Movimento di finalità politiche: la pedagogia e l’attivismo non rappresenterebbero secondo costoro che una maschera per coprire il vero scopo dell’MCE che sarebbe di diffondere una certa ideologia politica” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 286).
Una critica aperta, sia pure attenta e dialogante, era rappresentata dal prof. Giorgio Gabrielli, esponente della pedagogia idealistica. Un suo scritto, pubblicato su “Cooperazione Educativa”, dal titolo Luci e ombre della Cooperazione Educativa, faceva il punto della situazione: “… nessuno vuole rinunciare all’autorità formale del maestro, al nozionismo, agli esami quantitativi e a simili pregiudiziali teoriche. I sostenitori delle tradizionali riserve astratte sono duri a morire, mentre la massa dei maestri e dei dirigenti scolastici è restia ad ogni innovazione, a ogni concessione alle idee nuove (che teoricamente ammette), a ogni iniziativa coraggiosa. […] Provatevi a domandare a un direttore, ispettore o provveditore qual è la scuola che meglio apprezzano; vi sentirete additare quella in cui le ore di lezione trascorrono in silenzio (da sentir volare una mosca), gli alunni stanno composti nei banchi a seguire ciò che il maestro prescrive, vanno compunti e in fila ai gabinetti, ma escono poi … urlando di gioia alla fine dell’orario come dei liberati dal carcere”. Qualche anno fa, quando ancora insegnavo, un dirigente scolastico mi diceva: “Se i genitori rompessero di meno e gli alunni studiassero di più, sarebbe l’ideale per la scuola”. Cosa c’è di diverso da quello che scriveva il Gabrielli più di sessanta anni fa.? Nulla. Con un paternalismo di altre epoche, il prof. Gabrielli incoraggiava comunque il movimento ad andare avanti anche se ci teneva a precisare che “Il disegno libero, il metodo naturale, i dischi, la radio, i film per ragazzi, il lavoro libero, il calcolo vivente e simili belle e interessanti iniziative non sono ignote alla scuola elementare in Italia”. Altri rilievi, Gabrielli li muoveva alla tipografia a scuola. Il testo prodotto dagli alunni non poteva sostituire il libro di testo, le tecniche uccidono l’anima, perché materializzano ciò che è profondamente spirituale. Altra puntualizzazione era rivolta al fatto che “Non si può prescindere dai programmi, ma invece occorre lavorare nel loro seno”.
Tamagnini rispondeva: “Il nostro problema non è mai stato, e non è oggi ancora: come dovrebbe cambiare la struttura della mia scuola per permettermi di realizzare un mio ideale educativo; ma è piuttosto: come la struttura data può essere utilizzata al massimo grado per permettermi di migliorare me stesso nelle mie capacità educative?” (pag. 289). In questa risposta è anche il corno della diatriba che il P.C.I. alimentava nei confronti del movimento e di Tamagnini. Il partito comunista riteneva che fosse necessaria la trasformazione economica e sociale per poter poi mutare il ruolo stesso della scuola. Tamagnini rispondeva ai propri compagni di partito che il Movimento di Cooperazione Educativa era un’associazione di insegnanti non di militanti di partito. A nessuno di loro era mai chiesta quale fosse la propria fede politica. La trasformazione della società doveva passare attraverso la partecipazione al sindacato o al partito. Ognuno degli iscritti al Movimento era libero di farlo ma non perché iscritti a questo o a quel partito, compreso quello comunista. Un contatto basato sul rispetto reciproco, Tamagnini lo ebbe con Dina Bertoni Jovine, responsabile del P.C.I. per quanto riguardava l’istruzione. “La Riforma della scuola”, mensile politico pedagogico comunista ospitò più volte, dal 1960 in poi, molti articoli di iscritti al movimento.
