di Valerio Calzolaio
Del cantore socialista americano Woody Guthrie si è sempre parlato abbastanza poco quasi ovunque in Italia, negli ultimi decenni il suo nome è via via scomparso dagli organi di informazione e poi sui social, appartiene a una nicchia di una nicchia di concittadini sapiens ascoltatori. Eppure è figura cruciale dell’epopea americana e protagonista assoluto del panorama musicale statunitense del Novecento. Non è assolutamente un caso che fra i pochi pezzi suonati e ascoltati nelle cerimonie d’insediamento dei nuovi presidenti democratici Barack Obama nel gennaio 2009 e Joe Biden il 20 gennaio scorso vi sia stata la sua canzone This Land is Your Land, simbolica di come sono evoluti gli Usa da un secolo a questa parte, quasi un inno nazionale popolare, esplicito contro povertà e diseguaglianze. D’altra parte nella campagna elettorale del 2000 lo stesso brano fu utilizzato anche dal repubblicano George Bush, che venne egualmente eletto! E Lady Gaga la interpretò contro Trump nell’intervallo della finale Super Bowl 2017, l’evento in assoluto più seguito davanti alla televisione.
Woodrow Wilson (in onore del futuro 28° presidente dal 1913 al 1921, democratico ma suprematista) Woody Guthrienacque il 14 luglio 1912 a Okemah, in Oklahoma, e morì a New York il 3 ottobre 1967, per l’incurabile neurodegenerativa malattia di Huntington, dopo una vita intensa e avventurosa, a soli 55 anni (gli ultimi undici trascorsi prevalentemente in ospedale). Terminata la prima guerra mondiale, la comunità d’origine andò in crisi per l’esaurimento di alcuni giacimenti petroliferi, Woody subì varie successive gravissime disgrazie familiari, si trovò solo e iniziò a vagabondare per gli States, prestandosi a ogni tipo di lavoro e suonando lungo i viaggi, con strumenti più o meno improvvisati, soprattutto chitarra e armonica a bocca. Ben presto iniziò a scrivere canzoni e ballate che parlavano di quel che gli era capitato di vedere o auspicare, le esistenze della povera gente, i lavoratori manuali, lotte e scioperi, pene e speranze, la quotidiana fatica della sopravvivenza. Circa venticinquenne arrivò a New York, conobbe di persona il blues(più nero) e il folk (più bianco), quegli ambienti intellettuali e popolari che lo accolsero con stima e affetto (in particolare Pete Seeger, 1919-2014), apprezzandone musica e parole. Fu militare in marina nella seconda guerra mondiale (anche in Sicilia), ricominciò a suonare. A cavallo coi cinquanta abitò in un complesso di cui era proprietario Fred Trump, padre di Donald, e Woody lo attaccò per le pratiche razziste; in quel decennio Guthrie divenne un’icona della musica americana, perseguitato dal maccartismo, poi si ammalò (e in ospedale andava Bob Dylan a trovarlo e a proporgli i propri pezzi). Molto più che un menestrello!
Guthrie si sposò tre volte, nel 1933 con Mary Jennings, nel 1945 con Marjorie Mazia, nel 1953 con Anneke Van Kirk. Fu padre di otto bambini, tre dal primo matrimonio, quattro dal secondo, una dal terzo. Fra di loro Arlo (Brooklyn, 1947), che ventenne scrisse la colonna sonora autobiografica e interpretò il famoso divertente autoironico delicato film pacifista di Arthur Penn, Alice’s Restaurant, ricostruendo in una scena anche il capezzale del padre. Woody aveva scritto spesso durante la vita, gli splendidi testi delle canzoni ma anche poesie, disegni, articoli, narrative, memorie, appunti, in larga parte inediti e pubblicati postumi. In vita era uscito nel 1943, grazie alla cura della moglie Marjorie, Bound for Glory, un’autobiografia romanzata di un socialista patriottico, ribelle e sentimentale: figlio con opinioni abbastanza diverse da quelle del proprio genitore, Hobo errante migrante vagabondo senzatetto sui treni, Worker proletario operaio contadino artigiano in ceto modi in cento posti, Oakie manovale anche della canzone e dialettale Folksinger per strada, grandissimo intellettuale illetterato legato alla cultura orale: pur avendo studiato era di un’altra classe sociale rispetto ai grandi classici americani di quel periodo. Visse sulla East Coast, ma non era Wasp, sarebbe utile a chi vuole sconfiggere le radici di Trump oggi. Dal libro, nel 1976 Hal Ashby trasse un film con David Carradine; poi il testo venne riedito nel Stati Uniti e tradotto un po’ in tutto il mondo con parziale successo; in Italia da Savelli nel 1977, con il titolo “Questa terra è la mia terra”, ovvero quasi il titolo della sua canzone più famosa (traduzione di Cristina Bertea, presentazione di Peppino Ortoleva, introduzione del bravissimo Alessandro Portelli, in copertina disegni di Pablo Echaurren sulla base di quelli originali dell’autore), mia al posto di tua, sempre di tutti.
