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Reportage. Fino a Pola per seguire le orme di Sergio Endrigo

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di Piergiorgio Viti

Un breve reportage alla ricerca della casa natale di Endrigo

Giampaolo e Valerio si conoscono da parecchi anni e sono, l’uno per l’altro, quello che si potrebbe definire “dei vecchi amici”.

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Hanno accettato di buon grado di accompagnarmi a Pola, in Istria, per andare a vedere la casa natale di Endrigo, pur non essendo proprio dei fan del cantautore istriano, o almeno non quanto lo sia il sottoscritto.

Ci siamo dati appuntamento a Trieste, in Largo Don Francesco Bonifacio, alle 10 del mattino e, mentre li aspettavo, il mio fare continue fotografie e appuntare informazioni su un vecchio block notes, un po’ come facevano gli scrittori o i giornalisti di una volta, devono aver insospettito due carabinieri. Molto lentamente i due si avvicinano e, con discrezione, guardano di sottecchi cosa stessi facendo, confidando di trovare in me un potenziale criminale o qualcosa del genere. Insomma, è ufficiale: ai tempi della scrittura digitale, in cui si prendono appunti con uno smartphone o con un Ipad, girare con un block notes può apparire quantomeno sospetto, almeno a Trieste.

Non appena però i carabinieri verificano, senza peraltro pormi domande, la mia totale inoffensività, si allontanano e, più o meno nello stesso momento, scorgo in lontananza la Citroen di Giampaolo che mi porterà a Pola.

Quando salgo, i due stanno affrontando l’argomento Trump. Non è semplice salire su un’auto in cui l’argomento principale è Trump. Comunque, sbrigati i convenevoli, mi siedo dietro di loro e ci muoviamo con sollecitudine verso la zona del Porto Nuovo e poi verso la Superstrada.

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Per fortuna, all’altezza del valico di Skofije, esaurito l’argomento Trump, i miei amici

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iniziano a discettare di come, in quella zona, ci siano parecchi minicasinò, con piccoli pullman che arrivano da tutto il Triveneto per le scommesse e il gioco d’azzardo. Sì, ormai abbiamo superato il confine italiano, siamo in Slovenia e, minicasinò a parte, i ripetuti messaggi di cambi d’operatore al cellulare mi fanno notare che ormai sono all’estero. La Slovenia, lo noto subito dai finestrini, è una terra verde, piena di case isolate, di colline ricche di ulivi e viti, poco urbanizzata, caratterizzata da un paesaggio che da noi, in Italia, sembra quasi non esistere più, se non in alcune zone.

Un paesaggio, insomma, che sembra quello dell’Italia di qualche decennio fa, nonostante le confortevoli strade e le numerose aree di sosta attrezzate sono più che uno slancio verso la modernità. Forse è questo paesaggio così verdeggiante, dal sapore antico, a sollecitare Giampaolo e Valerio in discorsi che riguardano la loro infanzia. Per esempio, vengo a sapere che Giampaolo aveva un fratello molto più vivace di lui e, quando bisognava vestirlo, sua madre adottava la solita strategia: per andare a occuparsi della piccola peste, metteva Giampaolo seduto su una sedia, coi calzini ma senza scarpe e lui, pur di non sporcarsi, rimaneva fermo, impassibile su quella sedia anche per parecchio tempo, così da consentire alla mamma la vestizione del fratellino, impresa che doveva apparire tutt’altro che semplice.

Era l’epoca del dopoguerra, quando dominava la parsimonia e si compravano pochi dolci e pochi vestiti che dovevano essere tenuti per “le grandi occasioni”, che i bambini aspettavano con ansia e che tuttavia non arrivavano mai. Erano gli anni in cui la mamma di Valerio teneva i piatti nel secchiaio sempre puliti, c’era insomma un decoro antico e raffinato, anche perché, dice, se mai fosse arrivato un dottore, in caso di bisogno (ah, le madri ipocondriache!), il dottore avrebbe notato, come prima cosa, l’estrema pulizia della cucina e l’assenza di stoviglie maculate dai rimasugli di cibo.

 

In poco tempo, superiamo anche il confine sloveno-croato e la terra, a macchia di leopardo, diventa rossa, solo apparentemente brulla. Siamo in una zona carsica, zona anche questa di ulivi e viti pregiati, che già i Romani conoscevano e magnificavano, mi dice Giampaolo.

La famosa strada detta “Y istriana” ci conduce ormai alle porte di Pola e, quando arriviamo, nei pressi del porto, ad accoglierci c’è un tipo che sta sistemando degli scatoloni in un furgone. Si accorge del nostro italiano e ci informa, scherzando, che il parcheggio, almeno in quel giorno, lo avrebbe pagato Papa Francesco.

Questo è uno simpatico, penso, e così lo avvicino. Riesce a propinarmi una guida di Pola in italiano e due calamite, però in cambio vengo a sapere, in un italiano pressoché perfetto, dove si trova la casa di Endrigo, grosso modo almeno.

 

Ci avviamo verso la direzione indicata e davanti ai nostri occhi si apre come una visione, un miraggio, la bellissima Arena, di inaspettato splendore, la quale si staglia contro un cielo aspro e via via più grigio.