Opposizione aperta verso il Movimento di Cooperazione Educativa veniva dall’apparato ministeriale, egemonizzato dalla Democrazia Cristiana. Dietro alle tecniche del Freinet si nascondeva secondo loro la scelta marxista anche di Cooperazione Educativa. A questa accusa, Tamagnini rispondeva: “Vorrei invece farvi una proposta … perché non trovare il modo di incontrarci? Parlando si possono chiarire molti equivoci. Noi e voi siamo insegnanti, viviamo nella scuola, sentiamo la responsabilità del nostro compito e cerchiamo di fare quanto è in noi per migliorare le condizioni e la resa dell’opera nostra. Non è così? E allora amici non credete sia più facile raggiungere tale meta aiutandoci reciprocamente, collaborando fraternamente piuttosto che alimentare diffidenze e prevenzioni e scavando e coltivando contrasti e incomprensioni?” – e più avanti precisava – “sappiate che il nostro Movimento è senza tessere e senza quote: entra ed esce chi vuole e quando vuole […] L’unico presupposto ideologico […] per il nostro lavoro comune è il rispetto reciproco” (pp. 297-298). Tamagnini usava sempre uno stile pacato, basato sul rispetto reciproco in tutte le risposte date agli avversari dichiarati ma anche subdoli, che trovavano il modo, soprattutto questi ultimi, tutti i modi per boicottare il movimento, prima dando la sede di Taranto per un Congresso del Movimento per poi ritirarne l’assenso pochi giorni prima.
Con l’istituzione della Scuola Media Unica e Statale (legge 31 dicembre 1962, n° 1859) anche il movimento di Cooperazione Educativa venne investito del problema. Intanto Tamagnini viveva un momento particolarmente difficile nella propria vita privata. Nel luglio del 1959 viene a mancare la moglie che lo aveva affiancato nella gestione della casa di Frontale per le vacanze formative degli iscritti all’associazione e lo aveva seguito fin dall’inizio nell’organizzazione di convegni, congressi, corrispondenza, viaggi. Tamagnini, rimasto solo con due figli, non demorde. Si getta con rinnovato impegno nel proprio impegno professionale e di militante pedagogico. “Nel 1960 si unisce alla sua nuova compagna di vita, la maestra Giovanna Legatti, che si erra appena trasferita dalla scuola di Vigolzone (PC) alla scuoletta di Coldigioco di Apiro. Lì sarebbe dovuto arrivare per un comune progetto di sperimentazione didattica anche Mario Lodi, che però, contrariamente a lei, non riuscì ad ottenere il trasferimento. Insieme alla nuova compagna, diventata sua moglie, continuerà a curare la Casa MCE e la sosterrà nella nuova e originale esperienza scolastica di Coldigioco, località vicina a Frontale, dove lei dà vita ad una pratica didattica significativa: la ‘Scuola come comunità secondo le tecniche cooperative Freinet” (pp. 320- 321).
Dagli Stati Uniti d’America arrivano dalla metà degli anni sessanta in poi nuove idee pedagogiche e didattiche. L’attivismo predicato dal Dewey non basta più a reggere il confronto con l’URSS che aveva lanciato (12 aprile) nello spazio Jurij Gagarin a bordo della Vostok1. Gli Stati Uniti vivono una psicosi collettiva. Il ritardo andava colmato e in fretta. Nasce e si afferma quasi subito attorno a Jerome S. Bruner lo strutturalismo delle discipline che conoscerà uno sviluppo inarrestabile. Davanti al nuovo verbo, il Movimento di Cooperazione Educativa sbanda. Alcuni, la matrice esistenziale, secondo Fiorenzo Alfieri, rimangono fedeli alle tecniche del Freinet e a quanto si era raggiunto, altri spingono invece verso campi fino ad allora inesplorati alla ricerca di una maggiore scientificità. Skinner, Chomsky e Bruner sono visti come modelli da imitare. Giuseppe Tamagnini, Aldo Pettini e Raffaele Laporta svolgono un ruolo di mediazione fra vecchie e nuove posizioni pedagogiche interne “Movimento di Cooperazione Educativa”. Si consumava intanto il distacco definitivo dal maestro francese. All’interno del movimento prende sempre più importanza il gruppo torinese con Fiorenzo Alfieri, Daria Ridolfi, Gianni Giardiello, Bartolo Virgilio e altri. Torino vive uno sviluppo industriale senza precedenti. Masse di immigrati provenienti dal Sud Italia si riversano nella ex capitale sabauda, La scuola, con l’arrivo dei figli di questi nuovi immigrati, vive una trasformazione epocale. Tamagnini e il movimento avevano da sempre contestato la didattica delle materie soprattutto nella scuola elementare. Ora ci si doveva misurare proprio con questo nuovo verbo.
