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Libri. Nuove recensioni, Meyer, Turrini, Barbujani

DeonMeyer Fonte Internet

DeonMeyer Fonte Internet

Recensione L’ultima caccia

 

L’ultima caccia

DeonMeyer

Traduzione di Silvia Montis (dall’inglese)

Noir

Edizioni e/o Roma

2021 (orig. 2019)

Pag. 485euro 18

Valerio Calzolaio

Bordeaux, Francia, eCape Town, Sudafrica. Agosto 2017. Il buon possente nero 55enne Daniel salva un’austera pittrice dalla violenta banda dei cinque rapinatori del fiume, pur essendo terrorizzato dall’essere scoperto in Francia dopo gli antichi turbolenti trascorsi sudafricani. Il buon afrikaner 47enne Bennie pensa di continuo a un anello per proporre ad Alexa di sposarlo, pur essendo terrorizzato dall’eventuale rifiuto, sicché l’indagine per l’omicidio dell’ex agente della SAPS Johnson Johnson arriva a proposito. La capa della Sezione crimini violenti del Dipartimento per le indagini ad alta priorità, ovvero gli “Hawks” (una trentina), vuole capire dall’affiatata coppia di capitani Hawksbianco BennieGriessel – nero Vaughn Cupido come e perché l’uomo sia stato ucciso e poi gettato dal treno più lussuoso del mondo, ritrovato molto tempo dopo. Ormai faceva solo sicurezza privata, a bordo doveva tranquillamente assistere un’olandese ultranovantenne, non si capisce proprio cosa sia mai accaduto e in che modo si senta coinvolta anche l’Agenzia di sicurezza nazionale, quei potenti deviati della SSA. Il fatto è che tutto il paese sa dello State capture, del diffuso certificato dubbio che il presidente, metà del parlamento, diversi premier provinciali e dirigenti di aziende pubbliche siano stati corrotti e vengano manovrati come burattini da tre miliardari indiani. A distanza, Daniel Darret viene ricontattato da amici e colleghi sudafricani, non possono più permettersi l’attuale presidente, vogliono che torni in patria e faccia il suo qualificato mestiere di killer, gli ricordano il vero nome, i legami e le lotte comuni, la sua storia e le sue qualità, è l’unico che può salvare il paese, questa volta l’incarico è di eliminare il male alla radice. Bennie gira a vuoto, Daniel resiste, le storie finiranno per intrecciarsi.

L’eccelso autore sudafricanoDeonMeyer (Paarl, 1958), ex consulente BMW, scrive e pubblica in afrikaans (2019), viene tradotto in inglese e (dall’inglese) in italiano.viene tradotto in inglese (2014) e (dall’inglese) in italianoviene tradotto in inglese (2014) e (dall’inglese) in italianoMagnifico e appropriato il glossario finale, con la nuova Costituzione del 1994 (dal presidente Mandela in poi) sono 11 le lingue ufficiali, ormai innumerevoli le contaminazioni nello slang. viene tradotto in inglese (2014) e (dall’inglese) in italianoviene tradotto in inglese (2014) e (dall’inglese) in italianoIl suo “eroe” era stato tutore dell’ordine anche col vecchio regime, ci fa capire molto di un grande paese plurale e dei contesti storici sociali meticci, ironico e divertente, per quanto hard-boiled. BennieNikita Benna Griessel ha ormai 47 anni, continua a considerarsi un alcolista anonimo in disintossicazione.Lui è robusto brizzolato rugoso, capelli folti e arruffati, occhi slavi e luminosi, divorziato bassista dilettante, altruista e depresso; vive con la splendida compagna, la bionda e sensuale manager musicale AlexaXandra Barnard (più grande e affettuosa, sobria da quasi altrettanti giorni). Attraverso il consueto espediente cronologico (ogni storia a pochi mesi dell’altra per i personaggi, ma trascorrono anni sia fra i romanzi che nel contesto istituzionale) in quest’ultimo bel volumel’autore usa una terza persona binaria, presentandosifin all’inizio con un secondo protagonista dotato di autonomo filo narrativo che corre lungo tutta la narrazione, a capitoli o parti alternate:da anni Daniel Darret vive isolato da tutto e tutti, solo con una gatta; lavora come assistente di un ombroso ottimo restauratore di mobili, pialla e affina, gli piace; non ha amici, la gente sa poco di lui, gira in moto nel poco tempo libero. Meyer ci racconta l’ex presidente Zuma con competenza e acume, senza mai citarlo; e ci aiuta a capire il Sudafrica dell’ultimo decennio, interessi e conflitti del dopo-apartheid, la ferocia di certa politica pure nelle democrazie. Fortunatamente c’è chi resta fedele ai lasciti di Nelson Mandela. Innumerevoli gli spunti culturali interessanti. Tanto Borgogna e appassionato blues.

