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Poesia labirintica di Luigi Di Ruscio

Tutti conoscono lo scrittore e saggista Luigi Di Ruscio (Fermo, 1930-Oslo, 2011), ma, in pochissimi lo conoscono come poeta. Aspetto questo che sarà da me analizzato nel profondo incominciando dalle parole spese, dal critico letterario Massimo Raffaeli. Secondo questo critico, la poesia del fermano può essere definita come una poesia degli ultimi, dove con il termine ultimi si intendono gli operai di fabbrica. Ultimi questi, che si esprimono attraverso una grammatica mono voce, precisa, autoreferenziale, ma soprattutto attraverso una grammatica fatta di scarsissime immagini eloquenti, di versi lunghi e di ritmi sciolti. Un’opera inoltre dove l’Io si trasforma in Noi, ovvero, in tutti coloro che si sono immolati al mortale gioco dell’accoglienza-emarginazione delle Società Neocapitaliste[1]. Opera sì sugli operai e sul lavoro più in generale, ma anche su altre Copertina Libro Di Rusciotematiche non lavorative che sono messe insieme dal poeta fermano, senza però purtroppo un chiaro filo logico che le unisce.

Il 1953 è l’anno della raccolta Non possiamo abituarci a morire. Opera questa dedicata interamente al lavoro e dove addirittura c’è un riferimento alla sua infanzia da lui ricordata come un solitario cammino che negli anni, lo ha trasformato in un uomo maturo. Due sono le categorie qui analizzate dal poeta fermano, ovvero i muratori e i contadini. I primi sono visti come dei costruttori del Mondo, che costruiscono la loro famiglia con le stesse emozioni con cui costruiscono le case, ovvero la gioia, l’amore e lo spirito di sacrificio[2]. I secondi invece sono visti come gli schiavi della tirannica Madre Natura, poiché destinati fino alla fine dei loro giorni nell’alimentare il ciclo della Vita[3]. Infine, la dipartita del lavoratore è vista come la dipartita del senile[4], poiché come esso anche il lavoratore muore senza fare rumore e senza creare troppo dolore nel cuore di chi rimane sulla terrena terra[5].

Il 1966 è l’anno della raccolta Le streghe s’arrotano le dentiere. Opera questa dove gli operai di fabbrica sono concepiti come degli esseri destinati al sacrificio lavorativo, poiché producono gioie altrui e dove i dolori della loro fatica sono i loro unici premi e le loro uniche soddisfazioni esistenziali[6]. Figure queste, che  sono viste dal poeta fermano come agnelli sacrificali del male altrui e come demoni all’interno di un mondo satanico fatto di Uomini. Una figura quella del contadino che qui ritorna e che è paragonato al Filosofo, poiché come esso è in grado di saper leggere il Libro del Mondo per partorite nuove e divine Vite, ma soprattutto è paragonato all’ulivo, poiché come esso ci regala ottimi frutti per la nostra Vita[7]. Opera inoltre dalle reminiscenze riguardanti giovanili amori che simboleggiano l’amore perfetto, ovvero, l’ineccepibile fusione fra due persone attraverso una sessualità lussuriosa, profumata, famelica e abbagliante[8]. Un altro tema è quello della Vita intesa da Luigi Di Ruscio come una gigantesca allucinazione animata da reminiscenze, tenebre, idee, partenze, sacrifici, false glorie e che infine si mostra per quello che è, ovvero, un Mondo composto da povertà, blasfemie, quotidiani sacrifici socio-esistenziali, interminabili pellegrinaggi spirituali e sogni irrealizzabili[9]. Operai e fabbrica, che è vista dal poeta fermano come un demone dalla malefica voce che ci violenta l’anima e come una oscura madre che ci trasforma in robot, ci alimenta con l’ansia, ci imprigiona spiritualmente, ci ruba esistenzialmente e infine, ci trasforma in creature socialmente emarginate[10]. Opera questa dove leggiamo liriche dedicate al sangue, dal poeta paragonato al sangue del maiale scannato, ovvero un sangue inteso come fonte di energia e come la principale fonte nutritiva, della nostra cara sorella Morte. Una Morte infine che ci viene mostrata come una tirannica sorella in grado di oscurare gli spiriti, dei nostri affetti ancora viventi[11].

