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Che sta succedendo? L’America sull’orlo di una guerra civile pensa di superare il bipartitismo. E noi?

23459373-large-1200x800da Raimondo Giustozzi

Di Christian Rocca

Arrivano gli omicidi politici, e Trump fa il piccolo satrapo con la sua parata militare, mentre i soldati rastrellano immigrati e la resistenza scende per strada. Si è forse aperto uno spazio per un terzo partito neoliberal e globalista, si chiede il New York Times? Lezioni per l’Italia

Dante Alighieri rappresenta la visione dell’Apocalisse con «un vecchio solo venir/, dormendo, con la faccia arguta». Faccia arguta a parte, le immagini televisive del settantanovenne Trump che guarda annoiato la parata militare, ideata e organizzata a Washington anche per festeggiare il suo compleanno, mentre il mondo brucia e l’America è sull’orlo di una guerra civile, sono forse la rappresentazione più esatta dei guai globali in cui ci troviamo.

L’aggressione imperialista russa all’Ucraina continua, il Grande Medioriente è impegnato in una guerra considerata esistenziale dai due principali attori, le tensioni tra India e Pakistan sono al massimo, la Cina pensa di prendersi Taiwan, l’Europa non è pronta né a difendersi militarmente dalla Russia né commercialmente da Trump, anche per gretti o futili interessi nazionali degli Stati membri, che invece avrebbero tutto l’interesse – un interesse vitale – a collaborare tutti insieme.

L’America non fa più l’America, e soprattutto «questa non è l’America», come cantava già quarant’anni fa David Bowie in una profetica canzone con Pat Metheny, a maggior ragione oggi con i rastrellamenti in stile Gestapo contro gli immigrati, con i Marines dispiegati a Los Angeles, con gli internamenti e le espulsioni di massa, con gli arresti di deputati, senatori, sindaci e giudici che dissentono, con la polarizzazione estrema del dibattito politico, con l’ostilità nei confronti degli alleati e con i corteggiamenti ai despoti della Terra.

L’America che conosciamo, però, c’è nelle duemila manifestazioni di protesta di sabato, mentre Trump festeggiava il compleanno come un piccolo satrapo, in millecinquecento città e in tutti e cinquanta gli Stati americani, nelle marce partecipate da milioni di persone per dire all’unisono che in America «non ci sono re», «No Kings», perché gli Stati Uniti sono nati con la dichiarazione di indipendenza di tredici colonie britanniche dal re inglese Giorgio Terzo.

Questa è l’America, l’America delle libertà, dei diritti e del sogno americano, quella che nel millenovecento sessantotto cercavano Paul Simon e Art Garfunkel nella loro leggendaria canzone “America”, e con loro, per mezzo secolo, decine di milioni di persone in tutto il mondo, impegnate a cercare un sogno da realizzare («all come to look for America»).

Lo scenario di questo weekend appena trascorso è quasi da guerra civile, come lo abbiamo visto in moltissimi film apocalittici di Hollywood, da ultimo appunto “Civil War”, con militari schierati per strada per fermare chiunque avesse tratti somatici ispanici, con manifestazioni di protesta, con parate militari, con assassini politici nel placido Minnesota, lo Stato più nordeuropeo d’America, noto per la proverbiale gentilezza nordica della sua gente («Minnesota nice»), per la caparbietà dei suoi politici locali e nazionali nel collaborare con gli avversari per superare le divisioni ideologiche e partitiche e per aver dato i natali a due leggende della cultura pop come Bob Dylan e Prince.

Tutto questo è successo a distanza di pochi giorni, e davvero nessuno è più in grado di capire “what’s going on” (Marvin Gaye, 1971), che cosa sta succedendo «alla terra dei liberi e alla casa dei coraggiosi» celebrata dall’inno “Star-Spangled Banner”.

Sempre nel weekend, il New York Times ha pubblicato, a firma del suo capo degli analisti politici Nate Cohn, un articolo per segnalare che, a causa dell’assalto nazionalista dei trumpiani al Partito repubblicano e del populismo di sinistra che si è impossessato dei Democratici, probabilmente in America si è aperto uno spazio politico per la nascita di un terzo partito.

Naturalmente ci sono molti ostacoli, a cominciare dalla consolidata nei secoli tradizione bipartitica, ma la radicalizzazione del dibattito pubblico, ancora di più dopo lo scorso weekend, potrebbe aver creato le condizioni per sfidare con successo i due partiti principali. «Non prevedo che nasca presto un terzo partito “neo liberal” e “globalista” in America – ha concluso Cohn – ma non prendo più in giro l’ipotesi che si possa fare».

Se la tesi del New York Times vi fa pensare al tentativo che negli anni scorsi è stato fatto in Italia per uscire dal bipopulismo nostrano, e che per certi versi si fa ancora ma senza esiti soddisfacenti, è perché i paesi democratici e liberi si trovano tutti nella stessa situazione.

Ora che anche gli americani cominciano a immaginare di superare la radicalizzazione populista dei loro due storici partiti politici, da noi sarebbe il caso di non abbandonare una strada che per primi abbiamo cominciato a percorrere, nonostante gli inciampi, le baruffe e gli insuccessi.

Gli adulti del Partito democratico, la tenda riformista di Matteo Renzi, i liberali di Forza Italia, l’azionismo di Carlo Calenda, i liberaldemocratici si diano tutti quanti una mossa subito, senza aspettare che si arrivi anche qui, come in America, ai militari per strada, ai rastrellamenti di immigrati, alle parate militari, agli omicidi politici, e agli scenari da guerra civile.

 

Linkiesta, Editoriale, 16 giugno 2025

Di Christian Rocca

 

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