Giampaolo e Valerio vorrebbero forse entrare, magari fare una visita, ma io, in modo pedissequo e un po’ professorale, ricordo loro il vero motivo per cui siamo arrivati a Pola. Abbozzano, ma è già arrivata ora di pranzo, e viste le  non poche difficoltà a trovare la casa di Endrigo, ci decidiamo a pranzare in uno dei tanti ristorantini che affollano il centro storico di Pola.

Lo ammetto, la comune decisione di riprendere le ricerche dopo pranzo, per me è come la sconfitta di Dario a Maratona o, peggio, come un derby perso 2-0 con entrambe le reti in fuorigioco. Infatti, per quanto mi riguarda, avrei volentieri rinunciato a saziarmi, pur di continuare l’estenuante ricerca, però nulla si può contro il bi-appetito dei miei amici. Allora, ci sediamo, consumiamo un ottimo pranzo di pesce, bagnato da un piacevole vino locale e girovaghiamo per il centro storico, consci che prima o poi quella casa l’avremmo trovata.

 

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Questo è perlomeno il pensiero di Valerio, un pensiero vagamente consolatorio che però non riesce ad addolcire la mia delusione: finora di Endrigo nessuna traccia, e le vaghe indicazioni finora ricevute, anche dentro il ristorante, sono ambigue e illusorie. Così, nella piazza principale di Pola, scorgo un ufficio turistico, e pur non essendo molto propenso alla socializzazione, entro: la ragazza parla un ottimo italiano, è carina, ma di fronte alla mia domanda, non sa cosa rispondere e, con lieve imbarazzo, mi congeda con un sorriso abbozzato. Solo grazie al roaming internazionale, Valerio, collegato alla linea slovena, riesce a trovare la foto di un monumento costruito in omaggio a Endrigo nei pressi della sua casa natale e, più deciso di prima, torno dalla ragazza dell’ufficio turistico, stavolta con una preziosa immagine fotografica da mostrarle.  Alla ragazza le si illuminano gli occhi e, dallo sguardo, riesco a capire che è fatta, che ci siamo; infatti, dopo aver visto la foto, prende una cartina, con una bic mi segna il tragitto sulla cartina e, in pratica, capisco che dobbiamo tornare indietro, nei pressi dell’Arena, nella zona dove eravamo appena giunti a Pola.

 

Stavolta non possiamo sbagliare e, più o meno alle tre e mezza del pomeriggio, mentre il cielo si fa sempre più funesto e minaccia pioggia, riusciamo a trovare la casa e il parco che hanno dedicato a Endrigo, proprio nei pressi dell’Arena. Più che di un parco, si tratta di un giardino, un piccolo e delizioso giardino, con al centro una scultura ispirata all’Arca di Noè, scultura che, dagli articoli letti, non doveva essere celebrativa del cantautore, quanto piuttosto un omaggio utile alla comunità polesana, in particolare ai bambini, che avrebbero dovuto giocarci, immaginando di essere proprio nella famosa arca, in compagnia degli animali, di un cane, di un gatto e…io e te.

Dietro alla scultura, la casa di Sergio, una dimora senza fronzoli, eppure dignitosissima, in cui il cantautore visse i primi quattordici anni della sua vita, prima che egli lasciasse la città istriana, passata dall’Italia alla Jugoslavia, per evitare di subire le persecuzioni antiitaliane messe allora in campo dai titini.

Sono commosso e gli occhiali scuri vorrebbero schermare non solo i miei occhi, bensì isolare totalmente la mia persona, chiusa ormai da qualche minuto in un intimo dialogo che va oltre il tempo e la separazione che vita e morte impongono. Mi risuonano nella mente alcune canzoni di Sergio e i momenti, belli e brutti, in cui la sua voce ha fatto da sottofondo; riesco, per qualche istante e con insolita facilità, a estraniarmi dalle conversazioni di Giampaolo e Valerio, che mi vorrebbero ora di qua, ora di là, nelle loro foto.

Invece, io sono avvolto in una sorta di misticismo, ripenso ai tanti chilometri fatti pur di

arrivare, alla stanchezza buona che recalcitra nelle ossa, come pure alla felicità di un piccolo grande traguardo a lungo agognato.

Ormai iniziano le prime gocce di pioggia, è tempo di ripartire.

Più o meno alle cinque ripartiamo, vediamo Pola, il porto, l’Arena prima, i megacentri commerciali della periferia poi, allontanarsi dai finestrini fino a svanire completamente, mentre Giampaolo, in sottofondo, allieta il nostro viaggio con un cd di Cerami e Piovani.

 

 

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Quando, superate le code del rientro, torniamo a Trieste, è quasi sera e le prime luci baluginano in un buio che diventa vasto, vastissimo, fino a inghiottire anche noi, la nostra Citroen, le nostre vite, echeggiate nelle canzoni, nei testi di Sergio, ancora lontano, per fortuna, dall’essere dimenticato.

 

 

 

Piergiorgio Viti

1 commento a Reportage. Fino a Pola per seguire le orme di Sergio Endrigo

  • Gilberto

    La statua dell’arca di noe’ è stata donata alla città di Pola grazie all’impegno dell’ing. Sergio Moretti di porto San Giorgio. L’opera è opera del compianto CIRO MADDALUNO, già preside dell’istituto d’arte di Fermo

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