 

v.c.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione Panini

Panini. Storia di una famiglia e di tante figurine

Leo Turrini

Biografie

Prefazione di Walter Veltroni

Postfazione di Giovanni Malagò

Minerva, Argelato (Bo)

2020

Pag. 319euro 18

Valerio Calzolaio

Pozza (Maranello) e Modena (capoluogo). 1897-2018, dalla nascita del futuro padre alla scomparsa dell’ultima dei figli e delle figlie. Il capostipite Antonio Tonino Panini conobbe solo una delle decine dei nipoti e non seppe mai delle figurine create dai figli. Morì di cancro a soli 44 anni. Era stato una personalità vitale. Apparteneva a una famiglia di contadini meccanici della piccola frazione Pozza, un popolano con il guizzo della creatività, non certo lettore ma attivo affabulatore. S’innamorò di Olga Cuoghi, tre anni più piccola, figlia di un casaro, gentile e ben educata, intellettualmente molto curiosa. Si sposarono e, fra il 1921 e il 1931, nacquero quattro bambine e quattro bambini (persero due delle dieci gravidanze), nella radicata convinzione che ogni erede è certo una bocca in più da sfamare ma anche due braccia in più per lavorare: la maggiore Veronica (1921), poi Maria Luisa, Giuseppe, Edda, Norma, Benito, Umberto, il minore Franco Cosimo (1931), dopo il quale (nel 1932) decisero di trasferirsi in città a Modena. Antonio era stato assunto alla rinomata potente Accademia Militare, aveva il brevetto per conduttore di caldaie a vapore, lavorava con soddisfazione e apprezzamento come addetto al riscaldamento. Olga si occupava della casa e della prole, attenta a che studiassero, capace lei di declamare poesie e scrivere niente male.I primi anni di guerra coincisero con l’arrivo della malattia di Antonio: morì il 9 novembre 1941. Proprio quel giorno Giuseppe, il maschio più grande, aveva preso il primo stipendio in un’officina, i soldi servirono al funerale. La famiglia cercò di reagire al dolore e alla miseria. L’Accademia offrì alla vedova un lavoro da sarta, figli e figlie s’industriarono: nel 1944 Olga propose di provare a gestire l’edicola sulla piazza principale in Corso Duomo, il 6 gennaio 1945 iniziarono, poi ebbero l’idea delle buste, dei francobolli e delle figurine. Geniali.

