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Musica, specchio della società. Gioventù bruciata di Alessandro Mahmoud.

Fonte internet

Fonte internet

di STEFANO BARDI

 Non importa che un artista sia italiano, straniero, eterosessuale, omosessuale, transessuale e tanto altro ancora perché quello che veramente conta è che sia in grado di creare un’Opera d’Arte a sua volta capace di affrontare tematiche etiche, sociali, esistenziali e che sappia far rinascere il ragionamento critico nella psiche e nel cuore dei suoi fruitori. Parole queste, che ben si addicono all’album d’esordio Gioventù bruciata (Island Records, 2019) del cantautore Alessandro Mahmoud alias “Mahmood” (Milano, 1992) e che sarà da me analizzato nelle sue tematiche principali, attraverso l’analisi di alcune sue canzoni.

 

Una prima canzone è la sanremese “Soldi”, in cui il legame fra il padre e il figlio cantautore simboleggia i moderni rapporti genitoriali 2.0, ovvero quei rapporti in cui i figli sono visti sempre di più dai loro padri come della macchine economiche e come delle fonti di guadagno da sfruttare, senza però comprendere umanamente una cosa assai importante, ovvero che facendo così perderanno per sempre i loro figli e di conseguenza le loro gioie, le loro emozioni, le loro candidezze etico-spirituali, i loro primi amori e le loro lacrime. Tema questo che è continuato nella canzone “Gioventù bruciata”, dove capiamo come molti adolescenti e maggiorenni soffocano – inutilmente, – la loro puerilità e fanciullezza per soddisfare dolorosamente le false aspettative dei propri padri uccidendo così il loro Io interiore.

Dopo queste canzoni passiamo alle canzoni “Il Nilo nel Naviglio” e “Anni 90”. Canzone la prima dagli intimi toni autobiografici dove il cantautore ritrova nei canali milanesi le sue paterne origini egiziane, ovvero ritrova il Nilo che simboleggia per lui le rinascite etico-caratteriali, le veloci e puerili infanzie, le rabbie interiori e le incolmabili vacuità spirituali. Nella seconda canzone si parla degli anni Novanta e della sua generazione che sognava l’America come una Terra Promessa, che si riempiva la testa di falsi miti, che si divertiva con gli sballi alcolici del sabato sera, che si sistemava lavorativamente e che credeva nella fratellanza universale per poi però ritrovarsi negli anni Duemila mentalmente vacui, esistenzialmente incazzati, socialmente asociali ed emarginati, lavorativamente instabili, musicalmente morti e anagraficamente invecchiati.

Andiamo avanti e arriviamo alle canzoni filosofiche “Remo” e “Sabbie mobili”. Nella prima canzone, la Vita è intesa come un infinito viaggio marittimo durante il quale non ci si può fermare per riparare i passati errori esistenziali e durante il quale, non bisogna cadere in mare altrimenti si affogherebbe a causa dei nostri dolori rimorsi. Tema quello della Vita, che è ripreso nella seconda canzone dove è vista come una dura lotta per affermarsi come Uomini colmi di reminiscenze, energie positive, emozioni, amori e luminosi sogni. Lotta questa, che deve essere da Noi vinta per non cadere e affogare nella sabbie mobili costituite dai dolorosi, sbagliati e brumosi rimorsi esistenziali che ci trasformerebbero in cimiteriali, oscure e demoniache creature.

Dopo tutte queste parole concludiamo con la  canzone “Milano Good Vibes”. Canzone questa, che è un omaggio alla sua Milano intesa come una Terra Promessa e come un Paradiso Terrestre in cui si respirano intense vibrazioni colme di verità, sincerità, meditazioni, riflessioni filosofico-esistenziali, fratellanze etico-sociali ed esistenziali reminiscenze da rivivere. Insomma, una città che è vista come un chimerico e onirico deserto in cui vivere in totale relax nel corpo, nello spirito e nella mente.

Complimenti vivissimi allora al cantautore Alessandro Mahmoud e se i prossimi album saranno tutti di questo calibro, allora, assisteremo a un nuovo genere musicale, ovvero all’hip hop socio-filosofico ed etico-esistenziale.

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