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Cultura. 68 IN PRESA DIRETTA. Quale canzone d’autore per la Milano degli anni sessanta del novecento.

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68 IN PRESA DIRETTA  per i tantissimi che all’epoca non erano ancora nati  per quelli che invece c’erano ma non ricordano più bene

Era il 1964 quando il cantautore Gino Paoli presentò per la prima volta  «A Milano non crescono i fiori». Una poesia, amara. Diceva così: “A Milano non crescono fiori,/ in quei prati che prati non sono, /sono finti e non hanno profumo,/ sotto un cielo che cielo non è./ Ma dove vanno gli innamorati per dirsi/ quello che voglio dire a te?/ Devi venire nel mio paese dove c’ è /il sole che brillerà per te. /L’ altra sera volevo baciarti/ non ho potuto farlo perché/ ci presero nome e cognome/ in un prato che prato non è/ ./ Ma dove vanno gli innamorati per dirsi/ quello che voglio dire a te?/ Devi venire nel mio paese dove c’ è /il sole che brillerà per te. (Gino Paoli). Quale canzone, quali parole, quali melodie, quali atmosfere di Milano? «O mia bela Madonina», scritta in un giorno felice del 1935. E se invece il repertorio più adatto fosse quello di Milly, di Maria Monti, di Dario Fo, di Nanni Svampa o di Ornella Vanoni? Magari la Vanoni alle prese con le canzoni della mala, con la struggente «Ma mi», scritta nel 1958 da Fiorenzo Carpi, con le parole di Giorgio Strehler. Musica di Milano, delle strade, delle periferie, delle fabbriche, delle osterie, dei grandi magazzini, della nebbia che entra sin dentro al cuore. La musica di Giorgio Gaber con la sua «Porta Romana bella» e le ragazzine che fanno sognare oppure quella di Adriano Celentano e «Il ragazzo della via Gluck», quando il cemento ridisegnava la città. Milano, la più vera, la più autentica, la più sincera, potrebbe invece essere quella di Enzo Jannacci, con il suo barbone che portava le scarpe da tennis, con il palo della banda dell’ Ortica o con Vincenzina e la fabbrica. E se fosse invece la rabbia e la malinconia di «Luci a San Siro» del professor Roberto Vecchioni la colonna sonora immortale di Milano?

Il BOOM INDUSTRIALE

 

Accanto al boom industriale, le grandi città del nord, sul finire degli anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta, conoscono un incremento demografico senza precedenti. I quartieri periferici e le cinture industriali crescono quasi sempre in modo disordinato: prima le fabbriche, poi le case e per ultimi i servizi: scuola, strade, piazze, uffici. Il verde scompare quasi del tutto, come canta con lucida provocazione Adriano Celentano nella famosa canzone “Il Ragazzo della via Gluck”

 

L’EMIGRAZIONE DAL SUD VERSO IL NORD  ITALIA

 

Il mondo della canzone da solo non basta a definire il quadro storico – sociale dell’Italia degli anni sessanta, che è diventata ormai una potenza economica ed industriale, collocandosi tra le prime dieci nazioni più industrializzate del mondo occidentale. Ma, a beneficiare di questa industrializzazione è solo il Nord. Nel Sud permangono invece tecniche e rapporti di produzione antiquati. La povertà di risorse naturali e l’assenza di capitali poi non facilitano il sorgere spontaneo di una industria consistente. E’ l’antico male delle terre meridionali. L’intervento dello Stato, con la costituita Cassa del Mezzogiorno (1950), risulta insufficiente. In più, le aziende del nord preferiscono utilizzare il Sud come un serbatoio di forza lavoro, da cui attingere liberamente. Da qui il grande flusso migratorio dal Sud al Nord, flusso che porta milioni di lavoratori meridionali a trasferirsi nelle principali città del Settentrione. E’ un fenomeno drammatico che costringe gli immigrati a vivere dall’oggi al domani in un ambiente totalmente diverso, ammassati nelle periferie delle città ed accolti dall’ostilità quasi generale. Non solo Sergio Endrigo, uno dei cantautori genovesi degli anni sessanta, canta il dramma di chi “va a scordare il sole”, lassù nel nord, ma anche il cinema dibatte nei film più rappresentativi questo fenomeno. “Ahimè questa nuova questa grande società, non si farà, non si farà. Profetico Endrigo, sempre più barricati in un benessere, fatto di cose possedute e consumate in un attimo, questo capitalismo ha distrutto in un colpo due grandi utopie: il Cristianesimo ed il Socialismo e si sta mangiando il pianeta”.( da un commento su Youtube)

