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Poesia. Dopo quattro anni , torna Piergiorgio Viti con “Aperto per inventario”, una nuova raccolta di poesie

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A pochi giorni di distanza dalla presentazione del libro, il 13 aprile alle 21:45, presso la Libreria Passepartout di Recanati, abbiamo intervistato Piergiorgio Viti, poeta e insegnante sulla sua attività, sulla poesia, sulla sua nuova raccolta, “Aperto per inventario”, uscita di recente.

 

Dopo quattro anni di silenzio, torni, sempre per Pequod, con “Aperto per inventario”, una nuova raccolta di poesie che fa seguito a “Se le cose stanno così”. Quali sono le differenze tra le due raccolte, se ce ne sono?

Direi che c’è una continuità con “Se le cose stanno così”, com’è logico per chi segue un percorso proprio, una ricerca non tesa ad imitare qualcuno o uno stile o un modus esprimendi “di tendenza”. Sto seguendo una direzione, una strada, diciamo così, mia, e forse abbastanza rara per la poesia italiana (lo dico senza falsa modestia): non mi esprimo con ermetismi, né tantomeno in modo “lirico”.

Piuttosto, con “Aperto per inventario” sono uscito da una dimensione “italiana”, almeno credo, e mi affaccio a una dimensione tipicamente “internazionale”: in questo senso, mi sento in debito verso la letteratura europea e americana, mi stanno influenzando molto. Sto insomma virando verso una dimensione più narrativa, poematica, direi, che nella poesia italiana è piuttosto assente, o quasi, almeno nella tradizione più recente. Anche la dimensione ironica, propria di molti testi, surreale quasi, è una dimensione che manca nella letteratura italiana di oggi. In fondo, la poesia è un gioco. Un gioco consapevole, ma un gioco, così come certi aspetti della vita. Non la vita in sé, la vita in sé è tragica, ma alcuni aspetti della vita sono comici, surreali, grotteschi. E poi, vale la pena vivere senza prendersi in giro?

 

Che rapporto hai con i poeti contemporanei?

Ho poco tempo per i rapporti umani, che sono faticosi, da portare avanti. Lavoro, leggo, studio e scrivo molto (di recente ho portato in scena uno spettacolo dedicato a Sergio Endrigo, “La voce dell’uomo” e ringrazio l’Associazione Lo Specchio che mi ha dato una grande mano!), per cui ho pochi amici e pochi amici poeti che però stimo e che mi stimano; penso a Benini Sforza, Deidier, Pecora, Galluccio, Piccini; ma, onestamente, non sono uno di quelli che alza il telefono e li invita a fare un aperitivo. Vivere nelle Marche è anche questo, purtroppo. Alcune volte le distanze sembrano insormontabili. Vivere qua vuol dire essere tagliato fuori, soprattutto dagli eventi che si svolgono in città come Roma, Milano, Torino. Siamo, purtroppo, la periferia della periferia e questa dimensione, così “provinciale”, è foriera di ispirazione ma anche di frustrazione, come ci insegna Leopardi, tanto per fare un nome…

 

Parlavi de “La voce dell’uomo”, uno spettacolo che hai scritto in omaggio a Sergio Endrigo e che è andato in scena in diversi teatri delle Marche. Com’è andata questa esperienza?

Non è stato semplice, per mille ragioni. In primis perché mi sono cimentato in una dimensione “performativa” che non è, ancora direi, nelle mie corde. Però, confrontarsi con un pubblico, oggi, è fondamentale, non tanto per un riconoscimento sociale, quanto perché la poesia, la scrittura, hanno bisogno di pervasività, di capillarità. Fino a qualche anno fa pensavo che scrivere poesie chiuso in una cameretta fosse tutto quello che potevo fare. Oggi, a quarant’anni, penso che il mio ruolo sia non solo quello di scrittore, di poeta, ma anche di intermediario tra quello che scrivo e il pubblico, che tutto sommato mi apprezza e lo dimostra scrivendomi in privato, comprando i libri, chiedendo se i miei testi sono davvero miei (ahaha, ride).

 

Cosa ti aspetti da “Aperto per inventario e quali sono i tuoi prossimi obiettivi futuri?

Continuare a coltivare la mia “cerchia” di lettori, che mi apprezza e mi segue. Continuare a seguire la mia strada, senza stare a sentire i critici, anzi fregandomene un po’ di quello che dicono. Perché la poesia è questione privata, è come mettersi a nudo. Puoi piacere o non piacere, ma è il tuo corpo, la scrittura è il tuo corpo e nessuno può dirti come il tuo corpo debba essere o non essere.

 

Terminiamo con una considerazione sui 200 anni dell’Infinito di Leopardi, visto che il 13 aprile torni a Recanati, alla Libreria Passepartout, per presentare il tuo libro

Sì, insieme a Luigi Ferrara, che mi accompagnerà al piano, e Veronica Fermani, che farà gli onori di casa, faremo una piccola, ma preziosa performance, con alcuni testi di “Aperto per inventario” alla Libreria Passepartout.

Per Recanati questo anniversario è un’occasione irripetibile, ma spero anche che non diventi la solita occasione persa per una condivisione, una progettualità, che si vada oltre “la copertina” e che ci siano delle ricadute sui recanatesi e su Recanati. La poesia, il mondo, stanno cambiando. Parlare di poesia da una cattedra, come purtroppo si sta facendo un po’ dappertutto, vuol dire mortificarla, vuol dire stabilire una distanza, innalzare un muro. Invece la poesia andrebbe portata tra la gente, andrebbe “s-mitizzata”, in primis coltivando una capacità all’ascolto, educando all’ascolto, andando anche controcorrente, perché oggi tutti si parlano addosso, dicono, ma senza ascoltarsi e a volte senza nemmeno avere qualcosa da dire…

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