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Economia e Finanza! L’antifascismo di Antonio De Viti De Marco.

di Stefano BardiAntonio De Viti De Marco

Cellino San Marco! Piccolo paese salentino di 6.431 abitanti immerso in numerose tracce archeologiche, ornato da monumenti civili e religiosi e infine abbracciato da campagne, dalla cui terra nascono secolari ulivi e infiniti vigneti.

Vigne quelle cellinesi che sono le principali fonti economiche del paese grazie alla produzione vinicola in numerose cantine come per esempio, la Masseria Li Veli. Una masseria questa posizionata in un antico sito messapico risalente al I millennio a. C., del quale ai giorni nostri rimangono solo alcune tracce come per esempio tombe, lapidi, terracotte e cinta murarie che ancora oggi dividono il Nord longobardo dal Sud bizantino. Sito questo che sparirà nel 272 a. C. per lasciare il posto al normale cammino storico fino ai primi anni del Novecento, in cui nascerà la moderna Masseria Li Veli che a sua volta sorgerà dagli antichi resti di una costruzione tardo medievale di cui ai giorni nostri ne rimangono alcune tracce, all’interno dell’attuale struttura.

Masseria questa che sarà rilevata nel 1999 dalla famiglia Falvo, che, la riformulerà e la trasformerà in un’azienda vinicola proseguendo in questo modo, l’antica tradizione legata al vino. Vent’anni son passati dalla sua rinascita che l’ha portata ai giorni nostri a diventare una azienda di 33.000 mq costruita con pietra caprara, dal bianco colore simile alla pietra leccese. Un’azienda vinicola infine da vigneti che crescono su terreni friabili carsici, calcareo-argillosi (sabbioni e tufi) e accarezzati da inverni miti, da autunni brevi, da primavere brevi e da estati calde, secche e poco piovose. Elementi climatico-geologici che permettono la coltivazione di ottimi vigneti come per esempio Negroamaro, Malvasia Nera, Primitivo, Verdeca e Aleatico. Un vigneto quest’ultimo da quale inoltre, si ricava l’ottima grappa Aleatico Riserva.

 

Una masseria questa che nel passato, fu diretta dai uno dei più grandi intellettuali del Novecento, ovvero, l’economista Antonio De Viti De Marco (Lecce, 30 settembre 1858-Roma, 1° dicembre 1943) che sarà da me ricordato però sotto l’aspetto dell’antifascismo.

Un’antifascista leccese che politicamente parlando, si basava sulla difesa dell’individuo e dei suoi diritti mettendo da parte lo Stato e che dal 29 ottobre 1922 lo visse in totale esilio e al quale si devono aggiungere dal 1931, le dimissioni dalla cattedra di Scienze della Finanze dell’Università di Roma. Un esilio il suo che durerà fino al 1943 e che sarà vissuto nella sua residenza nobiliare all’interno del Castello di Casamassella, dove si dedicherà alla redazione del suo saggio economico-finanziario I primi principi dell’economia finanziaria del 1928. Un antifascismo da toni liberali quello dell’economista leccese, che si basò però su due concetti fondamentali: meridionalismo e finanza.

Un tema quello del meridionalismo, che sarà trattato nel saggio Per il Mezzogiorno e per la libertà commerciale del 1905 e nel saggio postumo Mezzogiorno e democrazia liberale. Antologia di scritti del 2008. Un primo aspetto si basa sull’emulazione internazionale, da lui concepita come uno strumento economico in grado di fare entrare all’estero prodotti e macchinari a prezzi più accessibili e di far uscire i propri prodotti con prezzi più alti per il mercato estero. Obiettivo questo, che può avverarsi grazie anche a efficienti vie comunicative di terrestri e marittime. Un secondo aspetto riguarda la sua contrarietà e mal fiducia verso le concessioni statali, le azioni patrimoniali eccezionali e le operazioni statali straordinarie da lui concepite come una sottrazione di capitali, un’eccessiva spesa pubblica e un aumento dell’illegalità locale. Un terzo e ultimo aspetto riguarda la nuova legislazione contributiva per il Mezzogiorno. Legislazione questa, che doveva rimodellare il sistema fiscale e doveva dare maggiore libertà e fiducia amministrativa ai poteri locali, attraverso il decentramento.

Un antifascismo finanziario invece, che è rintracciabile nelle tesi economico-finanziarie raccolte nel saggio I primi principi dell’economia finanziaria. Antifascismo economico già  cominciato nel saggio La funzione della banca del 1898, dove la banca è vista come un organo in grado di fabbricare moneta bancaria per finanziare le attività economiche e come equilibrio economico, da raggiungere attraverso l’inflazione. Antifascismo economico che sarà poi ripreso nell’opera del 1928 e che inizia dal fondamentale concetto di democrazia, dall’economista intesa come libero mercato e organo statale che ponga attenzione alla giusta crescita inoffensiva per i disagiati, che devono essere aiutati senza che siano danneggiati coloro che vogliono affermarsi socialmente. Democrazia inoltre, che, combatta contro ogni privilegio di classe. Un altro aspetto è quello del federalismo fiscale, ovvero, gli enti dei poteri locali intesi come organismi dotati di proprie e libere fonti di reddito, in modo così da allontanare e dividere le varie spese per i servizi ai cittadini. Altro aspetto fondamentale è la divisione fra bisogni privati, bisogni collettivi e spesa pubblica. I primi sono visti come le esigenze economiche di ogni singola persona e i secondi invece come l’esigenza sociale della persona, in quanto l’Uomo è un animale sociale. Spesa pubblica vista infine come la condivisione economica fra le persone. Un altro ulteriore aspetto riguarda il reddito, dall’economista inteso come un introito prodotto grazie al ruolo produttivo dello Stato. Guadagno infine, che dovrà essere speso dal contribuente in tasse (pagamento immediato) e/o in imposte (abbonamenti).

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