Il Teatro-Canzone – dice quella definizione – è un genere espressivo legato alla teatralità, alla parola e alla musica. La sua struttura è costituita da un’alternanza di canzoni e monologhi o, più precisamente, di parti cantate e recitate che ne caratterizza la specificità e al tempo stesso lo definisce come genere teatrale autonomo. Una evoluzione organizzativa, un nuovo impegno che porta l’ associazione lo Specchio a realizzare una edizione speciale di Versus rassegna di confronti poetici di Recanati in occasione delle celebrazioni legate al nostro poeta Giacomo Leopardi per il 2019.
Il grande repertorio di Endrigo infatti è composto sopratutto da canzoni d’amore e questo ben si inserisce nel futuro cartellone delle iniziative del bicentenario della pubblicazione dell’Infinito leopardiano.
A Piergiorgio Viti, poeta e in questo caso voce narrante e regista de “La voce dell’uomo” – tributo a Sergio Endrigo, che sarà in scena a Villa Colloredo Mels domenica 20 gennaio alle ore 17, abbiamo chiesto un parere sul cantautore istriano:
“Sergio Endrigo è un amico che ti parla della sua vita. Di questa parola, “amico”, ho sempre apprezzato, oltre che il suono, così discreto, elegante, malleabile, doti ideali per un amico, la radice “am”, che appartiene anche alla parola “amore”. Quindi, parlando di Endrigo come di un amico, ne rivelo, implicitamente, una certa dose di affetto. Sarà perché, dopo averlo scoperto un po’ per caso, ascoltando una radio locale, mi è stato vicino in molti momenti della vita, non sempre facili, a dire il vero.
Nelle sue parole, sin dal primo ascolto, avvenuto in un pomeriggio autunnale durante un pausa dallo studio, ho trovato una naturalezza, una semplicità (non banalità, attenzione!) che sono così atipiche nella musica leggera (sic!) italiana. I suoi testi sono abissali, pur dietro quella apparente semplicità e questo è, appunto, il suo carattere identificativo, la sua cifra direi: saper scrivere in modo essenziale, senza usare vacui ermetismi né cadere nel greve delle rime da due soldi (cuore/amore, per intendersi). Gli arrangiamenti, in particolare in alcune canzoni (Bassi fondali, Canzone per te, Il giardino di Giovanni, tanto per citarne alcune), pur riproponendo i moduli tipici di quegli anni, sembrano voler spaziare, andare verso il jazz, la musica lirica/operistica o sfiorare le sonorità più prossime alla musica sudamericana, musica che Endrigo conosceva e amava molto. Insomma, Sergio sfugge a ogni definizione: non è solo un cantautore, come qualcuno lo ha etichettato, è molto di più, è uno sperimentatore instancabile, come quando decide di mettersi a scrivere canzoni per bambini, che al suo orecchio risultavano deludenti e monotone. Pur non essendo impegnato “politicamente”, come molti cantautori dell’epoca (Dylan, per esempio, o i nostrani Gaber, De André, Stefano Rosso, Guccini ecc.), proprio nel suo disimpegno, si apre un ventaglio di tematiche quantomai vicine al nostro vivere quotidiano: l’amore, l’addio, le donne, il gioco del corteggiamento, la solitudine, il rimuginìo ecc. Questa continua ricerca, ultratrentennale, sia nel versante scritturale, che in quello musicale (Rodari, Pasolini, Toquinho, Vinicius de Moraes sono stati solo alcuni dei suoi compagni di viaggio!) ha fatto di Endrigo un “unicum” nella musica italiana, in quanto uomo/artista sfuggente, liquido, in grado di andare “oltre” le volontà classificatorie della stampa e della critica specializzata e, più spesso, “oltre” il già detto, il già sentito.”
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