Il testo delle prime tre strofe, la prima parte della canzone, recita:
This land is your land, this land is my land
From California to New York Island
From the Redwood Forest to the Gulf Stream waters/
This land was made for you and me.
As I went walking that ribbon of highway And saw above me that endless skyway, And saw below me that golden valley, I said: This land was made for you and me
I roamed and rambled, and followed my footsteps To the sparkling sands of her diamond deserts, And all around me, a voice was sounding: This land was made for you and me …
Terra ovviamente significa qui la sostanza del suolo patrio, ovvero: costa e isole, foreste e deserti, fiumi e laghi, valli e montagne, campi di grano e nuvole di polvere, frutta e verdura, beni comuni, anche vostri e nostri, appartenenti a tutti, inappropriabili (ma appropriati privatamente, questa è la sua denuncia). Non sembri un caso se il titolo è spesso conosciuto e memorizzato alternativamente con entrambi gli aggettivi possessivi, tua o mia, presenti di seguito nel primo verso, divenuti ritornello, interscambiabili, a indicare comunanza. La canzone fu scritta nel 1940, mentre Woody Guthrie lavorava a un progetto di lavori pubblici connesso al New Deal di Roosevelt, il testo vergato su un noto manoscritto originale, e poi subito cantata e conosciuta in una prima versione, giustamente polemica anche verso certa retorica a stelle e strisce. Quando fu pubblicata nel 1945, stava finendo la terribile seconda guerra mondiale e l’autore consentì l’uscita di una seconda versione, dove non erano presenti alcune significative strofe del testo originario, in particolare quella con il muro e quella con la fame. Successivamente l’autore ripristinò l’uso delle strofe, la canzone è passata alla storia. Possiamo dire che da decenni, sulla base della stessa identica melodia gospel (un inno battista), ne esistono due versioni legittime, seppur diverse rispetto ad alcune delle parole cantate.
Era una canzone tutta arrabbiata e volitiva, corale e impegnata. Bisogna tener presente che anche il titolo era pensato inizialmente come apertamente polemico: Woody Guthrie voleva denominarla “God Blessed America”, ovvero “Dio ha benedetto l’America”, la considerava una necessaria risposta sarcastica alla famosa canzone di Irwing Berlin “God Bless America” (1918), lui la ascoltava per radio e non la sopportava proprio, la valutava banale, irrealistica e faziosa. Il titolo venne poi cambiato dallo stesso autore, si può notare già una prima correzione sul manoscritto autografo, “This land was made for you and me”, ovvero il ritornello; diventerà infine definitivamente: This Land Is Your Land.
Il testo scritto da Woody Guthrie recita nella seconda parte della prima versione:
… Was a big high wall there that tried to stop me A sign was painted said: Private Property. But on the back side it didn’t said nothing – This land was made for you and me
When the sun come shining then I was strolling In wheat fields waving, and dust clouds rolling; The voice was chanting as the fog was lifting: This land was made for you and me
One bright sunny morning by the shadow of the steaple By the Relief office I saw my people – As they stood hungry, I stood there wondering if This land was made for you and me.