Il giornalista e scrittore Leo Turrini (Sassuolo, 1960) scrive da sempre con competenza e passione di tanti sport; qui narra uomini e donne che furono decisivi nell’evoluzione del tifo calcistico per le squadre e per i calciatori. Spiega che a suggerirgli l’idea del libro fu il primus inter pares della F.lli Panini, Giuseppe (1925-1996), già nel 1993, impegnandosi a guidarlo nel labirinto dei ricordi e delle immagini. Morì pochi anni dopo e il progetto rimase nel cassetto per un quarto di secolo, finché non fu ripreso su spinta dell’amico e coetaneo Antonio Tonino junior, secondo dei quattro figli di Giuseppe. Il bel testo travalica i generi, ha documentate tracce biografiche, molto basate su conversazioni e testimonianze personali; spiega aspetti dell’imprenditoria privata tanto quanto del mondo sportivo; mostra lo storico profondo legame familiare, anche e soprattutto attraverso i tragitti autonomi e i legami acquisiti di ciascuno; garantisce uno splendido meditato ricco apparato fotografico, legato sia a quello specifico secolare ecosistema umano del modenese che all’immaginario pubblico e sociale contemporaneo costruito dal successo degli album e delle figurine. Si legge con gusto e curiosità. Sono complessivamente oltre 25 capitoli che nella prima parte trattano padre, moglie e poi vedova, ciascuno degli otto figli e figlie nati a Pozza, vedendone gli intrecci ma anche le autonomie (Umberto che se ne andò in Venezuela, Edda che seguì Loreno a Maddaloni, i parenti via via acquisiti); nella seconda parte seguono la nascita del mito a Modena e in Italia, con il primo album in occasione del campionato di calcio 1961-62 e la progressiva riunificazione di tutti i fratelli e le sorelle nell’impresa, intorno a Giuseppe e, ovviamente, alla madre Olga (scomparsa nel 1987). Fatti, aneddoti, specialità, come la pallavolo o le fisarmoniche di Giuseppe (quelle ora a Castelfidardo). L’epopea familiare arriva al 1998 quando fu firmato l’accordo per la cessione della Panini a Robert Maxwell, brevi gli aggiornamenti successivi, Modena mantiene il cuore della memoria, il brand resta consegnato a un’ubiqua immortalità.

 

v.c.

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione Europei senza se e senza ma

 

Europei senza se e senza ma. Storie di neandertaliani e di immigrati

Guido Barbujani

Genetica

Bompiani Giunti, Milano Firenze

2021 (nuova edizione, prima ed. 2008)

Pag. 318euro 13

Valerio Calzolaio

 

Europa. Da milioni di anni. Le prime impronte di forme umane fuori dall’Africa risalgono a quasi due milioni di anni fa, da almeno un milione Homo heidelbergensis cammina anche in Asia e in Europa, da oltre 300 mila anni in Europa sopravvivono e si riproducono anche i Neandertal, i Sapiens da quasi 50 mila anni. Nessuno può dire con sicurezza cosa sia successo nel periodo in cui si dividevano lo stesso continente quelle due specie umane (accanto ad altre), i Neandertal e i nostri antenati (di entrambe vi è da allora traccia nel genoma dei residenti europei), a volte così vicini da potersi guardare da versanti opposti di una valle. Circa 40 mila anni fa siamo rimasti soli. Nella migliore delle ipotesi gli “altri” si sono estinti non per volontaria causa nostra, nella peggiore li abbiamo spinti noi a estinguersi (più o meno direttamente). A quel tempo gli immigrati eravamo tutti noi, gli europei di una volta oggi non ci sono più. Prima e dopo di noi il clima è cambiato più e più volte nel continente a nord del Mediterraneo. I Neandertal, per esempio, hanno attraversato due grandi ere glaciali, Riss e Würm: seppero abituarsi a stare al ghiacciato, all’arso e in cangianti situazioni differenti. Vale davvero la pena di conoscerli più da vicino, non così diversi da noi, all’aperto e a tavola, con le loro tecnologie musiche parole bigiotterie cosmesi. Un certo strabismo è opportuno, si può e si deve apprezzare la loro unicità, tanto più che nelle nostre cellule sapiens abbiamo scoperto tracce leggibili delle migrazioni e delle genealogie delle specie precedenti e, soprattutto, noi europei (tutti neri fino a circa 10 mila anni fa) di quelle neandertal. Da qualunque fattore dipenda la nostra facoltà del linguaggio, questo fattore si è evoluto in qualche antenato comune. Se l’uomo è animale parlante, i neandertaliani non erano meno uomini di noi.

