Intervista a Anne Applebaum, per la giornalista Usa “troppi ‘chierici’ si sono fatti propagandisti dell’autoritarismo”.
By Stefano Baldolini intervista tratta da huffingtonpost.it
“La destra liberale è un baluardo per la democrazia”, messa alla prova da “autocrati come Putin”, ma Joe Biden “deve passare dalle parole ai fatti per promuovere i nostri valori nel mondo”. Come, superati i primi 100 giorni alla Casa Bianca, “deve riuscire a indirizzare il dibattito americano sui temi concreti e non su guerre culturali immaginarie”. Insomma, lontano da Trump.
È lo stile diretto di Anne Applebaum, giornalista e saggista statunitense naturalizzata polacca, già premio Pulitzer per Gulag ,la storia dei campi di concentramento sovietici, e in questi giorni in libreria con Il tramonto della democrazia, sempre per Mondadori.
HuffPost la raggiunge – ovviamente su skype – nella sua casa elegante nel Nordovest della Polonia, a Dwor Chobielin, la stessa dove l’ultimo giorno dell’anno del millennio scorso, Applebaum e suo marito, l’allora viceministro degli Esteri Radek Sidordksi, organizzano la festa che apre il suo libro. Lontano da Varsavia, dalla svolta autoritaria dei fratelli Kaczyński. Una festa impossibile da replicare solo venti anni dopo. Oggi – scrive Applebaum – “attraverserei la strada per evitare di incontrare” alcune di quelle persone, e viceversa. “E per motivi politici, non personali”.
Nel suo “Il tramonto della democrazia”, lei scrive di una faglia politica che finisce per dividere antiche amicizie, per separare famiglie. Emerge una sofferenza personale oltre che pubblica.
Il mio è un libro personale perché parla di persone che conosco, chi più chi meno. Quello che volevo dimostrare è come la politica spesso scuota le amicizie, come i cambiamenti politici causino effetti nelle relazioni tra le persone. Ma volevo anche sostenere che in questo fenomeno non c’è nulla di relativamente nuovo, anzi accade periodicamente, e si riflette in ognuno di noi. Per questo ho citato il celebre processo Dreyfuss, un altro momento storico che divise profondamente e intimamente la società francese della fine dello scorso Ottocento.
E tornando alla sua esperienza diretta?
Nella mia vita ho visto persone che conoscevo essere attratte improvvisamente da movimenti politici estremisti e ho visto accadere questo in diversi Paesi. L’ho visto in Polonia, dove vivo, ma anche negli Stati Uniti di Donald Trump. In generale, Il tramonto della democrazia è la storia di persone in cui si riverbera la delusione. Talvolta sono deluse per ragioni politiche legate ai Paesi in cui vivono, talvolta sono deluse dal punto di vista personale. Così accade che vedano un’opportunità politica nei nuovi movimenti politici, e a questi si uniscono. Anche grazie alla spinta ideologica di quelli che ho chiamato i “chierici”, da un libro del francese Julien Benda del 1927 (Il tradimento dei chierici, ndr), un’élite di intellettuali, convertitisi in imprenditori politici e propagandisti dell’autoritarismo. Di destra e di sinistra.
È quello che ha definito il “fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo”?
Quello che è preoccupante è che molte persone di estrema destra e di estrema sinistra apertamente operino per attaccare i principi della democrazia stessa: sia la libertà di espressione che la libertà di stampa, soprattutto l’indipendenza del sistema giudiziario. La cosa ancor più preoccupante è che sono lo stesso tipo di persone ovunque, anche in contesti differenti linguisticamente e culturalmente, che potremmo definire ‘nostalgici’, ‘arrabbiati’, e con l’idea sbagliata di ricreare una realtà immaginaria.
È questa la spia che indica che la democrazia è in pericolo?
La chiave è quando si inizia a minare le fondamenta dello Stato, le fondamenta del liberalismo. Quando le persone iniziano a rappresentare se stesse come ‘reali’ in rapporto e in opposizione agli ‘altri’, con la convinzione che le prime abbiano più diritti dei secondi. Che le persone ‘reali’ possano infrangere le regole e le leggi in nome di un interesse superiore. Ebbene, quando hai questo cambiamento nella politica, quando cessi di occuparti delle politiche concrete, e la questione diventa in qualche modo più esistenziale, chi decide se una cosa, un tema, è vero o falso? Necessario o non necessario? Questo avviene quando la democrazia inizia a essere realmente in pericolo. Poi c’è la questione centrale del consenso.
In che termini?
Venti o trent’anni fa c’era un consenso generale sul corretto funzionamento del sistema liberale, una visione comune delle regole, della competizione. Si aveva una condivisione di fondo dei meccanismi di selezione della classe dirigente, di elezione dei politici, di gestione dei media. Quando questo consenso generale viene a perdersi, il tuo sistema politico ha un problema.
Noi siamo abituati a considerare la sinistra come la barriera naturale contro l’autoritarismo, lei invece rovescia il paradigma e sembra individuare nella destra l’ultimo bastione a difesa della democrazia.