E’ nel convegno di Pescara del 1966 che il Movimento di Cooperazione Educativa conosce per la prima volta una divisione tra quanti premono per continuare sulla strada intrapresa da tempo della Didattica Cooperativa ed altri che optano per una didattica delle discipline, tradotte in materie di insegnamento, ognuna con la propria didattica specialistica. Si afferma la seconda corrente. Il risultato è la nascita di competenze nuove nella didattica delle Scienze, della Matematica, dell’Educazione Linguistica, della Storia. Nascono gruppi di lavoro che hanno però un grosso limite. Non trovano il tempo per comunicare agli altri gruppi i risultati del proprio lavoro. In questo modo non si mette quasi nulla in comune.
Parte Sesta (pp.351- 409).
Pino Tamagnini per circa vent’anni è un vero globetrotter del Movimento Cooperazione Educativa. Dal 1946 al 1964 è docente di esercitazioni didattiche all’istituto Magistrale “Giosuè Carducci” di Fano (PU). Chiede di avere il giorno libero di sabato o di lunedì per avere due giorni, compresa la domenica, per viaggiare, tenere i contatti con gli iscritti dell’Associazione in ogni angolo d’Italia. Viaggia di notte, per avere più tempo durante il giorno, da dedicare agli incontri. Ormai avanti negli anni non ha più la forza di correre là dove serve la propria presenza per allacciare rapporti, coltivare incontri con esperti, far conoscere il Movimento di Cooperazione Educativa. Così scrive in una nota autobiografica di memoria, inviata a Rinaldo Rizzi: “Le persone che avevano costituito il nucleo portante del movimento, anche se per la maggior parte le stesse di sempre, erano tuttavia con il tempo cambiate, com’è naturale, ognuna aveva trovato la sua strada e non c’era più l’affiatamento di un tempo. Ciari era ora a Bologna ed i nuovi problemi lo assorbivano completamente, i suoi rapporti con il Movimento erano ormai puramente marginali; così Lodi, il quale del resto era stato sempre un po’ appartato dal punto di vista organizzativo; Laporta era impegnato all’università; Pettini prima direttore di ‘Scuola-Città’ Pestalozzi, poi direttore didattico; io non potevo più riprendere quella mia funzione di coordinatore-viaggiante che avevo esercitato per tanti anni, almeno fino al ’58, quando le domeniche, e spesso i sabato o i lunedì (i miei giorni liberi dalla scuola), una settimana dopo l’altra per mesi, viaggiando e di notte per aver più tempo di giorno, ero in giro per l’Italia, da Udine a Taranto, da Brindisi ad Aosta, da Rionero o Molfetta a Torino od Arma di Taggia, per citare solo gli estremi; e certamente anche se avessi potuto non avrei risolto gran cosa. In secondo luogo non avevamo saputo crearci dei ricambi; i giovani che andavamo ‘allevando’, non risposero alle nostre aspettative, o per incapacità congenite, o per ambizione e presunzione che li portarono al preciso e preordinato intento di soppiantarci. Questi ultimi ormai ci vedevano come dei manovali troppo primitivi e rozzi confrontati alla loro intellettualità superiore e raffinata” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pp. 352- 353).