ROCCO E I SUOI FRATELLI

 

“Rocco e i suoi fratelli” è un film di Luchino Visconti. E’ la storia della disgregazione morale di una povera famiglia meridionale trasferita nel “miracolo economico” di una metropoli industriale del Nord. La città di Milano del boom troppo breve fa da sfondo ad amori, violenze, e speranze e disperazioni, fino al trionfo finale di Rocco, vincitore nell’incontro di pugilato al quale affida le sorti di una carriera sportiva ed al fallimento del fratello Simone che uccide la prostituta Nadia in un prato della periferia milanese.

 

Trama del film
La vedova Rosaria Parondi (Katina Paxinou), lascia con i suoi quattro figli, il paese in cui era nata nella Lucania, per trasferirsi a Milano. Qui vive già il figlio maggiore Vincenzo (Spiros Focas).  Questi costretto dalla madre ad occuparsi della famiglia, pregiudica il suo futuro matrimonio.  La famiglia trova una sistemazione in un seminterrato in periferia, conoscono Nadia (Annie Girardot), una ragazza di strada, che prospetta loro la possibilità di arricchirsi con la boxe. Simone (Renato Salvatori) si dedica con passione alla nuova professione ma dopo un incoraggiante inizio, finisce per entrare negli ambienti della piccola malavita. Rocco (Alain Delon) ha trovato lavoro in una lavanderia, Vincenzo ha un impiego temporaneo, Ciro (Max Cartier) diventa un operaio specializzato, e Luca (Rocco Vidolazzi), il più piccolo dei fratelli cerca di guadagnare qualche soldo con lavoretti. Simone intanto ha una relazione con Nadia ma lei lo lascia ben presto e dopo qualche tempo viene arrestata. Mesi dopo, Rocco parte per il servizio militare e nella piccola città di provincia, dove lo sta svolgendo, ritrova Nadia. Tra i due fiorisce un sincero affetto e rientrati a Milano vogliono cominciare una nuova vita. Quando Simone scopre la relazione, violenta la ragazza e picchia il fratello. Rocco sentendosi in colpa con il fratello rompe la relazione con Nadia e si dedica al pugilato. Ma gli imbrogli di Simone portano la famiglia in disgrazia e Rocco è costretto ad accettare un contratto con l’impresario della boxe che aveva subito un furto da Simone. Allontanato dalla famiglia cerca di riconquistare Nadia ma al suo rifiuto la uccide. Confessa l’omicidio ai fratelli ma mentre Ciro lo vuole denunciare, Rocco e gli altri cercheranno di proteggerlo, inutilmente, in quanto scoperto dalla polizia ed arrestato.

 

L’ALLUVIONE DI FIRENZE E “GLI ANGELI DEL FANGO”

Nel 1966 a Firenze alle 05:00 del 3 novembre il cielo si aprì riversando 18 ore di pioggia incessante sulla città: il disastro umano ed economico fu grande, quello artistico senza precedenti. Il fiume Arno ruppe gli argini, allagando la città e portando via con sé 34 vite umane tra tutta la provincia. L’alluvione di quell’anno fu definita come la più grande mai verificatasi dal 1557. L’amato fiume esondò espandendosi lungo gli angoli storici di Firenze, strade, cantine, case e palazzi, musei, chiese, giardini, parchi, tutto venne inondato dalle acque e sommerso dal fango. Famosa è oggi la targa di Via dei Neri, che ricorda il punto più alto raggiunto dalla piena: 4 metri e 92 centimetri. L’altezza dell’acqua stagnante e maleodorante variava nelle zone della città, mentre gli abitanti rimasero senza acqua per oltre tre settimane. Secondo le stime si parla di 4 milioni di libri, 14.000 opere d’arte e 18 chilometri di documenti danneggiati o distrutti dall’alluvione. Tutto venne ricoperto dal fango, e come il centro storico di Firenze, fu gravemente colpito anche l’intero corso del bacino del fiume e l’hinterland fiorentino. Secondo le stime di allora, Firenze venne alluvionata da una quantità d’acqua pari a 250 milioni di metri cubi. Serie esondazioni vennero testimoniate, tra le tante, anche nelle località di Empoli e Lastra a Signa, fino ad arrivare a Figline Valdarno, Montevarchi e all’intero tratto dell’Autostrada del Sole. Fango e acqua sommersero abitazioni, musei, chiese e biblioteche, rovinando molte grandi opere e mettendo Firenze in ginocchio. Tra le tante opere danneggiate, una delle più importanti tele di Cimabue, il Crocifisso, conservato nella di Santa Croce, andò perduto all’80%.

