Un po’ di vocaboli loretani e modi di dire collegati, tratti dal glossario “Parlà loretano” (1994), di Augusto Castellani. Li ripropongo così come li ha scritti uno dei padri del dialetto della “felix civitas lauretana”; di mio ci sono alcune osservazioni sull’etimologia e i riferimenti letterari. Questa è una selezione; di vocaboli Castellani ne ha registrati assai di più e pertanto invito il curioso a procurarsi il suo volumetto.
ABBREVIAZIONI
lat. = latino / it. = italiano / arc. = arcaico / med. = medievale / fr. = francese / cfr. = confrontare / onom. = onomatopeica / volg. = volgare / rom. = romanesco / incr. = incrocio / tosc. = toscano / prov. = provenzale / ant. = antico / euf = eufemismo.
‘cellétti – me viènene i ‘cellétti nte le ma’, particolare formicolio nelle mani causato dal freddo, quasi fossero i lievi colpi di becco di un uccellino – me pàre un ‘cellétto fòra de la cóva, sembra smarrito, come un passeretto lontano dal nido; lat. t. aucèllus con dim. ipocoristico.
cenciarèlli – se tìra su i fìji bèlli cu’ i cenciarèlli, i figli belli si educano a crescere senza viziarli e abituandoli a non vivere nel lusso (proverbio); lat. cìncius.
cerluì – è un cerluì, è uno che ci vede poco (f. cerluìna); dovrebbe venire dal lat. cèrnuus, che sta col capo chino, prono, quindi non vede o vede male; cfr. il venerèmur cernui (verremo chini, prostrati) del canto liturgico Tantum ergo sacramentum …
‘chiesòla – ‘chiesòla de la mòrte, sottostante la Basilica della Santa Casa – ‘chiesòla de la Madonnina, in via Castelfidardo, scomparsa – prima de venì’ a càsa, s’è fermato a ffa’ cinque-sei ‘chiesòle, prima di rientrare ha fatto cinque-sei soste in altrettante osterie; lat. ecclèsia; è piuttosto frequente l’uso di immagini o altri elementi religiosi in situazione antifrastica: ha tirato gió el rosario, ha ditto la curuncina (ha bestemmiato come dicesse il rosario), sagramentà (bestemmiare) etc…
ci e ‘n’àcca – te pijàsse un ci e ‘n’àcca; modo di dire, scherzoso e, in fondo, quasi beneaugurante; forse si vuol dire: ti prendesse un ci (un raffreddore? etci!!!?, quindi nulla di grave) e un’acca, cioè niente.
‘ciaccà’ – nun ‘ciàcca mànco i pecàti, ha i denti rovinati tanto da non poter masticare nulla.
‘ciàffa – quéllo ci ha la ‘ciàffa stòrta, ha il mento storto; long. skaf, ceffo, nel senso di muso di animali da cui il significato di mento pronunciato.
ciàncio – mazzà’ el ciàncio, ammazzare il maiale; sp. chancho, maiale.
cicerchì – hî fàtto la fìne de Cicerchì, probabilmente una finaccia; non so se sia esistita una persona chiamata Cicerchì.
cicòria – e nnà cicòria!, per la miseria!, caspita!, quasi a dire: ma quant’è spiacevole (amara come la cicoria) questa faccenda che mi dici!; ricorda il pane e cicoria che un noto politico proclamò di aver mangiato pur di restare fedele ad una alleanza (così disse lui); lat. cichòria.
‘cìffero – sei un ‘cìffero, sei un diavolo, non stai mai fermo, sovente rivolto, bonariamente, ai bambini; lat lùcifer, colui che porta la luce.
ciuétta – tùtto mio, tùtto mio, cùme la ciuétta, perché vuole sempre tutto per sé, come fanno le civette (ma ho il sospetto che si tratti di un luogo comune); oppure: perché quando canta la civetta sembra dire tutto mio, tutto mio – me sa che fàmo la fìne de la ciuétta de Beccacece, caduta dal trespolo e morta asfissiata perché nella stanza tutti fumavano; alto ted. chouch, civetta, di probabile origine onom.
