Recensione E verrà un altro inverno
E verrà un altro inverno
Massimo Carlotto
Noir
Rizzoli Milano
2021
Pag. 230 euro 16,50
Valerio Calzolaio
Una valle veneta. Estate e autunno 2019. Roberto Robi e Michele Michi Vardanega sono due cugini coetanei uniti da una complicità speciale, poco sveglio e prestante il primo, subalterno, furbo e opportunista il secondo, già sposato, legati affettivamente a due sorelle, Sabrina e Alessia Cappelli. In paese hanno un lavoro precario, ora sono disoccupati e accettano un po’ di soldi per minacciare il ricco colto raffinato 50enne Bruno Manera, da dilettanti: cinquecento euro per squarciare le gomme della bella Volvo, mille per bruciare l’auto nel giardino della villa, tremila infine per pestarlo ben bene. Sgraffignano una Fiat Punto (l’unico modello che sono capaci di scassinare) e si procurano una pistola (dall’unico pregiudicato della zona, Fausto Righetti, detto il Riga). Manera viene dalla città, là si era affermato e arricchito come imprenditore immobiliare; un anno prima, ormai rimasto vedovo da tempo, si era risposato con la bella 35enne locale Federica Pesenti, appartenente a una delle note famiglie maggiorenti del paesino, pur colpita negli ultimi anni da qualche avversità economica. Si sono trasferiti insieme, ma Bruno non si è ben inserito, la moglie non lo ama più e vuole separarsi, l’imponente comandante della stazione dei carabinieri Piscopo lo considera un eccentrico intruso portatore di guai e intrallazzi. Quando i cugini affrontano Bruno e, dopo essersi infilati i passamontagna, gli menano, Michi punta l’arma e gli intima di andarsene dalla valle, ma l’uomo ha una crisi isterica e urla. Robi prende la pistola e spara, un colpo fracassa la clavicola, l’altro si pianta sul ginocchio. La riabilitazione è complessa e travagliata, Bruno parla solo con un’attempata guardia giurata della banca, Manlio Giavazzi, che lo avvisa circa l’amante della moglie, il 36enne consulente finanziario Stefano Clerici, e gli consiglia di tenere un diario e facilitare che Federica lo legga, giusto per forzare un chiarimento. Il fatto è che Manlio si sente perseguitato e ha una storia terribile alle spalle, il figlio bulimico si è ucciso ingozzandosi di marron glacé, la moglie se ne è andata. Niente di buono all’orizzonte, tante regie, morti e assassini non saranno pochi.
Il grande scrittore Massimo Carlotto (Padova, 1956) invecchia bene come i distillati di qualità. Con il nuovo ottimo lineare romanzo si concede umori inediti nello sfondo criminale del noir e ci fa gustare un’inconsueta ambientazione strapaesana, strabordando i confini del genere per descrivere l’acida morbosità e la pervasiva illegalità diffuse nelle piccole comunità. Narra in terza varia al passato, i pensieri e i comportamenti dei vari personaggi, tutti legati da segreti inconfessabili e dalla complicità residenziale. Inutile dare un nome alla collocazione geografica, possiamo riconoscere una dinamica sociale a tre ore d’auto da Cortina, un posto vale l’altro, ogni specificità va considerata aggiornabile, così come ogni novità risulta dimenticabile. Quel che conta è l’ambito collettivo ristretto che distingue solo maggiorenti e non maggiorenti, fisicamente contigui seppur comunque separati; oppure i forestieri. Ci sono pettegolezzi, voci, chiacchiere, omertà, diffamazioni, gelosie, invidie, rivalità, sotterfugi, equivoci, riti, convenzioni, intrighi, sfruttamenti, ricatti, stratificazioni sociali, quanto è proprio di un paesino dove nessuno sembra interessato a perseguire la responsabilità personale di un crimine e sembrano sempre valere i due principi riassunti da Giavazzi: tutte le faccende si risolvono tra paesani, inevitabilmente dopo estate e autunno verrà un altro inverno (da cui il titolo). Un plot e uno stile implacabili, come nella miglior tradizione dell’autore. Non ci possono essere rimorsi coerenti, né remissione di peccati, ogni personaggio è fedele a sé stesso. Le vite e le morti scorrono immutabili (nella sostanza) là per la valle, anche quando dalla città arrivano poliziotti e giornalisti metropolitani, visto che l’ultimo delitto che lì era stato commesso risaliva ad almeno una ventina di anni prima. Informazione e intrattenimento sono garantiti da Bellavalle Tv e Radio Serenella. Alcol vario, saggiamente la coppia di imprenditori sloveni segue l’ultima tendenza del dopocena: rum accompagnato con cioccolato extra fondente. Canzoni immarcescibili: da Joni Mitchell a Adamo, da Vasco Rossi ai Cugini di campagna.
