
Imagoeconomica
di Rita Querzè
Reazioni a catena tali da riportare l’Italia in recessione. Un rallentamento della produzione stimabile in 4 punti in meno di Pil spalmati su tre anni (2017, ‘18 e ‘19). Questo l’effetto di una vittoria del No al referendum costituzionale di ottobre.
Un nuovo salto nella recessione
La stima arriva dall’ufficio studi di Confindustria. Che prevede — in caso di vittoria del No — una situazione di «caos politico». Con il presidente del Consiglio costretto alle dimissioni, impossibilità a formare un governo e quindi elezioni. La consultazione elettorale, però, per Confindustria non farebbe altro che consegnare il Paese a una fase di instabilità. Foriera di conseguenze negative sul piano economico: aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, aggravamento del credit crunch, aumento della spesa per interessi legata al finanziamento del debito pubblico, difficoltà del Tesoro a condurre in porto le aste dei titoli di Stato, fuga dei capitali. L’effetto di questo scenario sul Pil sarebbe il seguente: -0,7% nel 2017, -1,2% nel 2018, +0,2% nel 2019. Di fatto altri tre anni di recessione. Con una perdita complessiva di 1,7 punti di Pil. Mentre — sempre secondo l’ufficio studi di viale dell’Astronomia — la situazione sarebbe molto diversa con la vittoria del Sì: nello stesso triennio il Pil salirebbe del 2,3%. Da qui il divario di quattro punti percentuali che separa i due scenari. Ovviamente tutto questo aprirebbe una «questione lavoro»: 258 mila posti in meno con la vittoria del No a fronte di 319 posti in più rispetto a oggi se la spuntasse il Sì.
Le reazioni della politica
Prevedibili le reazioni politiche allo scenario tracciato da Confindustria. A partire dal fronte del No. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera: «I burocrati dell’ufficio studi di Confindustria non sanno quello che dicono e usano da disperati l’arma finale del ricatto verso i cittadini». «Quelle previste da Confindustria in caso di vittoria del Sì sono le dieci piaghe d’Egitto, mancano solo le cavallette», scherza ma non troppo il senatore della Lega Roberto Calderoli. Mentre il capogruppo dei deputati di Sinistra italiana Arturo Scotto parla di «terrorismo sul risultato del referendum». Dal canto suo il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha spiegato che sul referendum costituzionale «Confindustria deve schierarsi se condivide argomenti e contenuti». Anche perché «il referendum è una questione di governabilità e stabilità».
Lo scenario della Brexit
Lo scenario sul referendum si innesta su quello già delicato della Brexit. Confindustria ha stimato il costo per l’Italia dell’uscita del Regno Unito dalla Ue nel biennio 2016-2017 in 0,6 punti di Pil in meno, 81 mila posti di lavoro in meno, 154 euro di reddito procapite in meno e 113 mila poveri in più. Ieri all’assemblea di Federmeccanica Boccia ha parlato anche di contrattazione. «Le relazioni industriali sono un fattore di competitività per il Paese. Abbassiamo i riflettori, non facciamo questioni di principio ma il tempo diventa un fattore importante», ha detto Boccia riferito al confronto in corso nella categoria dei metalmeccanici. Il gancio è stato subito raccolto a distanza da Annamaria Furlan, a capo della Cisl: «Siamo d’accordo con Boccia quando dice che tocca ai alle parti riscrivere le regole dei contratti».
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