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gliannisessanta. Il guerrigliero eroico, Ernesto Che Guevara.

Fonte Internet

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Che Guevara, l’uomo che nella Cuba post rivoluzionaria divenne uno dei capi storici più autorevoli e potenti, era solo un giovane medico da poco laureato, prima di intraprendere la lotta armata sulla Sierra Maestra insieme a Fidel Castro. Nato in Argentina da una famiglia borghese, Ernesto Guevara De La Serra aveva tutte le carte in regola per diventare rapidamente un medico con una buina posizione sociale, se non avesse cominciato, appena terminato gli studi, ad interessarsi di politica.  Partito dalla sua terra per un viaggio d’istruzione, in autostop, si recò dapprima in Bolivia ai tempi del movimento nazionalista (1952), poi in Guatemala dove poté assistere all’offensiva lanciata dalla United Fruit Company contro il colonnello Arbenz, responsabile di aver danneggiato con la riforma agraria del 1953 gli interessi economici della grande compagnia nord americana. Dopo la caduta del regime, riparò in Messico dove conobbe Fidel Castro. Dal Messico, assieme a Fidel, partiva alla volta di Cuba e da qui, dopo il tragico sbarco sull’isola sulla Sierra Maestra, per continuare la guerriglia contro il regime di Fulgencio Batista. Nel gennaio del 1959 entrava trionfalmente a Cuba con Fidel Castro e nel governo provvisorio, presieduto da Fidel, ricoprì la carica di ministro e direttore del Banco Central Cubano. Nel 1960 pubblicava il libro “Guerra e Guerriglia” dove tracciava la strategia politica e militare della rivoluzione cubana. Dall’esperienza cubana affermava il Che era possibile trarre tre insegnamenti di valore generale: “Le forze popolari possono vincere una guerra contro l’esercito, non si deve attendere che si producano tutte le condizioni favorevoli, perché il “Foco” stesso dell’insurrezione può crearle, nell’America sottosviluppata, il terreno della lotta armata deve essere fondamentalmente la campagna”. In breve, il medico argentino affermava che non era necessario attendere la completa maturazione di una situazione rivoluzionaria, perché il coraggio, la volontà di battersi potevano supplire alle condizioni oggettive che mancassero. La vocazione rivoluzionaria era troppo forte perché Che Guevara potesse rimanere tranquillamente a Cuba. Declinato l’incarico di ministro, partiva alla volta della Bolivia con l’intento di aprire anche qui un fronte guerrigliero contro l’oligarchia al potere asservita al grande capitale nord americano e interessata solo a difendere i propri privilegi. Da quando il Che partiva da Cuba, nell’aprile del 1965, per la Bolivia, diventava il fantasma che si aggirava per tutta l’America Latina. Il 23 marzo del 1967, in un’imboscata a Mancahuazù, perdevano la vita parecchi effettivi dell’esercito. Il fatto fece subito sospettare la presenza in Bolivia di Che Guevara che non aveva per altro ancora assunto il comando delle forze guerrigliere guidate dai fratelli Peredo e Coco e da Inti.

Messaggio di Che Guevara.

Da Cuba, il 16 aprile 1967, era diffuso intanto il messaggio del Che ai popoli del terzo mondo in cui analizzava spietatamente la cosiddetta pace e concludeva che “Contro l’internazionalizzazione del crimine e del tradimento non rimaneva altro che creare due, tre, molti Vietnam” per raggiungere il fine strategico di ogni rivoluzionario, la fine dell’Imperialismo. La Bolivia veniva citata come uno di questi possibili fronti che avrebbero messo in scacco gli USA. In Bolivia, il Che assumeva il comando di una delle due colonne di guerriglieri e muoveva all’attacco, nel luglio del 1967, della città di Samaipata, importante nodo della strada statale Cochabamba – Santa Cruz, occupandola per alcune ore. L’azione di Samaipata chiudeva la fase ascendente della guerriglia boliviana ed era l’ultima vittoria di Che Guevara che cadrà sotto il piombo dell’esercito boliviano il 9 ottobre dello stesso anno (1967). Aveva scritto nel suo diario: “In qualsiasi luogo ci sorprenda la morte sia essa benvenuta, purché quel nostro grido di guerra sia giunto ad un orecchio ricettivo ed un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi ed altri uomini si preparino ad intonare i canti di lutto col fragore delle mitragliatrici e con nuove grida di guerra e di vittoria”. La morte contribuì a fare del Che l’eroe per antonomasia, il combattente irriducibile. Il suo mito è rimasto per molto nel cuore di molti giovani. Il suo nome veniva scandito più volte nel corso delle manifestazioni studentesche per tutto il ’68, come il simbolo della rivolta contro tutte le ingiustizie. Le parole della canzone “Hasta siempre” furono nel cuore e nella mente di molti giovani degli anni sessanta. Quasi ogni manifestazione studentesca, assemblea o corteo, erano soffocati dalle parole del canto, alternato con slogans e parole d’ordine.