Woody Guthrie evoca la terribile crisi degli anni trenta, fa riferimento ai troppi alti muri fra classi e paesi, si pronuncia contro la proprietà privata, sollecita la sua gente affamata a lottare per il lavoro e per la libertà, in modo di far diventare quella terra di tutti gli americani, davvero. Lo fa in ogni strofa con linguaggio poetico, epico, coinvolgente. Alta struggente poesia caratterizza tutto il testo. Pete Seeger, quando fu scelto per accompagnare la cerimonia d’insediamento di Obama, già quasi novantenne, allievo e amico, collega ed erede di Woody, concordò con Bruce Springsteen di cantarla per intero, nella versione completa. Così è andata, di fronte a un milione di persone, per lunghi tratti in coro ad alta voce (come si vede dai filmati). Per l’insediamento di Biden la stessa canzone è tornata, eseguita da Jennifer Lopez, angelicamente di bianco vestita, in assenza di pubblico per le note restrizioni dovute alla pandemia, senza dubbio un’impeccabile toccante esibizione che pure ha tagliato quelle strofe sopra riportate e tutta la seconda parte del testo. Non credo vada drammatizzato, forse andava chiarito: l’intera cerimonia del 20 gennaio 2021 veniva da quattro anni di contrapposizioni e provocazioni, pochi giorni dopo l’assalto al parlamento di Capitol Hill sollecitato dal presidente uscente; il messaggio urgente e indispensabile del nuovo presidente appare quello di mettere al primo posto l’unità; quel giorno vi sono state scelte di personalità meticce e di parole unanimi molto chiare in favore dei diritti civili e della giustizia sociale; la stessa meticcia Jennifer Lopez ha gridato fuori programma in spagnolo “giustizia per tutti”, proprio nel bel mezzo della canzone (alla faccia delle lingue uniche di Stato).
Resta il fatto e s’aggiunge un consiglio: riscoprite Woody Guthrie, trovate le meravigliose versioni vocali di This Land is Your Land, quelle da lui registrate e quelle reinterpretate nei decenni successivi, dal figlio e dai maggiori musicisti americani, non sempre con il medesimo ordine di strofe e ritornello, pure con altre varianti (consone rispetto alla logica “aperta” della narrazione)! Consideratelo il vostro e nostro, popolare e allegro inno umano. Ascoltate le centinaia di canzoni di Woody (tantissime ritrovate postume) e leggete i suoi scritti sparsi (in parte inediti in Italia): è un grande della musica e della poesia. E, nel merito, stava dalla parte dei diritti sociali e aveva spesso ragione. Godiamo ancora la bellezza della sua arte. Un attimo dopo, certo, contestualizziamo, approfondiamo, rivalutiamo. Vale per tante strofe e tanti versi del passato e del presente, varrà forse anche nel futuro. Siamo tutti nati negli Usa, per correre, per vincere? No. La nascita è già una vittoria, poi la vita è tutto un movimento, spesso una corsa. Da secoli gli USA sono uno Stato, grande e fondamentale, fra altre istituzioni statuali. Comunque, ogni ecosistema umano è pure delle altre specie, noi non ci sopravviveremmo senza; ogni ecosistema umano contiene fattoti biotici e non biotici comuni, non siamo soli e non siamo un’isola; l’ecosistema appartiene anche a tutti gli individui sapiens meticci che vi vivono o che vi migrano, noi lo abbiamo ereditato e dobbiamo lasciarlo alle future generazioni, umane e non umane; ogni individuo non è l’unico eroe, noi siamo tutti imperfetti e fragili (anche Woody lo era), dentro un’epopea planetaria. Siamo
Gli storici della musica americana l’hanno da tempo archiviato con il nome di “Folk Revival”. Fu l’esplosione e la diffusione rapida della musica tradizionale che investì il mondo musicale al principio degli anni sessanta. Joan Baez fu solo la punta di un iceberg di ben più vaste dimensioni. Di Folk Musica, al di fuori dei circoli specializzati, si era parlato molto poco negli Stati Uniti nel corso degli anni cinquanta. Ballate politiche, canti di lavoro, canzoni del repertorio popolare nei suoi vari generi, erano rimaste appannaggio di misconosciuti artisti che il difficile clima politico di quel decennio aveva ulteriormente ostacolato. Il grande Woody Guthrie, leggenda vivente di quella musica, dominava ancora la scena nel suo ritiro del New Jersey.
Bob Dylan, Joan Baez sono il simbolo di questa musica americana che aveva in Woody Guthrie l’interprete di punta. Memorabile le ballate di quest’ultimo che andarono a costruire la colonna sonora del film “Questa terra è la mia terra”, del 1976, diretto a Hal Ashby. L’ho fatto vedere agli alunni, quando insegnavo nella Scuola Media di Verano Brianza (Mb). Veramente bello l’articolo di Valerio Calzolaio. Fa rivivere miti e ideali che hanno accompagnato la mia generazione. Ho conosciuto poi di persona Peppino Ortoleva in uno dei tanti corsi d’aggiornamento che si tenevano negli anni ’80 del secolo scorso, presso la Fondazione Feltrinelli, al Cisem, all’istituto di Storia della Resistenza e del movimento operaio di Sesto San Giovanni.