di Raimondo Giustozzi
Il poeta testimone del passato e del presente
“E gne lu guardijàne de lu fare / clu mare allùme a bbàrche e navegànde, / lu puhéte ch’armàne nu quatrare, / pure vjécchie, dulore e ggiòje cànde. // Sol’ accucì devende nu ggiahànde… / gne tte, che vvì da n’òrbeta stellare / e, dlu monne, î sendùte rise e ppiande, / prijjére pe le huérre, e ttûne e spare… // Hî visti rri, terànne, ggiuculire… / ggend’a mmijjàre che la morte afférre / e, de bbòtte, cangélle da lu ggire! … // Ma tu, piandàte, armine gne nnu cérre / ch’la frònde sulecàte da pinzire / pe la sorte dell’ôme su sta térre” (Giuseppe Tontodonati, Lu libbre, pag. 62, in Poesie inedite di Giuseppe Tontodonati, curate da Vittoriano Esposito, Collana di studi abruzzesi, Nuova serie 16).
Traduzione: “Come il guardiano del faro / che il mare illumina, barche e naviganti, / il poeta che rimane un ragazzo, / anche da vecchio, canta il dolore e le gioie. // Solo così diventa un gigante… / come te che vivi in un’orbita stellare / tu che del mondo hai ascoltato risate e pianti, / preghiere per la guerra, tuoni e spari… / Hai visto re, tiranni, giocolieri…/ gente a migliaia portata via dalla morte / che tutto ad un tratto cancella dal giro! … // Ma tu, piantato, rimani come un cerro / con la mente attraversata dal pensiero / per la sorte dell’uomo su questa terra”.
E’ il secondo dei tre sonetti dedicati al libro, attorno al quale il poeta aveva lavorato per tanti anni, il Canzoniere d’Abruzzo, pubblicato da Giuseppe Tontodonati nel 1986. Il poeta è come il guardiano del faro. Getta il proprio cono di luce sulle vicende del mondo. I suoi versi cantano la gioia, il dolore, la guerra. Pure vecchio, il poeta rimane sempre un ragazzo. E’ la poetica del Fanciullino di pascoliana memoria che fa capolino. Sarebbe veramente bello che, invecchiando, si possa rimanere come un fanciullo, ancora pieno di curiosità verso il mondo. Ma non sempre è così.
Nella scuola si vuol fare di un bambino un adulto mancato. Maxima debetur puero reverentia, dicevano i latini. Si deve la massima attenzione verso il bambino. E un principio pedagogico che dovrebbe valere anche oggi. La scuola invece mortifica il bambino diverso. Non si accetta che possa avere conoscenze che altri non hanno. Si cerca solo l’omologazione che è la morte della diversità. Si vuole che giochi con le figurine dei calciatori come fanno tutti, quasi che questo fosse il massimo a cui dovrebbe aspirare un maestro dai propri alunni. Si storce il naso perché il bambino non ama giocare ai quattro cantoni e via cantando. E il vuoto riempito dal nulla. In questo modo si educa generazioni di alunni omologati sul nulla, adulti di domani scontenti di tutto.
L’amicizia e il ricordo di quando ragazzo, scorrazzava per le strade, ritornano in un sonetto che Giuseppe Tontodonati dedica al Circolo degli anziani di Scafa, suo paese di nascita: “Chi s’arevéde! … uh ugna t’î si sciupàte… / Pippì, tî fatte vjicchie! Da quatràne / quanda corze, de notte, pe stu làte / ‘ddò stéve lu macélle e la fundàne” (L’Anziàne, ibidem, pag. 85).
Traduzione: “Chi si rivede! … uh come ti sei sciupato… / Giuseppe ti sei fatto vecchio! Da ragazzo (che eri) / quante corse, di notte, per questo lato / dove stava il macello e la fontana”.
Nello stesso sonetto il poeta ricorda tutti gli amici, alcuni dei quali ancora in vita quando il poeta fece visita al Circolo anziani di Scafa nell’estate del 1988: Attilio Tribbiano, Vincenzo Di Luca, Rocco Gianluca, Nello Ammirati, Di Tommaso, Antonio Tontodonati (Ndònie Zucculòne), Domenico Ortolani, i Lanari, Tonino Di Meo, Cavallaro. Vecchi? Si chiede il poeta. No. Siamo anziani, scrive nella poesia. Antonio Tontodonati era mio suocero. E’ stato il primo presidente del Circolo diurno pensionati di Scafa. La sede del sodalizio era poco lontano dal vecchio mattatoio e dalla fontana di cui si parla nella poesia. La fontana è rimasta nella piccola piazzetta. Ho conosciuto poi di persona tutti gli altri anziani, amici di mio suocero.
L’amicizia nel segno dell’arte.