L’Associazione, sotto il vento del ’68, somigliava sempre più ad un arcipelago associativo e venivano in superficie le diverse anime del Movimento. A quanti vedevano nel mutato clima sociale e politico l’invito allettante a percorrere strade nuove, Tamagnini rispondeva: “Per uscire dal generico dirò che i principi didattici da noi elaborati, il complesso metodologico avente a fondamento le tecniche Freinet (quelle che noi chiamiamo tecniche di base) debbono essere riesaminati, rielaborati, aggiornati, completati, e magari superati e sostituiti: ma per far ciò non basta affermare la loro non validità e incompletezza, queste affermazioni vanno dimostrate con argomentazioni e dati di fatto sperimentali e bisogna essere in grado di offrire un’alternativa valida e sicura. Prima di abbandonare un certo procedimento di lavoro è necessario essere certi che il nuovo sia una realtà provata e non una semplice ipotesi. Prima di buttare le scarpe vecchie è opportuno procurarsene di nuove se non si vuole restare a piedi nudi” (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 359).
Il solco tra chi si rifaceva a Dewey e Freinet e quanti guardavano invece con interesse a Bruner si andava sempre più approfondendo sul piano pedagogico. La rivolta socio culturale del “maggio francese”, quella politica in Italia del “Movimento Studentesco”, la denuncia della “Lettera ad una professoressa” disegnavano i contorni di un mutato clima sociale e culturale. La scuola, soprattutto nelle periferie delle grandi città del nord, viveva una trasformazione senza precedenti e le contraddizioni socio culturali di una società insieme classista eppure in forte trasformazione. Le nuove parole d’ordine sono: tempo pieno, lotta alla selezione scolastica, attribuzione del voto unico contro la selezione (il sei politico), introduzione della biblioteca di classe quale scelta alternativa al libro di testo, inserimento degli handicappati nella scuola di tutti, ricerca socio – ambientale (Rinaldo Rizzi, op. cit. pag. 365). Invano Lidia Tornatore, altra esponente di spicco di Cooperazione Educativa, si chiedeva in un articolo apparso sulla rivista dell’associazione, “Abbiamo sbagliato?”. Era un articolo di risposta ad un articolo di Gianfranco Di Piero del gruppo pescarese, pubblicato nella rubrica “Problemi e discussioni” della rivista “Cooperazione Educativa”. Il confronto tra “vecchi” e “giovani” era in qualche modo stimolante. La rivista “Cooperazione Educativa” passava dai 794 abbonati del 1967 ai 1.086 del 1968 ( R. Rizzi, op. cit. pag. 367).
Tamagnini, avvertendo il cambiamento in atto, si adoperava in modo instancabile per tenere unito il movimento, lo faceva in una lettera del maggio ’68, diretta “Ai membri del Direttivo M.C.E.” per la convocazione del Comitato: “Cari amici, questa fine d’anno scolastico trova il Movimento in una situazione particolarmente delicata; dal suo seno stanno emergendo esigenze e prospettive, in sé indiscutibilmente ottime, ma che per la loro natura e per il modo come sono poste, vengono a trovarsi in attrito con i principi ispiratori del Movimento stesso. È necessario dunque che ci riuniamo prima che l’attrito divenga troppo grave ed esaminiamo insieme le nostre rispettive posizioni per vedere di giungere ad una definitiva chiarificazione; se poi da un esame sereno risulterà che quelle posizioni sono tali da escludere ogni possibilità di ragionevole, utile e funzionale conciliazione, la cosa migliore che potremo fare è prenderne atto e trarne le debite conseguenze. Voler conciliar per forza ciò che è di per sé inconciliabile, non è buona politica” (R. Rizzi, op. cit. pag. 377). Nella stessa lettera terminava poi con l’ordine del giorno per la riunione del Direttivo prevista per giovedì 13 giugno 1968 alle ore 09 presso la sede del gruppo di Bologna. Ormai l’Associazione è enormemente cresciuta. C’è il gruppo pescarese che gravita su Raffaele Laporta sempre più impegnato nell’Università. C’è il gruppo torinese, il più vivace, raccolto attorno a Fiorenzo Alfieri, il gruppo fiorentino che ha in Aldo Pettini, prima direttore di ‘Scuola-Città’ Pestalozzi, poi direttore didattico, con sempre meno tempo per seguire il movimento. Il gruppo di Fano è sempre raccolto attorno a Giuseppe Tamagnini, che nel mutato orientamento pedagogico che si va delineando all’interno del movimento, si sente sempre più inadeguato.