Il 1978 è l’anno della raccolta Apprendistati, dove le liriche presenti ci mostrano la nascita della Vita umana come la futura lotta per la sopravvivenza sociale, ci mostrano la scrittura come un cadavere in perenne decomposizione, ci mostrano la Poesia come un indagine sulla Vita, ci mostrano Dio come il pane quotidiano della nostra Vita, ci mostrano la Morte come una tirannica madre dal cui fatale abbraccio nessuno si può salvare, ci mostrano infine la Vita come un ciclo esistenziale che nasce dal dolore e che da esso rinasce, alla fine dei suoi giorni.

Il 1980 è l’anno della raccolta Istruzioni per l’uso della repressione. Repressioni, anzi soffocamenti dal poeta fermano letti in più modi. Un primo soffocamento riguarda la Vita moderna, dal poeta concepita come uno sporco e abbandonato camposanto[12]. Un secondo soffocamento riguarda il sesso, dal poeta qui concepito invece come un atto inutile e perverso[13]. Un terzo soffocamento riguarda il lavoro, dal poeta visto come un universo in cui siamo gioiosamente derisi dagli altri. Un quarto soffocamento riguarda il suicidio, che è concepito come un gesto con il quale poter cambiare il mondo che si nutre delle nostre immolazioni[14]. Un quinto soffocamento riguarda le nostre ancestrali origini, che, ci vengono mostrate come un mondo ormai irriconoscibile. Un sesto soffocamento riguarda la poesia, dal poeta concepita come una strada con la quale scoprire le tenebre e le luci esistenziali. Un sesto e ultimo soffocamento riguarda il poeta medesimo, che si mostra come una creatura troppo instabile, all’interno della società in cui vive.

Il 2008 è l’anno della raccolta L’Iddio ridente dove leggiamo poesie su Dio e su tematiche esistenziali. Una prima chiave di lettura concepisce Dio come una luminosa e armoniosa Vita, che si mostra agli occhi del poeta come il superamento della dipartita[15]. Una seconda chiave di lettura concepisce Dio come un impassibile osservatore, delle più oscure e blasfeme ore esistenziali degli Uomini[16]. Una terza chiave di lettura concepisce Dio come la luce dell’alba, che, ci risveglia ogni mattina[17]. Una quarta chiave di lettura concepisce Dio come un protettore dei nostri defunti intimi mostrandoceli ai nostri occhi, come degli angeli esteticamente divini e spiritualmente luminosi[18]. Una quinta chiave di lettura concepisce Dio come uno specchio della nostra esistenza, in cui ci vediamo come esseri mostruosi e come cadaveri in cammino. Una sesta chiave di lettura concepisce Dio come il tutto e il niente. Una settima e ultima chiave di lettura concepisce Dio come la speranza, che, come tutte le cose astratte è destinata a essere rinchiusa per l’eternità nel terreno e cimiteriale sepolcro[19]. Accanto alle visioni poetiche su Dio, possiamo leggere liriche sulla neve, sul viso del Padre Celeste e sulla Vita. La prima è vista come il corpo di Dio, poiché come esso tutto protegge e tutto purifica[20]. Il secondo invece è visto come la beatitudine totale, in cui gli Uomini si percepiscono come delle creature spiritualmente gioiose e sentimentalmente appagate. La Vita infine è letta come un cammino, che si basa sulla dipartita e sulla rinascita nel Paradiso[21].

Oltre a queste raccolte va ricordata l’antologia Firmum 1953-1999 del 1999. Antologia questa, che attira l’attenzione critica per la sua struttura realizzata da poesie una dietro l’altra, senza nessun riferimento riguardante la singola raccolta dalla quale sono state estratte. Operazione questa, che vuole far apparire l’antologia non come tale, ma, come una raccolta a se composta da poesie del tutto inedite e che ci mostra l’antologia come un immenso e infinito dialogo interiore non del Luigi Di Ruscio poeta e operaio, ma, del Luigi Di Ruscio uomo

[1] MASSIMO RAFFAELI, Prefazione in Di Ruscio L., Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 9, pp. 12-13.

[2] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 37 (“[…] per loro è bello tornarsene a casa ridendo / sedersi in famiglia giocare con i figli / dopo dieci ore di lavoro sulle pietre / per quel poco pane e perché la moglie / continui a fare per ultimo il piatto / perché a nessuno manchi la parte.”)

[3] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 38 (“[…] la pioggia è una maledizione / e coprirsi nella capanna di sterpi / è come stare all’aperto / l’acqua scorre sul viso sulle spalle / e si lavora così tutti i giorni / vai sulla strada sperando di fare giornata / la pioggia ti leva il pane / e quando si lavora la pala s’inzacchera sulla fanga / la carretta s’affonda / e devi spingere con tutta la coscia / con le corce e gli stinchi bagnati / e nelle case i figli cercano il pane / pezzi di pane-duro di quando c’era il sole.”)

