Gian Carlo Caselli Magistrato
La lettera di Matteo Salvini al “Corriere della sera” espone con chiarezza e precisione il punto di vista del ministro. Voglio e debbo restare estraneo al merito della questione, perché un giudizio è in corso e va rispettato. E non è una comoda clausola di stile, ma una valutazione corrispondente alle peculiarità del caso concreto. Alcune considerazioni a margine – di carattere generale ed astratto – sono tuttavia possibili.
E’ positivo innanzitutto che il ministro abbia esplicitamente dichiarato: “Non intendo sottrarmi al giudizio”. Troppe volte, nei decenni passati, si è registrata un’anomalia tutta italiana, il rifiuto del processo e la sua gestione come momento di scontro (per contestarne in radice la legittimità) da parte di “pezzi” di Stato. Una scelta che nega il vero garantismo, quello per cui le garanzie o sono veicolo di eguaglianza o si degradano a strumento di privilegio.
Ciò detto, nel considerare la questione in oggetto è opportuno partire (poi ciascuno ne trarrà le conseguenze che crede) dal principio generale sancito nell’art. 1 (1° comma) della Carta fondamentale: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Significa affermare la necessità, in ogni potere democratico, di limiti prestabiliti e l’esistenza di una “sfera non decidibile”, quella della dignità e dei diritti di tutti (tutti!). Tale sfera è così sottratta al potere della maggioranza e presidiata da custodi estranei al processo elettorale, ma non alla democrazia: in primis, la magistratura, in quanto incaricata del controllo di legalità anche sull’esercizio dei poteri pubblici.
In altre parole, il primato della politica è incontestabile, ma non assoluto. Altrimenti “l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare, di perdere il senso del servizio e di fare invece acquisire il senso del dominio”. Ed è per questo che la Costituzione prevede un sistema di bilanciamento dei poteri ( checks and balances) allo scopo di realizzare un potere politico controllato. Non più il mito giacobino secondo cui “il corpo sovrano non ha alcun bisogno di dare garanzie ai sudditi”, un mito che nella prima metà del Novecento ha generato mostri e tragedie.
Un altro principio generale ci ricorda che per giudicare occorre interpretare, cioè scegliere fra diverse opzioni possibili in base al testo della norma e al sistema in cui essa si inserisce. E scegliere significa inevitabilmente privilegiare alcuni elementi di valutazione rispetto ad altri ugualmente possibili. Si tratta di una costante di ogni attività interpretativa, che però diviene di assoluta evidenza quando si tratta di determinare concetti generici o mutevoli nel tempo. Gli esempi scolastici, a tutti noti, riguardano il buon costume, l’onore, il prestigio, l’ordine pubblico, la sicurezza e il giustificato motivo. Ma non è un elenco “chiuso”. Potrebbero farne parte anche altri concetti, per esempio le formule di legge citate nella sua lettera dal ministro Salvini: “Tutela di un interesse dello stato costituzionalmente rilevante” e “perseguimento di un preminente interesse pubblico”. Formule da interpretare con equilibrio e saggezza, soprattutto in tempi come gli attuali di slogan, pregiudizi e semplificazioni.
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