di Marco Moroni
La pandemia, che non è certo terminata ed anzi è al suo culmine in vari Paesi del
mondo, ci lascia un diffuso senso di inquietudine. Allo sgomento per le migliaia di morti
si è aggiunto un forte senso di insicurezza, che permane anche in questa fase.
Abbiamo fatto esperienza della fragilità umana. Dobbiamo rendercene conto:
nonostante l’enorme progresso scientifico, la condizione umana è segnata dalla
precarietà. Forti della nostra scienza e della nostra tecnologia avevamo creduto di essere
diventati invulnerabili e onnipotenti, tanto da poter dominare la natura intera: la
pandemia ci ha fatto capire che non è così. Abbiamo sperimentato la condizione
descritta negli anni della prima guerra mondiale in una splendida poesia di Giuseppe
Ungaretti: “Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie”.
L’epidemia ha avuto alcuni effetti paradossali, di cui non sempre ci rendiamo
conto. Ci ha fatto comprendere, innanzitutto, l’importanza del Servizio Sanitario
Nazionale, dopo che per decenni lo abbiamo sottoposto a pesanti tagli e lo abbiamo
vituperato sottolineandone le inefficienze. E ci ha fatto comprendere che deve essere un
Servizio certo efficiente, ma pubblico; perché, salvo pochissime eccezioni, i servizi
sanitari privati si sono rivelati inadeguati o addirittura sono scomparsi nei mesi
dell’emergenza.
Un secondo paradosso: di fronte agli effetti sociali dell’epidemia tutti hanno
chiesto in coro un forte intervento dello Stato. Lo hanno chiesto anche quelli che fino a
qualche giorno prima urlavano: “Meno Stato e più mercato”. E anche oggi a chiedere gli
aiuti dello Stato ci sono quelli che propongono “tassazioni piatte” (la flat tax) che
farebbero pagare meno tasse ai più ricchi e anche quelli che non versano allo Stato i
contributi dovuti, cioè gli evasori fiscali.
Infine un terzo paradosso: tutti chiedono gli aiuti dell’Europa; li pretendono anche
quelli che fino a qualche giorno fa urlavano: “Basta con l’Europa. Usciamo dall’Unione
europea”. Anche quelli che affermavano “Possiamo fare da soli”, ora dicono che l’Italia
non riuscirà a riprendersi senza l’aiuto dell’Europa. Non solo: vorrebbero pure aiuti a
fondo perduto e senza condizioni. Sono tre paradossi di cui dobbiamo essere
consapevoli, ma l’epidemia ci suggerisce anche altre riflessioni.
Il contagio, partito dall’Asia, si è subito diffuso negli altri continenti e per questo si
parla non di epidemia ma di pandemia. Proprio la sua rapida diffusione in tutto il pianeta
ci ha dimostrato che davvero ormai viviamo in un “villaggio globale”. Nel nostro
mondo globalizzato, è semplicemente ridicolo pensare a soluzioni locali o anche
nazionali. Servono risposte globali.
In questo mondo globalizzato dove, come dice l’enciclica Laudato si’, “tutto è
connesso” e tutto è collegato, dobbiamo capire che siamo interdipendenti. Le
conseguenze delle nostre azioni ricadono sempre anche sugli altri. Siamo tutti sulla stessa
barca. Come ha detto in più occasioni papa Francesco, da questa pandemia e dai
drammi dell’umanità ci si salva insieme. Questa interdipendenza deve spingerci non solo
a comportamenti responsabili, ma anche a comportamenti collaborativi, cioè a scelte di
solidarietà. In un documento del 20 marzo, la Pontificia Accademia per la vita ha scritto
che dobbiamo “trasformare l’interdipendenza di fatto in solidarietà voluta”. In un
mondo ormai globalizzato dal punto di vista economico, dobbiamo riuscire a
globalizzare la solidarietà
La pandemia è stata definita un acceleratore di dinamiche già in atto. Ha reso
ancora più chiaro un dato innegabile: sta crescendo la fragilità globale che ormai
caratterizza il nostro pianeta. In un libro recente intitolato Prevenire, lo scienziato Roberto
Cingolani ha scritto che abbiamo piegato il pianeta ai nostri bisogni, ma generando in tal
modo tre debiti: 1) un debito ambientale, 2) un debito economico-sociale e 3) un debito
cognitivo.
I primi due debiti sono evidenti: 1) dal punto di vista ambientale stiamo
dissipando le risorse del pianeta, che sono limitate e quindi destinate ad esaurirsi o a
trasformarsi, come sta già avvenendo a causa del cambiamento climatico, in crisi sociali;
2) dal punto di vista economico-sociale, stiamo facendo aumentare le disuguaglianze e
l’ingiustizia creando una bomba sociale prima o poi destinata a scoppiare. Ma Cingolani
insiste soprattutto sul terzo debito, quello cognitivo: non ci sono soluzioni semplici a
problemi sempre più complessi; non ci sono soluzioni settoriali a problemi ormai
sempre più interconnessi. La risposta deve riguardare l’insieme, ma il nostro debito di
conoscenza è ancora pesante. Non siamo ancora pronti: dobbiamo attrezzarci per essere
in grado di dare risposte che tengano conto del “quadro intero”.
Questo inizio del Terzo Millennio è stato segnato da tre grandi crisi: prima la crisi
finanziaria, poi l’esplodere della crisi ambientale e ora una crisi sanitaria. Non dobbiamo
avere sguardi settoriali: sono tre crisi settoriali, ma segnalano una crisi di sistema.
Segnalano che stiamo costruendo un futuro insostenibile.
Nel tempo della pandemia abbiamo compreso non solo che occorrevano scelte
rapide e rispettate da tutti, ma soprattutto che era necessario governare quanto stava
accadendo. Questo vale per le emergenze sanitarie, ma anche per i processi economici e
sociali: non possiamo lasciarli alla cosiddetta “mano invisibile” del mercato (cioè al libero
mercato) o addirittura ai calcoli dei cervelli elettronici impostati secondo precisi
algoritmi.
Nel tempo della pandemia il futuro ci è venuto incontro soprattutto come
esigenza di forte cambiamento. Le tre crisi di questo inizio di Millennio ci dicono che è
giunto il momento di cambiare. Deve nascere dal basso un movimento che chiede di
cambiare il nostro modello di sviluppo. Sarà un’occasione di partecipazione e di rilancio
della democrazia, troppo sacrificata in questi mesi di segregazione in casa, ma servono
risposte integrali. La costruzione di un mondo sostenibile dal punto di vista ambientale e
sociale richiede un approccio di sistema e una grande capacità di visione del futuro.
Purtroppo, entrambi questi requisiti sembrano mancare nel nostro Paese (e forse non
soltanto in Italia).
Centro Studi Acli Marche – 7 luglio 2020
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