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Global Trends 2020: crescono i profughi interni e crescono i rifugiati

Fonte internet

Fonte internet

di Valerio Calzolaio

Oltre 82 milioni di individui profughi nel 2020. Un numero certificato, forse sottostimato, nonostante la globale emergenza per la pandemia. Sapiens sottoposti a violenza o persecuzione o violazione di diritti umani nel proprio paese di cittadinanza, oppure costretti comunque a fuggire e abbandonare il luogo dove dimoravano fino al 2019 restando dentro i confini patri. Il rapporto annuale Global Trends dell’Unhcr per il 2020 (reso noto venerdì 18 giugno 2021 in vista della Giornata mondiale del Rifugiato di domenica 20 giugno) come sempre «traccia» le migrazioni forzate nel mondo basandosi su dati forniti dai governi, dalle agenzie partner incluso l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), e dai rapporti dell’organizzazione stessa, che ha sezioni in tutto il mondo. Complessivamente riporta che nel 2020 82,4 milioni di persone, donne e uomini, bambine e bambini, sono state forzate a migrare ovvero costrette alla fuga, il numero più alto mai registrato. Circa il 40% sono minori di 18 anni, decine di migliaia dei quali non accompagnati. I migranti forzati erano 79,5 milioni nel 2019, 70,8 milioni nel 2018, 68,5 nel 2017, 65.6 milioni nel 2016, 65,3 nel 2015 e 59.5 milioni nel 2014, circa 41 milioni nel 2010. In dieci anni dunque il loro numero totale è più che raddoppiato (pur se per una parte, non piccola, si tratta ovviamente di profughi “cronici”). Persone in carne e ossa, dietro ogni numero.

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A fine 2020 convivevamo circa in 7 miliardi e 800 milioni sapiens qui sul pianeta Terra (il 18 giugno 2021 mattina siamo esattamente 7.873.419.001, quando leggete già decine o centinaia o migliaia in più), ognuno nelle proprie residenze. Più di un miliardo aveva cambiato la propria residenza, con un certo qual grado di libertà, nel corso di quell’anno o qualche anno prima; più di tre quarti nello stesso Stato della precedente residenza. Oltre a quei migranti, emigrati da un ecosistema e immigrati in un altro ecosistema, oggi altri 82 milioni e 400 mila si trovano forzatamentelontani dalla propria residenza, sono emigrati senza immigrare altrove, profughi in patria o all’estero, internally displaced people o Refugees. Di conseguenza, oltre l’uno per cento della popolazione mondiale, ovvero un individuo sapiens su 95 di noi (altri), è ora sfollata per cause di forza maggiore, senza alcuna propria volontà e libertà (eccetto quelle di sopravvivere). 1 su 95 rispetto a 1 su 159 nel 2010. In Italia ce ne rendiamo davvero poco conto e molti prendono per buona la falsa narrazione che noi qui in Europa stiamo subendo un’invasione. I nostri numeri sono minuscoli rispetto alle emigrazioni e immigrazioni in corso altrove. Basterebbe accettare di leggere e capire.

 