v.c.
Recensione Tutto ciò che è sulla terra morirà
Tutto ciò che è sulla terra morirà
Michel Bussi
Traduzione di Alberto Bracci Testasecca
Noir
Edizioni e/o
2021 (orig. 2017 La Dernière Licorne, 2017 come Tobby Rolland; poi 2019)
Pag. 623 euro 18
Valerio Calzolaio
Monte Ararat e resto del mondo. Prima e ora. Verso il 2014-15 in alto sull’Ararat, almeno tremila metri sopra la pianura di Erevan e di varie frontiere, Estêre parla con Aman nel giorno del decimo compleanno della figlia, le regala una collana con un disco di rame attaccato a un laccetto di cuoio e spiega che così diventa anche lei guardiana del segreto millenario della loro famiglia e della loro tribù di pastori curdi, dal quale dipendono miliardi di vite sulla terra, tutto ciò in cui gli esseri umani credono e per cui vivono, uccidono, saccheggiano e amano. Più o meno nello stesso momento il 35enne Zak Ikabi, prima nella sala dell’inferno (l’archivio segreto) della Biblioteca apostolica del Vaticano riesce rocambolescamente a fotografare tutte le pagine del manoscritto originale del Libro di Enoch, quindi nel museo d’Aquitania a Bordeaux individua un legnetto dell’arca ostacolato da tre killer, per poi dirigersi verso Tolosa dalla giovane famosa competente scienziata Cécile Serval, piccola e geniale autrice di una recentissima perizia glaciologica sull’Ararat (il rapporto RS2A-2014, appena inviato al Parlamento mondiale delle religioni riunito a Melbourne in Australia). Più o meno nello stesso momento svariati miliziani mercenari assassini guidati da Kyrill Eker, prima nella Cattedrale apostolica di Santa Echmiadzin (Vaticano bizantino) a Erevan in Armenia terrorizzano vari religiosi e civili alla ricerca del frammento dell’arca, quindi nella biblioteca dell’Università statale Immanuel Kant di Kaliningrad in Russia bruciano gli impiegati e tutti i libri rubando solo l’originale inedito Rapporto Roskovirsky del 1917 sull’Ararat, sempre in contatto con i crudeli colleghi che hanno avuto assegnati compiti analoghi altrove, per poi rifugiarsi nella repubblica autonoma azera, presso il Palazzo di Ishak Pascià a Naxçivan. Ed è solo il mistico inizio, c’entrano gli unicorni.
