di Redazione Online Corriere.it
Tra i punti principali della riforma della governance della Rai ci sono l’introduzione della figura dell’amministratore delegato, un cda più snello non più eletto dalla Vigilanza, il presidente di garanzia
La riforma della Rai è legge. L’aula del Senato ha approvato il ddl per alzata di mano, cioè senza la registrazione dei voti. Nessuno infatti ha chiesto di votare con procedimento elettronico. La votazione è avvenuta immediatamente dopo quella della legge di Stabilità che è passata con 162 sì. Con queste ultime due votazioni, l’Aula di Palazzo Madama ha sospeso i suoi lavori per le festività natalizie. La prossima seduta è stata fissata per il 12 gennaio alle 16,30. All’ordine del giorno la riforma degli appalti.
Gasparri (Fi): «Leggina». Ranucci (Pd): «Finalmente azienda moderna»
Tra i punti principali della riforma della governance della Rai ci sono l’introduzione della figura dell’amministratore delegato, un cda più snello (da 9 a 7 membri) non più eletto dalla Vigilanza, il presidente di garanzia nominato dal Cda fra i suoi componenti. La scorsa settimana tutto era saltato all’ultimo momento per la mancanza del numero legale. Al Senato sono state ora confermate le norme già approvate alla Camera. Critiche le opposizioni: «Leggina che sarà stracciata per palese illegalità», commenta il senatore Maurizio Gasparri (Fi), sostenendo che la legge che porta il suo nome di fatto resta in vigore e che la riforma si limita a modificare, «in termini incostituzionali, la nomina dei vertici Rai». Incalza Paolo Romani, sempre dalle fila degli azzurri: «Dal servizio pubblico il cui editore è sempre stato il Parlamento, in rappresentanza di tutti i cittadini, si passa ad una tv integralmente controllata dal governo, e quindi da una sola parte». Con questo provvedimento «ora la Rai ha finalmente tutti gli strumenti per essere un’azienda moderna che può concorrere sul mercato televisivo e anche multimediale», replica il senatore del Pd Raffaele Ranucci. «Mettere la Rai nella condizione di eccellere a livello internazionale era un pezzo importante del percorso di crescita del Paese», sottolinea. Ma le contestazioni arrivano pure dalla Federazione nazionale della stampa e dall’Usigrai: «Con un doppio colpo- rilevano – Palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i 2 pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza dei Servizi Pubblici: fonti di nomina e finanziamenti».
La riforma
Con il nuovo canone +26% di introiti
Tra le novità previste dalla riforma, c’è il canone Rai in bolletta elettrica. E un rapporto dell’area Ricerche & Studi di Mediobanca fornisce le prime stime sul nuovo canone: l’introito complessivo- stima il rapporto – aumenterebbe di circa 420 milioni con una crescita del 26% rispetto a oggi, che farebbe del gruppo televisivo a maggioranza pubblica quello con più ricavi nel settore in Italia. Un toccasana per la Rai, che negli ultimi cinque anni ha cumulato perdite nette per 287 milioni, nonostante la plusvalenza dal collocamento in Borsa di Rai Way. Nel 2014 infatti la Rai è a un totale di ricavi di 2.450 milioni, dei quali 1.569 generati dal canone: alla quota teorica di 2.870 milioni con l’incasso totale del nuovo contributo scavalcherebbe Sky Italia (2.690 milioni) e anche le attività italiane di Mediaset, che a livello aggregato somma 3.374 milioni, dei quali però quasi mille vengono generati in Spagna. La stima di R&S Mediobanca sul canone in bolletta si basa sul nuovo importo previsto di 100 euro e un’evasione al 5% rispetto all’attuale 30,5%.
L’evasione
Un’evasione che, evidenzia il rapporto, è molto differenziata nel Paese: il tasso di mancati pagamenti è al 26% al Nord (il minimo in Alto Adige e in Friuli, ma a Milano s’impenna al 42%), al 29% nel Centro, al 37% nel Sud e al 40% nelle Isole. Le province più virtuose del 2014 sono Ferrara (17% di evasione), Rovigo (18%) e Bolzano (25%), mentre quelle che segnano il più alto tasso di evasione sono Crotone (56%), Napoli (55%) e Catania (53%), con Roma in una posizione mediana al 38%. Secondo il Focus sul settore televisivo basato sui bilanci dal 2010 al 2014, la Rai ha il canone più basso fra i maggiori Paesi europei: i 113,5 euro del 2014 sono superiori ai 133 della Francia, ai 175,3 del Regno Unito e ai 215,8 della Germania, ma in alcuni di questi casi si tratta di un tributo più articolato rispetto al semplice canone per l’emittenza pubblica.
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