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Porto Recanati. Tanti primi violini non fanno suonare l’orchestra.

Fonte internet

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di  Gioacchino Di Martino

E’ questa una metafora che viene usata spesso nei corsi di management per indicare la necessità della presenza di un direttore d’orchestra che, fuori dalla competizione tra orchestrali, riesca a coordinare le varie eccellenze presenti per dar vita ad esecuzioni musicali che soddisfino il gusto del pubblico. Molto spesso non esiste un rapporto ottimale tra direttore ed orchestrali. Tutto però viene messo da parte per il raggiungimento del gradimento del pubblico unico ed esclusivo obiettivo dell’esistenza stessa dell’orchestra. In quanto metafora la stessa può applicarsi a diversi campi tra cui anche la politica dove molto spesso, però, i primi violini sono soliti avere come pubblico il proprio specchio di casa autodeclassandosi, così, a semplici tromboni di fila. E’ quanto sembra che accada a Porto Recanati tra quelle forze che si definiscono popolari, di sinistra, progressiste, riformiste ed ecologiche. Tutte magnifiche aggettivazioni che però nascondono il germe malefico del filosofare perenne e dell’inconcludenza operativa. A volte anche una sottile e nascosta riserva mentale si annida tra le pieghe di questi difetti ed aggrava l’incapacità di dare risposte precise e puntuali ai problemi individuati. Risposte che invece meriterebbero tempi rapidi anche in relazione alle scadenze che si delineano all’orizzonte. Da immigrato non sono certamente il soggetto più indicato per analizzare la storia politica della città per cui mi limiterò ad esprimere solo alcune considerazioni generali in merito a quanto precedentemente affermato. Parto quindi dall’assunto che vuole la politica essere la ricerca del bene comune. Bene comune che è lecito essere declinato nelle maniere più varie ma la cui interpretazione più vera forse corrisponde a quella sturziana che la individua come un servizio da rendere alla società non come avventura solitaria ma come avventura di comunità dalla quale trarre ispirazione e confronto sulla bontà dell’impegno. In politica comunità significa anche aggregazioni di forze che convergono su alcuni principi e sull’orizzonte temporale del farsi. Pochi paletti che delimitino il così detto minimo sindacale che consentirebbe, però, la formazione di una coalizione che si proponga di interpretare la volontà maggioritaria dell’elettorato cittadino. Maggioranza che si vedrebbe ancora una volta calpestata se queste forze continuassero a dare al bene comune una interpretazione da “società liquida” in cui ognuno interpreta il bene comune in modo diverso:  “prigionieri di radicate e particolari logiche ed incapaci di alzare lo sguardo all’orizzonte più alto del bene comune”. Una responsabilità che può essere disattesa solo riducendo il bene comune a mera merce di scambio. Ma in tal caso non ci troveremmo neanche più di fronte a dei tromboni della politica ma unicamente e semplicemente a singoli ed isolati nella comunità. Ma in politica mai dire mai per cui è possibile che in una terra di così tanti validi musicisti non ci sia nessuno che si impegni a dirigere un’orchestra cui manca solo un direttore?

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