Il grande scienziato genetista Guido Barbujani (Adria, Rovigo, 1955) ha insegnato a New York e Londra, a Padova e Bologna, ora a Ferrara; da 45 anni studia e lavora pure sperimentalmente sul DNA; con chiarezza e completezza prova a tradurre la genetica delle popolazioni europee per noi principianti concittadini. Il volume uscì con successo 13 anni fa e viene ripubblicato ora in edizione economica; il fatto è che non è bastato dargli una sistemata; sono cambiati sia i dati scientifici che il contesto europeo (da ultimo con la Brexit); l’autore ha finito per aggiornarlo in larga parte e proprio per riscriverne tre quarti. La struttura è restata la stessa, ma datazioni teorie ipotesi citazioni esempi approfondimenti hanno dovuto tener conto dell’accelerata evoluzione degli studi. La sostanza viene ampiamente confermata: da milioni di anni siamo in continuo spostamento di qua e di là; è essenziale continuare a ricostruire queste migrazioni e i fenomeni per cui certe popolazioni si sono fuse con altre; nessun popolo ha mai avuto radici pure e univoche; i “veri” europei ci sono forse stati ed erano i neandertaliani, estintisi in seguito a un fenomeno migratorio (sapiens) dall’Africa; non c’è più, da nessuna parte da millenni (e anche qui ora), qualcuno che si possa chiamare veramente europeo, senza se e senza ma. Mancano purtroppo ancora una riflessione collettiva e una discussione teorica multidisciplinare sul significato antico e moderno del migrare (assente anche nel piccolo glossario finale), sui differenti concetti storici e geografici di emigrazione e immigrazione (più usato il secondo per motivi contingenti, per quanto condivisibili), sui gradi animali e specificamente umani di necessità e libertà nel cambiare stabilmente (o stagionalmente) residenza in relazione alle altre specie e agli ecosistemi (mutevoli climaticamente).

 

v.c.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione Il rogo della Repubblica

 

Il rogo della Repubblica

Andrea Molesini

Romanzo

Sellerio Palermo

2021

Pag. 337 euro 15

Valerio Calzolaio

 

Venezia. Anno Domini 1480. La storia e la geografia degli ebrei hanno varie tracce e percorsi. Al tempo della Serenissima cattolica e romana, dopo la scomparsa di un bimbo in un piccolo paese del trevigiano, il mite e sapiente archisinagogoServadio e altri due ebrei vengono arrestati, imputati di infanticidio rituale (l’accusa di impastare sangue con gli alimenti è ricorrente fra i malati di antisemitismo), torturati e condannati al rogo. Un irruente avventuriero miscredente vi si oppone durante il processo, la spia e confidente Boris da Candia, arguto brutale violento colto, che fra nobili palazzi e sordidi bordelli indaga su chi fomenta nel popolo l’odio contro gli ebrei, più o meno interessato. Prova con coraggio e ardore ad evitare “Il rogo della Repubblica”, titolo del bel romanzo storico dell’ottimo scrittoreAndrea Molesini(Venezia, 1954). Lui non accetta compromessi, dialoga sulle convenzioni e convenienze sociali, s’innamora di una maga graziosa e misteriosa. Perché no?

 

v.c.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione Via delle Oche

 

Via delle Oche. Un’indagine del commissario De Luca

Carlo Lucarelli

Noir

Einaudi Torino

2021 (prima edizione Sellerio, 1996)

Pag. 163 euro 14

Valerio Calzolaio

 

Bologna. Primavera ed estate 1948. Ci fu una volta un delitto in un casino di “Via delle Oche”, vittima Ermes, un buttafuori da bordello; al numero 23 proprio della più rinomata via dove a Bologna c’erano le case chiuse (prima della Legge Merlin). Seguirono altri omicidi, apparentemente indipendenti, ma il commissario della Buoncostume indagò con acume pure nel terzo romanzo della storica serie del grande Carlo Lucarelli (Parma, 1960). Lo avevamo incontrato in pieno regime fascista, poi ritrovato negli ultimi giorni di Salò, ora è appena sfuggito all’epurazione, siamo in pieno Quarantotto: rancori antichi e moderni, le elezioni infuocate, l’attentato a Togliatti, la maglia gialla di Bartali. Gli ottimi romanzi ebbero notevole successo trent’anni fa e vengono riproposti ora nella mitica collana Stile Libero, senza apparati o presentazioni, con l’identica dedica “a Tecla” (la cara Dozio, cui l’autore e tanti scrittori o appassionati di gialli e noir devono molto).

 

 

v.c.

 

 

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