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Porto Recanati. PREMIO “LA GINESTRA” 2018 OLTRE LA SIEPE

Fonte internet

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di Carlo Trevisani

Giacomo Leopardi scrisse l’idillio “L’Infinito” nel settembre del 1819, all’età di 22 anni. Da ciò consegue che nel settembre del prossimo anno ricorrerà il bicentenario di quello che è considerato, non a torto, il massimo capolavoro della poesia leopardiana. In vista di tale anniversario è stato costituito il Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario de L’Infinito di Leopardi, alla cui Presidenza è stato autorevolmente designato il nostro illustre conterraneo Ambasciatore Giuseppe Balboni Acqua, che ci ha fatto l’onore di accettare il conferimento del “Premio La Ginestra” 2018, e che sarà nostro graditissimo ospite nella cerimonia di premiazione che avrà luogo presso la sala della pinacoteca comunale del Castello Svevo, il giorno di domenica 16 dicembre, alle ore 17,30. La motivazione del premio si fonda sulla prestigiosa carriera diplomatica del premiato, e sul ruolo autorevole conferitogli in vista del bicentenario dell’Infinito, ma affonda le radici sui rapporti amichevoli intercorsi tra la famiglia Leopardi e la famiglia Acqua, nei cui archivi si conserva una lettera in cui Monaldo Leopardi annunciava la nascita del primogenito Giacomo (29.06.1798) alla nobile famiglia osimana. L’Infinito è il primo dei Canti in cui Leopardi introduce l’abbinamento, poi ricorrente, tra pensiero e poesia, che diverrà il connotato saliente delle sue opere migliori. Il luogo dell’azione è l’“eremo colle”, ubicato ad ovest del palazzo avito, da cui si domina l’incomparabile paesaggio dei “monti azzurri”, la cui vista, fino all’estremo orizzonte, è preclusa da una siepe, che assume il ruolo di una quinta suscitatrice, nel pensiero del poeta, seduto a guardare, di “interminati spazi”, di “sovrumani silenzi” e di “profondissima quiete”, la cui dimensione incommensurabile provoca un senso di sgomento che attanaglia il cuore. Subentra, ad un tratto, lo stormire del vento tra le fronde degli alberi, che rompe l’“infinito silenzio”, immaginato, ponendolo a raffronto con quel rumore reale, e che evoca il pensiero dell’eternità, assommando il tempo trascorso delle “morte stagioni”, con quello del tempo presente vissuto dal poeta. La somma di tali sensazioni di immensità provoca una sorta di vertigine cosmica, che sommerge in un dolce naufragio il pensiero del poeta. Al tono sereno del componimento, ancora connotato di residue sensazioni positive, espresse dagli aggettivi “Caro” e “dolce”, fa già da sfondo amaro l’inesorabile, implicito raffronto, tra la caduca limitatezza della dimensione umana, e l’infinita prospettiva dell’assetto naturale dell’universo, che anticipa il tema centrale dei successivi sviluppi della poesia e del pensiero leopardiano, contraddistinti dalla polemica verso la “natura ognor verde,” “madre di parto, e di voler matrigna”.  Carlo Trevisani

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