La riunione del direttivo si tiene regolarmente e affronta i vari problemi, programmando fra l’altro i corsi estivi di matematica e di scienze, da organizzare a Lignan in Val d’Aosta. I corsi si tengono come deciso ma un gruppo di giovani aderenti al M.C.E attiva un breve e imprevisto convegno, neutralizzando gli organismi direttivi nazionali, indicando una nuova via che il Movimento dovrà perseguire, sconfessando completamente il passato. Da una pratica pedagogica fondata sulla sperimentazione didattica si passa dunque ad una azione pedagogica prevalentemente politica, dedotta principalmente dal Movimento Studentesco. Di fronte al nuovo clima, si dimettono Raffaele Laporta, Lydia Tornatore. Giuseppe Tamagnini, che aveva partecipato ai corsi di Lignan, si sente in diritto – dovere di inviare una lettera agli amici storici: Ciari, Laporta, Lodi, Pettini e Tornatore nella quale racconta con dovizia di particolari il siparietto orchestrato nel corso dell’intervallo da un gruppo di giovani: “Dopo qualche altra battuta – che meriterebbe peraltro di essere rilevata, ma io non ho né tempo né voglia – si cominciò a sentire all’esterno, avanti la finestra (si era al piano terra) un gran vociare e il grido di ‘Lenin-Mao-Ho-Chi-Minh! … Lenin-Mao-Ho-Chi-Minh! ..…” scandito ritmicamente da varie decine di persone. La finestra fu aperta dall’esterno e nel vano apparvero numerosi bastoni ardenti che venivano agitati. Erano gli ospiti di una vicina colonia di pionieri guidati da parecchi del nostro gruppo. A parte il grido ritmico che continuava assordante, io non capivo cosa si dicesse. Ad uno ad uno i presenti uscirono finché rimanemmo soltanto io e la Daria Ridolfi la quale era rimasta rigida al suo posto visibilmente seccata” (R. Rizzi, op. cit. pag. 383).
Dopo l’uscita dei compagni storici, anche Giuseppe Tamagnini lascia il Movimento di Cooperazione Educativa. Dei vecchi rimane solo Aldo Pettini come anello di congiunzione tra passato e presente. La fine del divorzio di Tamagnini con il movimento avviene nel seminario di Fano del 1991. La pacificazione culturale avviene sempre a Fano il 7 dicembre 2001, quando la segretaria nazionale del movimento, Gabriella Romano, consegna a Tamagnini una targa di riconoscimento per il suo fondamentale contributo per la costituzione e l’affermazione nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa.
Tamagnini, dopo l’incarico dal 1946 al 1964 come docente d’esercitazioni didattiche, svolto all’Istituto Magistrale “Giosuè Carducci” di Fano (PU), ha insegnato materie letterarie presso la Scuola Media di Apiro fino al 1967. Nel 1968 interrompe la militanza attiva nel movimento di Cooperazione Educativa. Dal 1968 al 1972 insegna filosofia e pedagogia presso l’Istituto Magistrale, prima di Ripatransone (AP), poi nel 1972/ 73 in quello di Jesi (AN). Nel 1973 va in pensione dopo trentasei anni di servizio come docente. Si ritira con la moglie, Giovanna Legatti, stabilmente, prima a Frontale poi ad Ancona ed infine a Senigallia, con brevi parentesi soprattutto estive nella sua vecchia casa paterna di Frontale. Ho avuto la fortuna di conoscere Pino e Giovanna, proprio a Senigallia, attraverso mio cognato Adriano, grande amico dei coniugi Tamagnini. Giuseppe Tamagnini ha ricoperto diversi incarichi nel sindacato e nel P.C. I. Ha ricoperto il ruolo di amministratore comunale ad Apiro; dal 1970 al 1975 come consigliere comunale e capogruppo di minoranza, dal 1975 al 1980 come sindaco.