ciùffoli – un par de ciùffoli, un paio di stivali, eufemismo per palle (nel senso di testicoli), espressione di origine romanesca (è l’interpretazione della frase proposta da Castellani; il significato proprio del termine è zufolo) – s’è portàti i ciuffulétti, si sono portati gli zufoli; lat. volg. sufalàre, zufolare.
ciutulìcchi – ròbba de ciutulìcchi, è roba di poco valore, come una ciotoletta di terra; alcuni: ted. schutt, ciotoli, più diminutivo; altri: supposto lat. càutulus, con diminutivo; in entrambi i casi confluiscono in ciotola, piccolo recipiente di terra, di scarso valore.
cólco – è cólco ‘ntel lètto, si è disteso a letto; – méttete cólco, coricati; lat. collocàre. D’Annunzio usa spesso il verbo colcare nel senso di distendere o trovarsi/mettersi disteso, vedi La spica (Alcyone, 1902): … s’inclina e più s’inclinerà domane / verso la terra ove sarà colcata / col giglio …
còllo – è duentàto un pèzzo de òsso del còllo, è diventato un uomo importante, come lo è l’osso del collo per le funzioni vitali; però può riferirsi anche all’indurimento del carattere di una persona; lat. còllum; vedi tòrce’.
cóncole – ce rfa’ chi vòle le cóncole!, non riesce proprio a capire; anche: non la smette mai di infastidire; modo di dire forse nato da una persona che insisteva nel volere le vongole pur essendogli stato detto che non ce ne erano; lat. cóncha, cónchula.
cónto – fàmo l’amór del cónto, facciamo la conta; ma credo che si debba scrivere la mor del cónto con riferimento non ad àmor, amore, bensì a morra, il gioco diffusissimo già in epoca romana, che si fa in due alzando contemporaneamente le dita e cercando di indovinare la somma che esse compongono; probabilmente la parola deriva dall’espressione settentrionale zuca o mora (lat. mòra, indugio), giochi o aspetti? Altri fanno riferimento a mori, arabi, che potrebbero aver rivalorizzato il gioco durante i secoli di occupazione della Spagna da dove sarebbe partita la sua rinascita europea, ma non mi sembra ipotesi accettabile; lat. t. còmputus, computàre, con caduta della prima postonica (còmtus) e della seconda protonica (comtàre).
cóttiga – re de cóttiga, re di niente, di nessuna importanza – sa de ràncigo cùme la cóttiga del làrdo, di qualche cosa che va deteriorandosi – la questió’ s’è ncuttighìta, la faccenda si è fatta dura, ardua, si è complicata – ci ha la cóttiga al pòsto del còre, ha il cuore duro come la cotica; un piatto non ricercato, presente spesso sulle tavole della gente comune, erano i fagioli con le cotiche; lat. cùtica.
credenzó’ – sî propio un credenzó’, credi davvero a tutto quello che ti si dice , sei proprio credulone; lat. crédere con suff. peggiorativo. Non da confondere con credenzó’, grosso mobile da cucina, nel senso desueto di credenza: affidare, consegnare, depositare. Ippolito Nievo usa spesso il termine ne Le confessioni di un Italiano; i curati del regno borbonico sono infatti più volte definiti incolti e credenzoni.
criànza – che criànza!, che maniere ineducate! (sp. creanza<, criar, allevare) – la criànza, oltre che “buona educazione”, è pure un pezzetto di lievito; anche qui, sp. crianza, it. arc. criare, fermentazione del vino.
crìcco (a) – buccà’ ai cuncèrti à crìcco, entrare senza pagare (anche perché, magari, lo spettacolo è gratis); probabile deformazione di scrocco; altri (ma non appare probabile): ottenere gratis qualche cosa mostrando il coltello a cricco.
crinèlla – (av)émo préso ‘na crinèlla de gol, abbiamo subito molti goals, tanti quanti ce ne vanno in una cesta per erba e foraggi o anche per polli; l’etimo resta incerto, ma probabilmente è una voce rom. e ha a che fare con crine (lat. crìnis) pelo della criniera o della coda del cavallo, usato in sartoria come imbottitura; forse le ceste erano di questo materiale.
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