È così, c’è bisogno di una forte destra liberale, moderata. Una destra ‘centrale’ che rispetti la democrazia e le sue regole. Nei Paesi in cui questa destra ‘centrale’ scompare, come avvenne nella Germania prima dell’ascesa di Adolf Hitler, viene a crearsi un vuoto, uno spazio politico, che presto verrà occupato dalla destra radicale. Certamente si può considerare la cosa anche dal punto di vista opposto, da sinistra, ma l’esistenza di questa destra ‘centrale’ è realmente cruciale per essere sicuri che le persone si sentano a loro agio nella democrazia, che non la guardino con sospetto o con rabbia, creando un dibattito politico carico di rabbia.
Passando al campo avverso, ai democratici, è indubbio che il loro linguaggio sia cambiato, sia diventato più diretto. Il presidente Joe Biden ha definito senza indugi Vladimir Putin come “un killer”, poi ha riconosciuto esplicitamente il “genocidio armeno”.
In quanto alle relazioni con la Russia, Joe Biden è il primo presidente dalla fine della Guerra Fredda che mostra di non nutrire illusioni. Tutti gli altri, Clinton, Bush, Obama – Trump è in una categoria speciale – credevano nella possibilità di instaurare relazioni migliori dei loro predecessori. Biden, no. La sua esperienza diretta con l’Ucraina è stata fondamentale. Da vicepresidente di Obama ha passato molto tempo a considerare il ruolo di Mosca in Ucraina e in Europa. E oggi sappiamo che la Russia è un Paese determinato a indebolire le democrazie occidentali e che in tal senso ha finanziato la propaganda, che è un Paese che ha alimentato la destabilizzazione dei Paesi confinanti, che ha operato un giro di vite verso il suo popolo e i suoi oppositori. Per questo Biden non ha avuto paura di usare quelle parole. Ma la questione è un’altra.
Prego.
Joe Bidem è istintivamente a favore della promozione della democrazia nel mondo, per un’alleanza delle democrazie, ma il punto è come farlo nel modo più pragmatico e pratico. In altre parole, cosa devono fare le democrazie insieme? Non si tratta di dire genericamente ‘amiamo la libertà’, ma di quanto siamo disponibili a operare realmente. Per esempio siamo disponibili a far cessare il sistema di riciclaggio di denaro che mantiene al potere autocrati come Putin? Vogliamo davvero cambiare le regole di funzionamento del web, la cui manipolazione contribuisce a rendere disorganizzate le democrazie? Certo, finora Biden si è dovuto concentrare sugli Stati Uniti – potrei sbagliarmi, ma non credo abbia ancora mai messo piede fuori dal Paese – ovviamente per via della pandemia. Tuttavia spero e sono certa che stia pensando a come dare reale seguito nel mondo al suo linguaggio, alle sue parole.
È il suo giudizio sui primi 100 giorni di Biden?
In parte. Io penso che stia operando bene, ma il suo principale compito sarà di portare i cittadini americani a discutere delle cose reali. Come migliorare il sistema sanitario, per esempio. O come migliorare le infrastrutture: i ponti, le strade. Ecco, Biden deve fondamentalmente portare gli americani a concentrarsi sulle politiche concrete e non su immaginarie guerre culturali. Se riuscirà a fare questo avrà successo. D’altra parte uno uno dei segni evidenti che questa sia la strada giusta lo dimostra il fatto che il Partito repubblicano non lo stia attaccando sui temi economici, che sono molto popolari, mentre continua ad alimentare campagne politiche di rabbia, anche su argomenti futili come i libri per i bambini, o sul processo per la morte di George Floyd. Temi ‘emozionali’ che i repubblicani perseguono procedendo sulla via tracciata con successo da Trump, mentre si arrestano davanti alle politiche concrete. Sanno bene che l’opinione pubblica non apprezzerebbe gli attacchi sui temi che toccano la loro vita quotidiana.
L’America è stanca della polarizzazione del dibattito?
Una certa America lo è. Ma il problema è che sussiste ancora una spaccatura tra chi crede che sia importante riparare le strade e chi pensa che la politica sia urlare più forte per vincere battaglie più grandi. Anche se temo che non sia un problema solo americano, anzi vedo che anche in Italia ci sia una questione simile.
Ci sono però guerre culturali che l’hanno interessata. In passato ha firmato una lettera aperta su Harper’s contro la cosiddetta cancel culture. Contro il pericolo di “conformismo ideologico”.
Penso sia un tipo differente di pericolo che consiste in un crescente conformismo nelle istituzioni pubbliche, nelle università, nei media. Ho firmato quella lettera con molte altre persone, credo fossero circa 150, che rappresentano diversi punti di vista. Ma non è importante questo, anche se considero il fenomeno più urgente negli Stati Uniti che in Europa o in Italia. Va aggiunto però che questa preoccupazione è qualcosa che ha a che fare principalmente con la frustrazione di persone, specialmente a sinistra, nei campus o in altri luoghi, che invece di provare ad avere un impatto sulla realtà, stanno mettendo le loro energie su queste questioni culturali. Ma Joe Biden non è parte di questa sinistra.
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