Nel suo intervento in occasione dell’Assemblea Nazionale del Movimento (7 – 9 dicembre 2001) sintetizzava in un suo scritto la storia del Movimento di Cooperazione Educativa. In questo intervento scriveva che “Soltanto nella accettazione cosciente, convinta e senza riserve dello spirito cooperativo, si può dar vita ad una attività che apra il campo ad un vero rinnovamento dell’insegnamento e a delle realizzazioni con accentuato potere pregnante, che diano cioè insieme buoni frutti e semi fecondi… Questo movimento è sorto per moto spontaneo dall’urgere di quei problemi, per rispondere alle esigenze da essi poste; è sorto dalla base, dalla vita pulsante e dinamica della scuola, e non è scaturito da dotte deduzioni, né da un atto di volontà di un qualsiasi superiore gerarchico, piccolo o grande, che abbia inventato una nuova impostazione del lavoro scolastico” (R. Rizzi, op.cit. pp 406 – 409).
Giuseppe Tamagnini muore all’ospedale di Jesi il 2 settembre 2002 all’età di 92 anni. Giovanna Legatti ( Vigolzone /PC, 1921), sua moglie, muore ad Apiro nel 2012. Ambedue riposano nel cimitero della collina di Frontale. L’Appendice del libro L’ideale e l’impegno, Giuseppe Tamagnini pioniere pedagogico della Cooperazione Educativa in Italia contiene due scritti in memoria di Pino, inviati a Rinaldo Rizzi nel 2002, da Maria Luisa Bigiaretti che partecipò alla fondazione del Movimento nel 1951 a Fano e militò nel Movimento fino al 1968. L’altro contributo e del maestro Mario Lodi che partecipò alla vita del movimento dal 1955 al 2000. Altri scritti sono degli inediti di Giuseppe Tamagnini dedicati a personaggi fondamentali del Movimento di Cooperazione Educativa: Anna Marcucci Fantini, Bruno Ciari e Raffaele Laporta. La post fazione di Giancarlo Cavinato, una continuità di valori e di pratiche educative completa l’opera. Quello di Rinaldo Rizzi è un libro da leggere, è una ricostruzione a tutto tondo di Giuseppe Tamagnini, pioniere pedagogico della Cooperazione Educativa in Italia.
Raimondo Giustozzi
Rimando alla lettura degli articoli pubblicati nel sito www.specchiomagazine.it in anni passati, relativi al M.C.E. (Movimento di Cooperazione Educativa).
http://www.specchiomagazine.it/2017/10/scuola-origini-e-sviluppo-della-cooperazione-educativa-in-italia-dalla-cts-al-mce-1951-1958/ (Aldo Pettini, Origini e sviluppo…03.10.2017
http://www.specchiomagazine.it/2017/08/scuola-dare-il-meglio-si-se-la-pratica-educativa-di-anna-marcucci-fantini-dalla-scuola-primaria-alluniversita/ (Rinaldo Rizzi, Dare il meglio di sé) (20.08.2017
http://www.specchiomagazine.it/2017/09/cultura-1951-nascita-e-prime-prove-della-pedagogia-popolare-in-italia/ (Rinaldo Rizzi, Me sa che voi non menerete, 01.09.2017)
http://www.specchiomagazine.it/2017/09/cultura-coldigioco-una-scuola-comunita-secondo-freinet/ (Giovanna Legatti, Coldigioco, una scuola comunità…, 11.09.2017)
http://www.specchiomagazine.it/2017/09/cultura-la-strada-verso-coldigioco/ (Giovanna Legatti, la strada verso Coldigioco, 15.09.2017)
Invia un commento