“Serge à ‘rrevàte da Mundecatine / arepusàte, càlme, surredénde” (Giuseppe Tontodonati, Serge à ‘rrevàte da Mundecatine, ibidem, pag. 72). Sergio è arrivato da Montecatini / riposato, calmo, sorridente. Nell’ascoltarlo mentre gli canta una romanza di Paolo Tosti, Tontodonati confessa si sentirsi aprire il cuore: “Dapù candò, de Toste, la Rumànze / “Torna idehàle”, e m’arpurtise ‘n còre / l’amore, l’arte, e ttànde recurdànze”. Dopo cantò la romanza di Tosti / Torna l’ideale, e mi si aprirono in cuore / l’amore, l’arte e tanti ricordi. Sergio Masciarelli, classe 1935, è stato uno dei più grandi amici del poeta, di cui era anche cugino: “Per anni, Masciarelli e Guido Tontodonati, fratello del poeta, accompagnarono Giuseppe Tontodonati in giro per l’Abruzzo per visitare borghi, luoghi e incontrare persone per recuperare termini dialettali. Sergio e Guido aiutarono il poeta ad elaborare il linguaggio scritto e non solo. Curarono con impegno e passione la diffusione dei volumi del poeta. Per la sua profonda conoscenza di ogni singolo verso del poeta e per la sua forza recitativa, Sergio Masciarelli è in assoluto il maggiore interprete delle poesie di Giuseppe Tontodonati” (Raffaello Tontodonati, Giuseppe Tontodonati un poeta nella Bologna del secondo ‘900, pag. 24, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., Bologna 2020).
Sergio e Guido furono anche più volte ospiti nella casa di Bologna, dove Giuseppe Tontodonati viveva con la propria famiglia, in occasioni di eventi tenuti presso il CIDA (Centro Internazionale delle Arti) di cui il poeta era fondatore con altri due soci e presidente dal 1973 al 1985. Anche Antonio Saia, il dottore e sindaco di San Valentino in Abruzzo citeriore, fu ospite a Bologna, presso la sede dell’Associazione Culturale “Esagono”, al recital di Giuseppe Tontodonati. Era il 22 dicembre 1982. Al dott. Saia il poeta dedica una poesia, in cui l’autunno sembra prefigurare il declino della sua vita: “Totò, l’autùnne, mo’, quanda j’ pése!… / e, mendr’aspétte abbrile e lu favònie, / se cumbésse, de notte, nghe la lùne”.
Traduzione: “Antonio, l’autunno, ora, quanto pesa!… / e mentre aspetta aprile e il vento favonio, / andrebbe a dormire, di notte, con la luna”.
La poesia nel segno dell’impegno civile
“Tontodonati ha saputo sempre guardare dentro di sé e intorno a sé, nel senso che, sentendosi parte di un tutto, non ha mai scisso il proprio destino di uomo dal destino degli altri uomini. Di qui la sua costante preoccupazione, ad esempio, per la pace nel mondo” (Vittoriano Esposito, poesie inedite di Giuseppe Tontodonati, pag. 99, Collana di studi abruzzesi, Nuova serie 16). Era il 27 ottobre 1986, quando ad Assisi si tenne l’incontro interreligioso, voluto da Giovanni Paolo II. Fu un evento eccezionale, rimasto negli annali della storia. Giuseppe Tontodonati non poteva non registrarlo. Compose quattro sonetti.
“Oh Sandi Patri che siète menùte / da le lundàne vànne de stu mònne / prehéte Ddi’ prime che cool’ a fonne / e che Sande Frangische, mu’, c-i-aiùte! // E nghe ttutte le lingue cunussciùte, / preghéte pe la pàce di Sijònne, coma facì lu saciardòte Arònne, / ‘llundànne, pe lu pòpele di Ggiùte. // E che la Sanda Vérghe arpet’ angòre / lu meràcule e, c’ammezz’a stu desérte, / lu monne pozz’a retruvà l’amòre. // A cquà Frangésche piandì chelu fiòre! … / Assise, terra sànde bbenedétte… / la nòva Areca sî de lu Signòre..!” (Assisi ’86, pag. 100, ibidem).
Traduzione:: “Santi Padri che siete arrivati / dalle più lontane contrade di questo mondo / pregate Dio prima che vada a fondo / che San Francesco ci aiuti! // Con tutte le lingue conosciute, / pregate per la pace di Sionne, come fece il sacerdote Aronne, / tanto tempo fa per il popolo ebraico. // La Santa Vergine Maria ripeta ancora / il miracolo e, anche in mezzo al deserto / il mondo possa ritrovare l’amore. // Qui Francesco piantò un fiore! / Assisi, terra santa benedetta… / la nuova arca del Signore”.