Il totale di 82,4 milioni comprende 5,7 milioni di rifugiati palestinesi sotto il mandato Unwra (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), circa centomila in più del 2019, in costante crescita quantitativa. 20,7 milioni sono i Refugees rientranti fra i casi specifici previsti dall’apposita Convenzione per poter chiedere “rifugio”, sotto il mandato appunto della relativa agenzia Onu Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugees), 300 mila in più del 2019, un significativo incremento che prosegue. A parte sono stati conteggiati 3,9 milioni fuggiti all’estero dal Venezuela (3,6 nel 2019), indipendentemente dalla richiesta di “status”, molti non legalmente registrati come rifugiati o richiedenti asilo, per i quali sono comunque necessarie forme di protezione. I Refugees per la maggior parte, circa il 68%, sono provenienti da pochi paesi, Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar (in passato noto come Birmania), ospitati per tre quarti in paesi confinanti e per circa l’86% in molti di quei paesi in via di sviluppo afflitti da insicurezza alimentare e malnutrizione grave, soggetti al rischio di cambiamenti climatici e disastri annunciati. Infine, 4,1 milioni di persone sono ancora in attesa di decisione sulla richiesta d’asilo in paesi industrializzati, un numero enorme e terribile di persone nel limbo dell’incertezza di vita (circa lo stesso del 2019, erano 3,5 a fine 2018, 3,1 a fine 2017, 2,8 a fine 2016, 3.2 milioni a fine 2015); la lentezza delle procedure è anche conseguenza delle crescenti indifferenza e diffidenza verso chi arriva e chiede “rifugio”. Considerate che alle prossime Olimpiadi parteciperà la squadra olimpica di rifugiati: dopo anni di allenamento, 29 atleti Refugees si dirigeranno a Tokyo a luglio per partecipare ai giochi tra un mese; gareggeranno in 12 discipline sportive; rappresentano una trentina di milioni di sapiens poco fortunati; facciamo tifo (anche) per loro.

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48 milioni di persone (nel 2015 40.8, nel 2016 40,3, nel 2017 40, nel 2018 41,3, nel 2019 45,7) sono state costrette a fuggire pur vivendo ancora all’interno dei confini del proprio paese, internally displaced people (Idp), i profughi interni, anche per ragioni ambientali e climatiche (a seguito di disastri “naturali”). Tutti i 82,4 milioni sono comunque “migranti forzati”, i quali hanno visto non rispettato (da comportamenti umani più o meno consapevoli) il diritto di restare dove sono nati e cresciuti. Fra quelli internazionali perlopiù si tratta di Refugees da oltre cinque anni (4 su 5, 1 su 5 è rimasto in tale condizione per almeno 20 anni), da “sempre” i palestinesi. I reinsediati-rientrati-naturalizzati sono sempre poche centinaia di migliaia l’anno. Negli anni novanta, una media di 1,5 milioni di rifugiati riusciva a fare ritorno a casa ogni anno. Negli ultimi dieci anni la media è crollata a circa 385.000 (250.000 nel 2020), cifra che testimonia come l’aumento del numero di persone costrette alla fuga ecceda largamente quello delle persone che possono usufruire di una soluzione durevole.

 

Va ancora una volta sottolineato che il numero complessivo è quindi la somma di profughi nuovi del 2020 (una buona parte di quelli interni Idp, una minima parte di quelli internazionali Refugees) e di profughi “vecchi” che erano già tali nel 2019, o nel 2018 e via indietro nel tempo (vale l’inverso). Sensibilmente tristi sono le cifre che riguardano i minori, bambine e bambini. I più piccoli sono particolarmente colpiti durante le fughe, soprattutto se il loro sfollamento si protrae per molti anni. Rappresentano il 30 per cento della popolazione mondiale, eppure le ragazze ed i ragazzi sotto i 18 anni rappresentano il 42 per cento di tutti i migranti forzati. Le regioni dell’Africa subsahariana si distinguono anche per avere la più alta percentuale di bambini rifugiati. L’Africa occidentale e centrale ha notevolmente più donne e ragazze rifugiate (54%) rispetto a qualsiasi altra regione. Solo tra i venezuelani sfollati all’estero, tra il 2018 e il 2020 sono nati quasi un milione di bambini sfollati, una media tra 290.000 e 340.000 all’anno. Molti di loro rischiano di rimanere in esilio per gli anni a venire, alcuni potenzialmente per il resto della loro vita (la qual cosa riguarda i palestinesi nella vita di molte generazioni).

