di Anna Martinenghi by sdiario.com
M’accade di fare a pezzi un verso
Un suono come di sangue che se ne va
Uno spettinio di vocali
Uno spalancar di dolore
E mi visito nella sacrestia delle minuscole rese
Le partenze
Le rimanenze
Le parolette incomprese
Dorinda Dora Di Prossimo, 2016
Ho conosciuto Dorinda Di Prossimo ai tempi dei Blog – Internet d’altri tempi – attraverso le sue parole. Un incontro fulminante, una passione vera. La sua poesia, il modo personalissimo di scegliere e usare le parole “mettendo insieme montagne e formiche senza vergogna” come lei stessa afferma, contengono al contempo echi di poesia classica e formale, uniti a un linguaggio più che moderno che fanno del suo scrivere una voce unica e potente, perché sempre immediatamente riconoscibile. Dora – a me piace chiamarla così – ha il sigillo dei grandi: la capacità di trasmettere il suo punto di vista facendo coincidere forma e sostanza, anche quando tocca l’inesprimibile. Quando ho incontrato Dora, un paio di mesi fa, dopo anni di conoscenza solo letteraria e virtuale, è stato come tornare in una casa conosciuta, fatta anche di braccia, occhi, voce, energia del suo indiscutibile fascino. Dorinda Di Prossimo dovrebbe essere annoverata fra i grandi della poesia italiana contemporanea, anche se dice di non averne l’ambizione, il carattere, la voglia e preferisce una vita ritirata, lontano dalla follia delle folle. Ma questa è una delle poche cose che non le lascio dire.
Restiamoci umani. Arrestiamoci.
Precisi in tenerezza.
Dalla carità non svaniamo.
Scaviamo l’abbraccio per tetto di preghiera,
come l’arrotino, che l’innocenza affila
e, per le case bussa e, né bei panieri, l’offre.
Siamo la fortuna del vicino, la sua zuppa,
il palmo d’ogni pioggia.
Umani restiamoci. Tremiamoci. Trapassiamoci.
Dorinda Dora Di Prossimo. 2016
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