Lo Stato intervenne dopo sei giorni, non così i giovani che arrivarono immediatamente da ogni parte del mondo. Accorsero francesi, americani, belgi, olandesi, svizzeri, australiani. Tra di loro c’erano ragazzi che poi sarebbero diventati famosi, da Ted Kennedy a Margherita Hack, da Gerard Schröder a Josckha Fischer, da Sergio Staino a Sandro Chia. L’attore inglese Richard Burton in perfetto italiano, benché non conoscesse la lingua, lanciò un appello dicendo “Firenze ha bisogno di noi tutti perché appartiene al mondo. Tutto ciò che possiamo fare, lo faremo, in modo che questa città, di cui tutti abbiamo tanto bisogno, torni a noi”. Scriveva Ted Kennedy, il fratello del più conosciuto J. F. Kennedy, presidente degli Stati Uniti d’America: “Vivo nel mondo, Firenze è anche la mia città”. Arrivarono a migliaia da ogni parte d’Italia a salvare il salvabile: chiese, palazzi, musei, biblioteche. Diedero prova di una abnegazione e di una mobilitazione civile senza precedenti. I capelloni rappresentarono la più secca smentita di quanti avevano parlato di “Gioventù traviata”, di quanti avevano definito i giovani come incapaci di suscitare interesse e di riserbare grandi sorprese. “D’ora innanzi”, scriverà Grazzini sul Corriere della Sera del 9 Novembre 1966, “Non sarà permesso a nessuno di fare dei sarcasmi sui giovani “beats”, chiamati affettuosamente “Gli Angeli del fango”, in un articolo apparso il 7 gennaio 1967 su “La Nazione”, il giornale di Firenze. L’accorrere spontaneo e massiccio di tanti volontari è ancora oggi considerato come il primo e più grande gesto spontaneo di solidarietà giovanile nell’età contemporanea. Gli studenti dell’Istituto Tecnico Pacinotti di Pisa, insieme al professore d’italiano (Corrado Ferretti), contribuirono al recupero di alcuni volumi della Biblioteca Nazionale di Firenze. Lo studente Carlo Topi ricorda dopo quarant’anni come i libri salvati, attraverso una complessa procedura, riprendessero pian piano vita “si poteva vedere come l’inchiostro riaffiorava e si poteva distintamente vedere il segno della penna sulla pergamena che aveva graffiato la pelle, [come] un tatuaggio che aveva salvato la memoria di secoli”. Lisa Young arrivava da New York e insieme al suo gruppo collaborò per il recupero dei libri alla biblioteca Nazionale, alla Certosa e agli Uffizi. Diana Wylde, proveniva da Londra e aiutò la città insieme ad altri migliaia di giovani e meno giovani, come Riccardo Romeo Jasinski, Paolo Gabrielli, Swietlan Nicholas Kraczyna, Paolo Monti, Diana e Daniele Fusi, Sonia Andrei, Agostina Governini e tantissimi altri ancora. Pistoia, Siena, Milano, Bari, Roma, Aosta, Reggio Emilia, Lucca, Olanda, Regno Unito, Spagna, Norvegia, Stati Uniti, sono solo alcuni dei luoghi di provenienza degli Angeli del fango, di coloro che letteralmente penetrarono nel fango che aveva seppellito la città, salvando con incredibile dedizione il prezioso patrimonio d’arte di Firenze.

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