 

Il virus continua a girare, in molti paesi del mondo non si è nemmeno avviata la campagna di vaccinazione. Occorre tener presente che quando non era iniziata nemmeno negli Stati Uniti e in Europa, al picco nel 2020 di una pandemia da Covid-19 diacronicamente presente nei mesi e nelle stagioni dell’anno, oltre 160 Paesi hanno del tutto chiuso le proprie frontiere e vi sono stati ben 99 disunite nazioni che non facevano eccezioni, neppure per le persone in cerca di protezione. Con misure adeguate (screening medici alle frontiere, certificazione sanitaria, procedure di registrazione semplificate, colloqui a distanza) altri paesi sono riusciti a garantire l’accesso all’asilo. Mentre taluni hanno continuato a fuggire varcando i confini, altri milioni di persone sono state costrette alla fuga e alla delocalizzazione interna, spesso a prescindere da cure, vaccini, distanziamenti, soprattutto a causa delle crisi in Etiopia, Sudan, Paesi del Sahel, Mozambico, Yemen, Afghanistan e in Colombia. Solo in queste aree il numero di sfollati interni è aumentato di oltre 2,3 milioni.

 

La lettura accurata dei dati necessiterebbe di molte chiarificazioni: l’Alto Commissariato Unhcr si occupa dei Refugees(internazionali e politicamente discriminati) ma da oltre venti anni si è saggiamente dotato di linee guida d’intervento (Guiding Principles on Internal Displacement) per contribuire all’assistenza anche di molti degli Idp (interni e perlopiù sfollati climatici); il calcolo degli sfollati interni non sempre è facile, immediato e condiviso, vi sono poi molte variabili costituzionali e amministrative dei singoli Stati per l’emergenza e l’assistenza; esistono altri migranti forzati non contemplati dalle pur ineccepibili statistiche, visto che continuano a sopravvivere persone in fuga non censite e tantomeno contabilizzate, sia nei paesi di maggiore emigrazione più libera che nei paesi di maggiore immigrazione poco libera; molti profughi ambientali e climatici arrivano a distanza di anni oltre il confine del proprio Stato, ovviamente senza status riconosciuto (spesso per disastri più lenti e meno repentini, come l’innalzamento del mare e la desertificazione); individui colpiti da disastri più piccoli non vengono presi in considerazione dall’organizzazione che contabilizza morti, dispersi e senzacasa; non mancano delocalizzati forzati senza coinvolgimento delle comunità interessate, al di fuori di procedure legali; purtroppo la criminalità organizza migranti forzati “clandestini” (vittime di traffico di corpi e organi, di prostituzione, di schiavitù); le tipologie di altri “profughi” sono innumerevoli. Oltretutto le statistiche contemplano solo i vivi: alcuni profughi, donne e uomini bambine bambini, come è tragicamente noto, avrebbero voluto o hanno iniziato a fuggire e sono tristemente morti durante la persecuzione, durante il disastro e durante la fuga, prima di arrivare al confine o di poter chiedere asilo, lungo il transito (a esempio nel Sahara o nel Mediterraneo), nei campi profughi.

 

Restano gli aspetti cruciali volutamente ignorati dall’attuale dibattito istituzionale europeo e italiano: gli sfollati interni sono ogni anno più dei rifugiati internazionali; i nuovi profughi interni sono ogni anno molti di più dei nuovi rifugiati internazionali; i numeri sia dei profughi interni che dei rifugiati internazionali sono purtroppo in crescita; la ragione principale di delocalizzazione interna e, tendenzialmente, internazionale riguarda gli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali; queste migrazioni forzate (da prevenire se possibile prima, da assistere quando non prevenute) nulla hanno nulla a che vedere con necessarie utili emigrazioni e immigrazioni un pochino libere. Da parte delle istituzioni pubbliche si agisce poco e male, in molti Stati europei fra cui l’Italia, solo verso chi non dovrebbe essere costretto a fuggire e si chiudono entrambi gli occhi e gli altri sensi verso flussi regolari e civili. Se vogliamo avere una migliore prospettiva futura, avremo bisogno d’immigrati. Se arriveranno, vorrà dire che potremo stare tutti un pochino meglio. Insieme.

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