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Libri. Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine

Fonte internet

Fonte internet

Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine

di DéborahDanowski e Eduardo Viveiros de Casteo

Trad. Alessandro Lucera e Alessandro Palmieri

Antropologia e filosofia

Nottetempo Milano

2017 (orig. 2014).

Pag. 292euro 17

Valerio Calzolaio

Pianeta Terra. Antropocene. La fine del mondo è un tema apparentemente sconfinato (almeno finché non accadrà). Il registro etnografico restituisce una varietà di modi in cui le culture umane hanno immaginato la disarticolazione dei cardini spazio-temporali della storia. Oggi stiamo davvero rischiando, non sono solo le scienze naturali e la cultura di massa che se ne alimenta a registrare la deriva del mondo: religioni, metafisica, cinematografia, letteratura, immaginario e paure collettive riverberano questa diffusa inquietudine e le distopie proliferano. Antropocene è la denominazione proposta per designare la nuova epoca geologica che segue l’Olocene e che sarebbe iniziata con la Rivoluzione Industriale, per poi intensificarsi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una filosofa ecologista e un antropologo sociale, entrambi brasiliani, presentarono oralmente questo testo a Tolosa il 21 dicembre 2012 (giorno della Fine secondo un presunto “calendario maya”), poi divenuto anche saggio di una raccolta di scritti. L’edizione portoghese risale al 2014, la traduzione italiana al 2017 (la breve specifica prefazione segnala solo poche correzioni e aggiornamenti). Il primo capitolo illustra i termini oggettivi del problema: i confini planetari di nove processi biofisici in via di raggiungimento, l’accelerazione delle alterazioni ambientali con un tasso percepibile nell’arco di una o due generazioni, la prospettiva scientifica di una qualche estinzione di massa. E, sembra, come specie non abbiamo la minima idea di cosa dobbiamo fare per garantire a tutti sopravvivenza e riproduzione. Il tempo dell’Apocalisse è interessante, in effetti.

La migrazione dal mondo (l’attuale pianeta Terra) non è la principale delle alternative prese in considerazione negli ultimi decenni da ecologi, antropologi, filosofi per far fronte alla “fine del mondo”. Sono emersi ragionamenti, oltre che annunci, su: un mondo ancora (finalmente per qualche specie!) senza umani (come accadde oltre sei milioni di anni fa); un mondo senza più fattori biotici (come accadde oltre quattro miliardi di anni fa), tutti estinti dagli umani (senza che qualcuno di noi riesca a migrare e, nemmeno, a raccontarlo); un altro mondo ricreato popolato da un altro popolo o da altri popoli umani; un mondo diversamente resiliente. Vedremo (forse). Per elaborare una griglia critica di ipotesi e letture, i restanti sette capitoli del bel libro prendono in esame la letteratura no fiction (scientifica) e fiction sulla materia. Con notevole capacità di introspezione, di comparazione, di approfondimento. Sono molto attenti a termini e definizioni, evitano enfasi catastrofistiche e destinano saggiamente alle altre specie reti, luoghi, scale e dimensioni molto lontane dalla nostra giurisdizione epistemologica e immaginazione tecnologica. Peccato non citino né Margaret Atwood, la straordinaria competente scrittrice canadese che molto ha fatto riflettere sulle distopie e ha coniato il termine cli-fi, né il grande biologo Edward O. Wilson che un paio d’anni fa ha lanciato il progetto almeno “mezzo mondo”, Half Earth, lasciare i fattori biotici non umani “liberi” di evolvere come “credono” nel 50 per cento degli habitat. E nemmeno Leopardi. In fondo, prima di una ricchissima bibliografia interdisciplinare, si rivolgono alla sinistra, alla frattura fra chi punta un poco sull’intransigenza locale e chi fa troppo i conti con la complessità globale. Insistono, però, sulle innumerevoli entità, lignaggi e società non umane che costituiscono il pianeta, sui numerosi mondi nel Mondo, sulla possibilità di credere nel mondo attraverso un necessario “incessante ridivenire-indio” (soprattutto in Brasile).

 

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