Continua nel secondo sonetto: “E vv’, che pe ttand’anne nzanguénàte / avéte le cuntràde de la térre, / pe ccaretà cessétele le huérre / e, inzimbr’ a Ddi’, passéme sta jurnàte”.
Traduzione: “E voi, che per tanti anni avete insanguinato le contrade del mondo / per carità cessate le guerre / e, insieme a Dio, passiamo questa giornata”.
Giuseppe Tontodonati era molto attento agli avvenimenti del proprio tempo. Il Centro Internazionale delle Arti, di via San Vitale 22, in pieno centro a Bologna, era un grande osservatorio della vita culturale. La città felsinea visse due momenti drammatici. Il primo coincise con la morte dello studente Francesco Lorusso, il secondo con il terribile attentato alla stazione centrale di Bologna. “Nel 1977 in Italia, il movimento studentesco tornò sulle barricate, portando in tutte le piazze manifestazioni finite spesso con scontri con le forze dell’ordine. Il poeta scrisse tre sonetti in dialetto abruzzese, che descrivono quelle concitate giornate; gli scontri nella zona universitaria di Porta Ravegnana, Radio Alice, la radio libera che, trasmettendo dal Pratello, fu il megafono degli studenti e il loro strumento organizzativo di quei giorni, i colpi d’arma da fuoco e la morte di Francesco Lorusso” (Raffaello Tontodonati, Giuseppe Tontodonati un poeta nella Bologna del secondo ‘900, pag. 159, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., Bologna 2020). Pubblicò, sempre su questi tragici fatti, tre lasse di quartine in Italiano. L’attentato stragista alla stazione centrale di Bologna del 2 agosto 1980 è descritto invece in quattro sonetti in dialetto abruzzese
La città ferita
“Ho sentito l’impetuoso levarsi dal vento / ho sentito il bosco gemere e l’urlo del mare / ho visto la luna oscurata dal nembo / ho visto tra i lampi un gabbiano volare. // Ho visto la quercia il cielo frustare / l’ho sentita stormire piena di furore cupo / ho visto le streghe sulle forche danzare / ho sentito l’ululato feroce del lupo. // Ho visto una grande montagna lucente / ho visto un angelo con la spada di fuoco / ho sentito secco una raffica di mitra / ho visto la città nel suo cuore ferita. // Ho visto i nostri figli che ci sparavano / li ho sentiti imprecare contro la sorte / ho sentito pesante uno stridore di catene / ho visto passare gli staffieri della morte. // Francesco Lorusso cadeva in via Centotrecento” (Giuseppe Tontodonati, la città ferita, pag. 164, in Raffaello Tontodonati, Giuseppe Tontodonati un poeta nella Bologna del secondo ‘900, pag. 159, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., Bologna 2020).
Massacre a la stazziòne pringepale Massacro alla stazione principale
“Massacre…! A la Stazziòne Pringepale / scappé la ggende urlènne gne mbazzìte. / Mort’ e rruvine ammezz’a lu piazzale / e, ndòrne, li laminde d’lì firite. // Ma passate la prima sbahuttìte, / se cumenzì scavà nghe mman’ e ppàle / p’arecaccià li curpe sippilite / de st’àvetra traggedia naziunale. // – Ch’à successe..? – La fine de lu monne! .. / paré, lu scòppie, nu bumbardamènde… / le persone che jjève gne le fronne // Ped àrie… Spatacciàte da lu vende.. ! – / A Bbulogne… la fine de lu monne… / lu dd’dahòste… ere li diec’ e vvende..!” (Massacro alla stazione principale).
Traduzione: “Massacro… ! Alla stazione Principale / scappava la gente urlando impazzita. / Morti e rovine in mezzo al piazzale / e, intorno, i lamenti dei feriti.. // Ma passato il primo sbigottimento, / si cominciò a scavare con mani e pale / per tirar fuori i corpi seppelliti / di quest’altra tragedia nazionale. // Cos’è successo.. ? – La fine del mondo!.. / sembrò, lo scoppio, un bombardamento… / le persone che cadevano come le foglie // Per aria… sballottate dal vento.. ! / A Bologna… la fine del mondo… / il due agosto… erano le dieci e venti..!” (Giuseppe Tontodonati, Massacre a la stazziòne pringepale, pag. 155, in Raffaello Tontodonati, Giuseppe Tontodonati un poeta nella Bologna del secondo ‘900, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., Bologna 2020).
Bibliografia
- Raffaello Tontodonati, Giuseppe Tontodonati un poeta nella Bologna del secondo ‘900, GEDI Gruppo Editoriale S.p.A., Bologna 2020.
- Vittoriano Esposito, poesie inedite di Giuseppe Tontodonati, Collana di studi abruzzesi, Nuova serie 16.
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