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Realismo strategico La Russia post Putin sarà forse meno violenta, ma certo non più democratica

23309812-large-1200x800da Raimondo Giustozzi

Il prossimo leader del Cremlino erediterà un paese militarizzato, isolato e senza alternativa. Pensare che tutto cambierà da sé è l’errore che non possiamo permetterci

Da più di tre anni l’Ucraina non combatte solo per difendere il suo territorio e i suoi cittadini, da più di tre anni l’Ucraina protegge i confini dell’Europa, dell’Occidente, del mondo libero e democratico. L’aggressione criminale della Russia è una sfida aperta ai valori liberali dell’ordine globale costituito dopo la caduta dell’Unione Sovietica. E non sarà un accordo di pace più o meno formale mediato da Donald Trump a fermare Vladimir Putin: niente sembra poter anestetizzare il conflitto esistenziale che l’autocrate del Cremlino ha posto in cima alla lista di priorità del suo Paese, fino a farne il principio guida del sistema putiniano.

«A causa della guerra, la Russia di Putin è diventata molto più repressiva, e l’anti-occidentalismo è divenuto ancor più pervasivo in tutta la società russa», ha scritto Alexander Gabuev su Foreign Affairs. Gabuev è il direttore del Carnegie Russia Eurasia Center e ha analizzato le trasformazioni politiche, economiche e sociali della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, evidenziando come la guerra abbia consolidato l’autoritarismo di Putin e rafforzato il suo legame con la Cina, rendendo l’anti-occidentalismo una colonna portante del suo Paese. «Dal 2022, il Cremlino ha condotto una vasta campagna per reprimere il dissenso politico, diffondere propaganda pro-guerra e anti-occidentale, e permettere ad ampie fasce della popolazione di trarre benefici economici dal conflitto. Decine di milioni di russi, inclusi alti funzionari e molti tra i più ricchi del Paese, ora vedono l’Occidente come un nemico mortale», ha scritto Gabuev.

L’Occidente ci ha messo del suo, dimostrando il solito tafazzismo diplomatico. I maldestri tentativi di Trump di minare l’unità dell’alleanza transatlantica cercando di porre fine alla guerra sono l’elevazione a potenza di questo approccio: le aperture e le concessioni a Putin possono portare a una specie di disgelo superficiale nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia, ma la sfiducia di Putin verso l’Occidente renderà impossibile una vera riconciliazione.

Anche perché nel frattempo la Russia ha trovato l’algoritmo giusto per trarre vantaggio da una guerra continua con l’Europa. «Nel corso della guerra in Ucraina, l’economia russa e il patto sociale su cui essa si fondava hanno subito cambiamenti sostanziali», scrive ancora Gabuev. Da febbraio 2022, il Cremlino ha faticato a finanziare una guerra sempre più costosa, mantenere il tenore di vita dei cittadini e salvaguardare la stabilità macroeconomica del Paese. Putin allora ha dovuto scegliere. E ha preferito concentrarsi sul finanziamento della guerra: dal 2025 al 2027, il governo russo destinerà circa il quaranta per cento del bilancio statale alla difesa e alla sicurezza, a scapito di altre priorità, come la sanità e l’istruzione.

«Se la guerra in Ucraina dovesse continuare, la situazione economica dei russi potrebbe peggiorare notevolmente. Ma è improbabile che questo scenario generi una seria pressione per un cambio di regime. Più l’economia russa si è trovata sotto pressione, più Mosca ha rafforzato la repressione», si legge su Foreign Affairs. Nel frattempo il Cremlino ha criminalizzato ogni critica interna nei confronti della guerra e dell’esercito russo, e ha avviato procedimenti legali contro tutti i dissidenti. Il regime ha anche ampliato drasticamente il numero di persone ufficialmente considerate «agenti stranieri» e ha intensificato gli attacchi contro le organizzazioni ritenute «indesiderabili», costringendo i critici della guerra a un bivio poco desiderabile: l’esilio all’estero o il carcere in patria.

Insomma, un’ondata rivoluzionaria interna è improbabile. Putin gode di un ampio sostegno popolare, in parte per l’efficace repressione e propaganda, in parte perché molti russi considerano l’Occidente ostile e la guerra una lotta necessaria per la sopravvivenza nazionale.

Nel suo articolo, Gabuev non si limita a descrivere le dinamiche interne del regime, ma invita l’Occidente a immaginare già ora un futuro post-Putin, delineando le condizioni necessarie per un possibile riavvicinamento pragmatico. Una coesistenza senza illusioni. «Nonostante la repressione e la retorica antioccidentale – si legge nell’articolo – la Russia post-Putin non è destinata automaticamente a essere ancora più pericolosa. Anzi, l’Occidente può prepararsi a un futuro meno conflittuale e più pragmatico se saprà agire con visione strategica».

Ovviamente il dossier ucraino andrà risolto per primo. Non sarà facile perché anche in caso di negoziato di pace Kyjiv resterà sotto minaccia costante senza adeguate garanzie di sicurezza. E qualsiasi progetto di riavvicinamento economico con Mosca dovrà includere meccanismi per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina, se non addirittura forme di riparazione.

Secondo Gabuev, l’Occidente prima o poi si troverà costretto a «riattivare i canali di comunicazione abbandonati durante la guerra». In questo senso sarà fondamentale contrastare la propaganda interna e esterna della Russia per dimostrare – soprattutto ai cittadini russi – che l’isolamento di Mosca sul piano internazionale è una conseguenza delle scelte disastrose del Cremlino, non dell’Occidente.

«Immaginare la Russia dopo Putin può sembrare astratto», scrive Gabuev, «e parlare di riconciliazione rischia di dividere l’Occidente, soprattutto perché i Paesi del fianco orientale della Nato non vogliono nemmeno pensare a una distensione futura con Mosca. Eppure dovranno farlo. I leader occidentali devono rispondere anche ai propri cittadini, molti dei quali non vogliono un conflitto eterno e costoso con la Russia. Immaginare una relazione pragmatica non è un’astrazione accademica, ma uno strumento politico per stimolare il cambiamento in Russia».

Il ragionamento di Gabuev è dunque proiettato già a ciò che accadrà alla morte di Putin. Perché chiunque gli succederà sarà inevitabilmente più debole. Anche senza una lotta di successione violenta, il post-Putin potrebbe ricordare il periodo successivo alla morte di Stalin: una leadership collettiva di fatto, accompagnata da un timido ritorno al pragmatismo.

«Il recente cambio di leadership negli Stati Uniti ha colto l’Europa impreparata», scrive Gabuev nella conclusione del suo articolo su Foreign Affairs. «Anche un’improvvisa caduta di Putin rischia di cogliere di sorpresa l’Occidente, a meno che non inizi subito a riflettere su che tipo di rapporto desidera avere con la Russia. Un conflitto permanente, oscillante tra guerra fredda e guerra calda, non è inevitabile. Ma se i leader occidentali continueranno a evitare di immaginare un futuro diverso, finiranno per rafforzare gli sforzi di Putin di rendere lo scontro con l’Occidente il cuore della sua eredità».

 

Linkiesta, Esteri, 25 aprile 2025

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