Il magnifico scrittore Michel Bussi (Louviers, 1965), professore universitario di Rouen (Normandia) e direttore di ricerca al Cnrs francese, ha pubblicato dal 2006 una quindicina di divertenti corpose avventure, tutte senza protagonisti seriali, ambientate in originali ecosistemi biodiversi, non solo della sua regione, e appartenenti al genere policier o noir. Oltre la metà dei romanzi ormai sono tradotti in italiano: dopo una sporadica apparizione nel 2014, dal 2016 le Edizioni e/o alternano la pubblicazione delle novità (è atteso Au soleil redouté, uscito in Francia a febbraio 2020) con la proposizione dei primi romanzi; oppure, come in questo caso, con la pubblicazione di altre opere inedite. Il volume in questione era uscito nel 2017 con un altro titolo e sotto lo pseudonimo di Tobby Rolland, scelto dall’autore “per non disorientare” i lettori, considerando la prima stesura “ben più nera e violenta” dei suoi soliti romanzi, come spiega lui stesso nella prefazione, scritta quando fu ripubblicato in edizione tascabile due anni dopo. Il titolo attuale riprende la citazione biblica del capitolo 6 della Genesi ed è Dio che parla, annunciando a Noè la necessità sia il diluvio che dell’arca (altrimenti tutto perirà). Il fatto è che nella mirabolante splendida fiabesca sanguinosa avventura c’è quasi tutto di vero: le fedi e i miti, i testi e i luoghi, le spedizioni e i personaggi antichi citati sono no fiction. Su ogni continente da millenni ampissime comunità di sapiens conservano memoria analoga di un diluvio universale e di un’arca salvifica quasi per ogni specie vegetale e animale. La narrazione è in terza varia al passato, sui vari protagonisti, più o meno buoni e cattivi, ciascuno con la propria morale e i propri obiettivi, scandita da nove concitate corse plurali, a partire dall’antica culla mesopotamica verso propaggini umane in tutti gli angoli del mondo, sull’asse meticcio Kurdistan-Francia. L’autore si è documentato da scienziato e conclude: “è sempre per spiegare l’inspiegabile e far credere l’incredibile che gli uomini inventano le loro storie più belle”, i conflitti religiosi come gli affetti familiari, invidie e odi come amori e progetti, un miscuglio riuscito di tanti generi letterari. Champagne M&C, ma non mancano le vigne sul versante abitato del massiccio. Cucine e musiche per tutti i gusti.
v.c.
Recensione Massime e pensieri di Napoleone
Massime e pensieri di Napoleone
Honoré de Balzac
Zibaldone di pensieri
Sellerio
2021 (1° ed. 2006; orig. 1838)
Traduzione, introduzione (2001) e cura di Carlo Carlino
Pag. 163, 12 euro
Francia napoleonica. 1769-1821. La raccolta di “Massime e pensieri di Napoleone” uscì nel 1838 con 525 brevi frasi intestate prima al generale poi all’imperatore Napoleone Bonaparte, in realtà non sue: alcune di errata attribuzione, altre di dubbia autenticità, altre certamente di un autore che peraltro non aveva firmato il volume. Solo molti decenni dopo venne ricostruito scientificamente che l’opera era stata realizzata dal grande Honoré de Balzac (1799-1850), in costante bisogno di denaro, venduta a un commerciante di maglieria probabilmente per soli quattromila franchi. Certo, lo zibaldone non è casuale e fu meditato: prende spunto dalla corrispondenza, da proclami e discorsi, dal Mémorial, come una sorta di autobiografia indiretta, e realizzano un interessante mistificatorio ritratto dell’uomo che Balzac voleva immortale, oggetto di ammirazione e di culto, nei suoi caratteri mitici: crudo pragmatismo, cinismo, maschilismo perentorio, determinazione paternalistica, cesarismo.
v.c.
Recensione Pensieri partecipi
Pensieri partecipi
Ilva Sartini
Poesia
Prefazione di Bruno Mohorovich
Bertoni editore Corciano (PG)
2021
Pag. 84 euro 14
Valerio Calzolaio
Marche. Nel tempo. La filosofa e sindacalista Ilva Sartini (Pennabilli, Pesaro) da alcuni anni ha intrapreso un’interessante carriera letteraria, prima nel 2016 con un bel romanzo su una tragica vicenda familiare, ora nel 2021 con la pubblicazione di questa raccolta poetica di narrazioni condivise. Si tratta di una quarantacinquina di componimenti più o meno brevi, distinti in cinque parti, le prime due dedicate al territorio meridionale della regione e ai lavoratori stranieri: Paesaggi (6), Emozionario del Piceno (5), Pensieri partecipi (6, “a mia figlia e al suo bambino”), Vita (18 il più corposo e vario, ovviamente), Vite infrante (5, anche di animali e fiori), Ritorni (4). L’autrice mostra un accorto linguaggio realistico e concreto, condividendo un percorso ricco di emozioni ed empatia, non solo quando trasmette i palpiti dell’essere una madre e una nonna: “Ti ho vista fragile neonata/ …/ Sei tornata madre,/ sei tornata più figlia./ Ora posso/ far pace col tempo.”
v.c.
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