Errori di valutazione.

Che Guevara, compagno di Fidel Castro con il quale aveva condiviso i giorni esaltanti dell’avventura cubana, rimase fedele fino all’ultimo al modello castrista della lotta contro le oligarchie economiche e politiche. La rivoluzione cubana era riuscita perché si era fatta della guerriglia contadina la principale forma di lotta e si erano recuperate al fronte antibatistiano tutte le forze politiche non compromesse con la dittatura. L’euforia della vittoria cubana aveva fatto credere a molti leaders di movimenti guerriglieri di tutta l’America Latina che non occorreva più giungere a compromessi con nessuna forza, poiché la vittoria doveva nascere dalla canna del fucile. In questo si peccò di presunzione e di eccessiva fiducia nell’azione militare come più importante di quella politica. A Cuba, i Castristi avevano vinto perché avevano avuto a che fare con un esercito semi mercenario, corrotto, cialtrone e inefficiente. In altri paesi dell’America Latina scossi dal fronte guerrigliero, le cose stavano diversamente. Gli eserciti, anche per il merito dell’addestramento USA, erano molto professionalizzati; in più se gli USA, durante la rivoluzione cubana erano rimasti a guardare, tutto faceva ritenere, come ebbe a dire anche Che Guevara, che in occasioni simili avrebbero agito diversamente. E la prova venne con i disordini scoppiati a Santo Domingo nel 1965 dove era intervenuto direttamente il corpo dei marines. Lo slogan castrista “Creare due, tre, molti Vietnam”, se poteva essere patetico ed esaltante, era stato preso con molta serietà dal Pentagono, per quanto riguarda tutta l’America Latina che non era il lontano Vietnam, ma rappresentava, nella sua economia, i grandi interessi delle compagnie nord americane. Scuole antiguerriglia e consiglieri militari erano a disposizione dei governi minacciati. Nel libro “Guerra di guerriglia”, Guevara aveva scritto che la lotta armata ero uno strumento da adottare solo quando si erano esaurite tutte le possibilità di lotta politica. Ma tant’è, se era andata bene a Cuba, perché non doveva andare bene anche in Bolivia. E questo fu il primo errore di Che Guevara, nel pensare che la situazione boliviana fosse uguale a quella cubana. Il secondo errore del Che fu poi quello di aver scelto, come terreno della lotta contro gli interessi nord americani, la Bolivia, una regione abitata esclusivamente da contadini beneficiari della riforma agraria varata dal governo nel 1953. La vera forza rivoluzionaria boliviana era costituita dai minatori concentrati sull’altipiano. Anche questa inesatta valutazione della situazione boliviana fu una conseguenza della posizione castrista emersa alla prima conferenza dell’Organizzazione Latino -Americana, tenuta all’Avana il 31 Luglio del 1967. Era nella guerriglia contadina la principale forma di lotta, respingendo a priori la possibilità di alleanze con la borghesia nazionale, definita serva dell’Imperialismo. Il destino di Guevara fu quello di rimanere effettivamente isolato nel momento della lotta. Non ebbe l’appoggio dei contadini che si rivelarono anzi a volte dei delatori. L’esercito conosceva ogni sua mossa. Non aveva nessun contatto con Cuba. Era disperso nella foresta, mentre cercava disperatamente di unirsi, con un pugno di uomini, all’altra colonna di guerriglieri guidata da Yoaquin, annientata in un’imboscata il 31 Agosto del 1967 a Vado del Yeso, a seguito della delazione di un contadino. Gli ultimi mesi di vita del Che furono davvero un calvario. Continuamente soggetto ad attacchi d’asma causati dall’adattamento a sbalzi di temperatura diversi, alle prese con la disciplina interna al gruppo che guidava, venne tradito da una famiglia contadina che rivelò il suo rifugio alle autorità militari che intervennero tempestivamente. Il Che fu catturato vivo, anche se ferito. Era il 9 ottobre 1967. Fu freddato con un colpo al cuore presso l’ospedale di Valle Grande e il suo corpo fu mostrato ai giornalisti.

Il dovere di ogni rivoluzionario è fare la rivoluzione”, aveva scritto Che Guevara. I rivoluzionari di Guatemala, Colombia, Venezuela, Perù risposero all’appello. Ben presto però fu il tracollo. Turcios Lima moriva in un incidente stradale in Guatemala, Luis De La Puente Uceda moriva in combattimento nel 1965 sulle montagne peruviane. Camilo Torres Restrepo moriva anche lui in combattimento nel 1966. Che Guevara moriva in Bolivia nel 1967. Divisioni all’interno dei vari fronti guerriglieri, il fascino della rivoluzione cubana riuscita, l’aver sopravvalutato il fattore militare su quello più propriamente politico, furono le cause delle sconfitte registrate dai veri fronti di guerriglia per tutti gli anni sessanta.

Raimondo Giustozzi

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