[4] Senile = sinonimo di anziano.

[5] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 41 (“[…] e morire in un posto fatto per i vecchi / perché crepino senza dare fastidio.”)

[6] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 54 (“[…]  la sua vita è tutta in questa offerta e forse ne gode / e ne godrà sino all’ultimo giorno della stanchezza / per lui il contadino ha piantato la vigna / ogni anno per lui fermenta nuovo vino / così ogni giorno riceve l’offerta migliore / ed eccolo tutto nel dondolio della case / in leggerezza nuova che esplode in ira o in gioia […]”)

[7] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 55 (“[…] l’ulivo è come l’uomo / soffre il caldo in estate e in inverno la tramontana / e pensa metà nel sonno all’uomo e all’ulivo / all’olio che sta tra le parti del pomodoro / in cui inzuppa la mollica del pane […]”)

[8] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 61 (“[…] primavera di gloria e serate di erba odorosa / insieme sull’erba a cavalcare / sazi solo alla fine per nuova fame / Maria la migliore / oggi come un fulmine / mi ti pianti davanti e mi accechi.”)

[9] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 62 (“[…] dorme in dormitori pubblici e mangia pane e polvere / ricammina il giorno appresso su questa Roma ubriacata / gli altri continuano a camminare per il paese in tutti / i sensi / ricordando i nomi delle costellazioni.”)

[10] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 69 (“[…] la macchina è l’anima nostra / nel cartellino delle timbrate / sono le date della nostra storia / la produzione è il diario nostro / che raspa su tutte le coperture pagliaccesche / tutta l’anima nostra tra quattro mura rivoltanti / dove l’Iddio del duemila crepa perpetuamente / e perpetuamente rinasce / ogni nostro giorno per questo Iddio che è voce nostra / il Dio che è nelle nostre mani / il Dio fresato e saldato ogni giorno / e non vi è nulla di più incantato […]”)

[11] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 97 (“[…] con una penna di giallo mettevano acido sullo zinco / ormai lavoravano sopra una cosa morta / nella chiesa dissero la messa / poi nella terra con la sua pietra.”)

[12] LUIGI DI RUSCIO., Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 171 (“[…] questo presente è il cimitero del nostro futuro / questa gente sono i becchini del nostro futuro / (mi volto di scatto a guardarli) / stanno dondolando le loro teste e non si sa neppure se / esistono / siamo caduti nel posto più lurido e forse neppure esiste”)

[13] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 174 (“[…] custodisci il tuo seme in una vagina dolcissima / se non ha un magnifico orgasmo è come buttare / sperma nella latrina / pare che non potrai buttarti due volte nello stesso orgasmo / questo alfabeto dilata lo schema in una stupefatta / provvisorietà di tempi / il cazzo era tolemaico intorno alla sua testa dovrebbe / tutto girare / e quella che dovrebbe prenderlo con le mani e anche / con la bocca / quando non vorrebbe più niente prendere in mando e / neppure in bocca / e farebbe a meno anche di guardarlo”)

[14] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 193 (“[…] il suicidio come atto magico una ammazza se stesso / e crede di distruggere un mondo / ed è questo mondo che cerca la nostra distruzione”)

[15] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 278 (“[…] improvvisamente senza un segnale fiorisce / grappoli di vita felice / inizia così la stagione / dove nessuno immagina di dover morire”)

[16] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 281 (“[…] ore ed ore ad ammirare i segni nefasti / che passavano continuamente sui muri / fuori dalla grazia di Dio”)

[17] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 285 (“[…] venisse a visitarmi / entrando dalla finestra spalancata”)

[18] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 286 (“[…] siamo ancora tutti vivi / nuovi come fossimo risuscitati / non più contaminati dalla sporca morte”)

[19] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 305 (“[…] e alla fine delle composizioni / come sbattendo il coperchio / di una cassa da morto / per chiudere tutto”)

[20] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 298 (“[…] abbagliato da questa / splendida eucaristia / che ricopre tutto / e tutto santifica”)

[21] LUIGI DI RUSCIO, Poesie scelte 1953-2010, Marcos y Marcos, Milano, 2019, p. 303 (“[…] è l’estrema provvisorietà della nostra vita / che dà carattere sacro alla nostra esistenza”)

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