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Traffico di migranti: un fermo a Macerata. Rivelazioni choc del pentito: «Organi espiantati e venduti»

 

Corriere

Corriere

di Giovanni Bianconi

Le rivelazioni del trafficante di esseri umani pentito che da un anno collabora con la giustizia italiana: «I migranti che non possono pagarsi il viaggio consegnati agli egiziani e uccisi per prelevarne gli organi da rivendere a 15 mila dollari l’uno»

«Talvolta i migranti non hanno i soldi per pagare il viaggio che hanno effettuato via terra, né a chi rivolgersi per pagare il viaggio in mare, e allora mi è stato raccontato che queste persone che non possono pagare vengono consegnate a degli egiziani, che li uccidono per prelevarne gli organi e rivenderli in Egitto per una somma di circa 15.000 dollari. In particolare questi egiziani vengono attrezzati per espiantare l’organo e trasportarlo in borse termiche». È l’aspetto più atroce che emerge dalle confessioni di Nuredin Atta Wehabrebi, il primo trafficante di esseri umani «pentito» che da un anno collabora con la giustizia italiana. Sulla base delle sue dichiarazioni, la Procura di Palermo ha ordinato il fermo di 38 persone accusate, a vario titolo, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati.

Il fatturato da milioni di euro

A parte l’accenno agli organi espiantati e venduti – di cui dice di aver saputo dai capi con cui ha lavorato in Libia, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdrurazak, oltre che da alcuni migranti sopravvissuti – Atta Wehabrebi si è dilungato nelle sue dichiarazioni sull’organizzazione di cui ha fatto parte, che stando alle cifre ricostruite ha «fatturato» milioni di euro. Nella sola estate del 2015 il gruppo criminale avrebbe gestito almeno sei sbarchi con i quali sono giunti a Palermo oltre 4.000 migranti, che dopo la traversata in mare vengono aiutati a fuggire dai centri di accoglienza per poi essere portati – dopo ulteriori pagamenti – a Roma o Milano, da dove proseguono il loro viaggio verso le destinazioni desiderate; principalmente la Germania, l’Olanda e la Scandinavia. «L’organizzazione – affermano nel loro atto d’accusa il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, l’aggiunto Maurizio Scalia e i sostituti Calogero Ferrara e Claudio Camilleri – opera come un vero e proprio network criminale, con diverse cellule operanti nei territori di riferimento, cui vengono attribuiti compiti specifici e determinati al fine di organizzare i viaggi e favorire così l’ingresso e la permanenza clandestina in Italia dei migranti; in un secondo momento viene organizzata la logistica per il loro allontanamento dal territorio italiano e raggiungere così la meta finale di tali viaggi, in genere un paese del Nord Europa, in cui il migrante raggiunge il suo gruppo familiare o amicale».

I falsi ricongiungimenti familiari

Un altro modus operandi, con viaggi molto meno rischiosi, è quello dei falsi ricongiungimenti familiari, ottenuti facendo figurare matrimoni inesistenti tra stranieri già legittimamente in Italia e persone con cui non hanno alcun legame. Si tratta di un sistema molto più sicuro e quindi molto più dispendioso, riservato alle categorie più abbienti. Il costo di ogni falso matrimonio con ricongiungimento familiare varia dai 10.000 ai 15.000 euro a persona, mostrando, spiegano gli inquirenti, «una vera e propria distinzione socio-economico anche all’interno del mondo genericamente indicato come quello dei ‘migranti’». I pagamenti avvengono tappa dopo tappa da parte dei parenti residenti all’estero, con il classico sistema money transfer, oppure attraverso il metodo cosiddetto hawala, cioè corresponsioni di denaro a distanza dietro garanzie, con l’appoggio di vari intermediari. I soldi vengono raccolti presso negozi o altri esercizi commerciali inseriti del sistema.

Dove passavano i soldi: il bar di Palermo e la profumeria di Roma

Il pentito ha fornito due indirizzi, dove gli investigatori della Squadra mobile palermitana e del servizio centrale operativo della polizia hanno riscontrato la veridicità dei suoi racconti: un bar a Palermo, in vicolo Santa Rosalia, gestito dall’etiope Sebsidie Tadele, e una profumeria a Roma, in via Volturno, a pochi passi dalla stazione Termini, gestito dall’eritreo Solomon Araya Gebremichael. Presso il bar palermitano, il giorno stesso e in quelli seguenti ad alcuni sbarchi fra maggio e luglio 2015, sono arrivati decine di migranti che, tramite il gestore del Bar, venivano contattati telefonicamente dall’estero da persone che li istruivano sull’arrivo dei soldi per pagare la tratta successiva del viaggio: prima verso Roma o Milano, a 50 o 100 euro per ciascuno e poi per l’estero. Nella profumeria di via Volturno sono state intercettate telefonate in cui si parlava di trasferimenti di denaro portato materialmente nel negozio, da trasferire in Sudan, a Dubai o altrove: per gli inquirenti sono i pagamenti dei viaggi ai trafficanti, nei quali i titolari dei negozi coinvolti svolgono il ruolo di intermediari trattenendo, ogni volta, il 10 per cento delle cifre, ha raccontato il pentito Atta Wehabrebi: «Solomon consegna ogni sabato 280.000-300.000 euro a Mikiele Gebremeskel (altri complice per cui è stato ordinato il fermo, ndr) dopo averli ricevuti presso la profumeria di via Volturno a Roma». Quando sono entrati nell’esercizio commerciale di Roma per installare micropsie e telecamere, i poliziotti hanno visto e fotografato mazzette di banconote e elenchi di nomi che – secondo l’accusa – rappresentano la contabilità occulta dell’immigrazione clandestina. Ad alcuni dei fermati è contestato anche il traffico internazionale di droga perché, assieme ai migranti, l’organizzazione faceva arrivare in Italia anche tipo di sostanza stupefacente chiamata chata o qat, proveniente dall’Etiopia.

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