di Lino Palanca
Dialetto e usanze, storie e storielle che accompagnano il nostro crescere civile. Il tutto pescato qua e là, senza pretese.
Alcune parole del dialetto in disuso, strane, perdute, ignote ai più.
A-B [1]
accàscu – locuzione, dipendenza, dipendere da qualcuno anche nel senso di essere in sua balìa, èsse’ a l’accàscu de …; forse nasce dal vocabolo romano ricàsco come sostiene Fernando Ravaro (Dizionario romanesco, Roma, Newton & Compton 1996): … letteralmente: drappeggio di un tendaggio, piega abbondante che ricade, e quindi, in senso figurato, eccedenza, incerto, mancia, vantaggio imprevisto. Per cui, commenta Giuliano Malizia (Piccolo Dizionario Romanesco, Roma, Newton Compton 1999): ‘sta a ricasco de’, come un drappeggio è retto da un sostegno, così un parassita, una persona che vive alle spalle altrui, ha necessità di chi lo sostenga.
apparù – àpperu – appùru – trio di sostantivi maschili che sembrano essere parenti stretti ma che hanno significati del tutto diversi. Il primo è il camice da notte probabilmente dal latino apparàtus con l’idea di insieme degli indumenti (camice, calzettoni, cuffia da notte) che si mettono per andare a letto.
Il secondo vale stampo, forma da copiare fedelmente, forse dal latino aperìre, rivelare, mostrare, da cui il senso di apparire, porsi ad esempio, a modello. Altri fanno derivare il vocabolo dallo spagnolo americano apereá (rioplatense), cavia per ricavare un modello da imitare o anche da guapear, sfoggiare eleganza; il recanatese àppro e il maceratese àppiru hanno lo stesso significato.
L’ultimo è parola importata dallo spagnolo americano apuro che vale per fretta, urgenza.
arcabuétta e atturànte – restiamo in ambito di sostantivi di origine hispano-americana. Il primo, da alcahuete, significa spia e anche ruffiano, ma non nel senso di chi favorisce amori bensì di amico dei padroni, adulatore dei potenti. L’atturànte (spagnolo americano attorànte) è invece il poveraccio, lo spiantato, (dalla ditta inglese Toran che installò le tubature dell’acquedotto di Buenos Aires; diversi operai dormivano nei tubi non avendo altro posto dove passare la notte). Le fonti di entrambi i vocaboli sono argentine.
arleghì’ – sostantivo maschile, erba che cresceva d’inverno tra l’erba medica, detta anche récchie de pégura, forse dal latino ligàre dato che si intrecciava con la suddetta erba medica.
arlèu – sostantivo maschile, educazione; anche razza, origine; con l’esclamazione ironico-denigratoria spòrcu ell’arléu! si voleva rimarcare qualcuno che era privo di buona educazione, scorretto, ignaro delle buone maniere.
blècche – sostantivo maschile, catrame, dall’inglese black, nero: hànne méstu el blècche pe’ le stràde, hanno asfaltato le strade.
brecculìllu – sostantivo maschile, beccuccio della brocca (anche bricculìllu), vale per bricco dal turco ibrik, recipiente metallico con beccuccio, con aggiunta di suffisso diminutivo.
bròlla – sostantivo femminile, foglia secca dal veneto brùla, giunco senza foglie, arido.
bùbula – sostantivo femminile, upupa (anche bùbbula), dal latino bubbulàre riferito al verso del gufo: per altri l’etimo è un supposto latino upùpula con passaggio p>b come in pisèllum>bisèllu.
bùffu e bùffu – sostantivo maschile che indica sia il debito contratto (è càrcu de bùffi, è pieno di debiti) sia il fiocco di neve (ènne biànghi cume i bùffi de né(v)e), detto anche dei lattarì, il novellame del pesce); il primo va fatto probabilmente risalire al francese pouf, gratis, il secondo all’arcaico buffàre (il forte soffiare del vento di neve).
bùra – sostantivo femminile, timone dell’aratro, voce rurale dal latino bùris.
burì’ e burì’ – sostantivo maschile nel senso di burino, vento da nord, mutuato dal veneto borìn<bora, ma anche verbo col significato di aborrire (l’ha ‘burìtu finché ha campatu, l’ha respinto, rifiutato per tutta la vita), latino abhorrère.
[1] Tratte da Lino Palanca, Léngua Màtre – Vocabolario del dialetto portorecanatese, Recanati, Bieffe Grafiche 2010.
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