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Fate presto L’Europa si affranchi da Trump prima che il suo piano consegni l’Ucraina a Putin

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riceviamo da Raimondo Giustozzi

Il presidente degli Stati Uniti vuole forzare la resa di Kyjiv, mascherandola come pace, sotto gli occhi del mondo. È arrivato il momento di accettare l’idea che l’America attuale non è più un alleato del mondo libero

 

Barricato da ieri sera in una villa protetta in uno dei quartieri più sorvegliati di Roma, Donald Trump, l’uomo nero che pare dominare da solo tutta la scena mondiale, forse avrà oggi qualche contatto importante. Almeno è quello che sostiene lui. Vuole vedere Volodymyr Zelensky, che nel frattempo ha messo in dubbio la sua presenza nella capitale italiana «per impegni militari». Un segno della distanza enorme che separa il presidente ucraino dal capoccione della Casa Bianca. «La Crimea non è russa», ha scandito Zelensky. La frase è una pietra tombale sugli intrighi trumpiani. Il presidente degli Stati Uniti dice di voler parlare con Giorgia Meloni (che, tanto per farsi riconoscere, ieri per prima ha ricevuto Viktor Orbán).

Stamane davanti alla bara aperta di Jorge Mario Bergoglio sul sagrato di una gremitissima e affranta Piazza San Pietro, Trump sarà costretto a salutare gente che odia. Il suo vicino di sedia sarà Joe Biden; con tutti i suoi limiti, l’uomo che era riuscito a mantenere il mondo dentro i binari della ragione con il dovuto coraggio a fianco di Kyjiv. L’esatto contrario di Trump, l’uomo che da quattro mesi ricatta il mondo intero e la democrazia americana di James Madison e Thomas Jefferson, con le sue scempiaggini commerciali.

Gli europei lo cercano, Ursula von der Leyen, la fatina, a cospetto di Mangiafuoco, gli vuole parlare: ma per dirgli che? Che gli vuoi dire, a uno che prospetta un piano di pace che coincide esattamente con il piano di Vladimir Putin? Che gli dici a uno che, da tipico affarista, la mette sul prendere o lasciare? Il dramma è che l’Europa non sembra più avere carte in mano.

Tutta la politica dei volenterosi escogitata a Parigi e Londra, che pure aveva fatto notevoli passi avanti, appare fuori sincrono perché si riferiva a un dopoguerra o almeno a un cessate il fuoco che in qualche modo era giudicato possibile. Ma adesso il quadro è cambiato.

L’obiettiva convergenza tra il finto piano di pace di Trump e la martellante offensiva militare di Putin riporta indietro la dinamica della guerra: così, la pace è impossibile. È possibile un’altra cosa, la capitolazione dell’Ucraina e lo spianarsi della strada per il dittatore del Cremlino.

Purtroppo, l’impressione è che l’Europa si stia rassegnando alla sconfitta del popolo ucraino e forse già qualcuno pensa a come uscirne senza farsi troppo male: basta guardare l’Italia che, al di là dei fuochi d’artificio dei viaggi americani della presidente del Consiglio, è capace solo di ripetere la solita pappa retorica mandata a memoria dal povero Antonio Tajani.

I Fratelli d’Italia e i leghisti che se ne fregano altamente di Kyjiv, e la sinistra che se la svigna dietro la fintamente nobile opposizione alle armi; una penosa rincorsa tra Partito democratico e il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte a dire chi è più pacifista. Un quadro desolante.

Dunque, un accordo sulla base del cosiddetto piano Trump non è possibile perché si tratta in realtà del piano Putin che, se passasse, sancirebbe il diritto per i Paesi più forti di annettersi quelli più deboli, o parti di essi, insomma, un ritorno al Settecento. Perciò l’Europa dovrebbe essere consapevole che solo una sua iniziativa – militare, politica, diplomatica – può riaprire la prospettiva per un accordo degno dell’età contemporanea.

È impossibile che anche solo un barlume di tutto questo possa accendersi davanti alla cupola michelangiolesca, a pochi metri dalle spoglie di un Pontefice che, inneggiando sempre alla pace, si perse anche lui nella guerra russa.

Come al solito, è salda la visione di Sergio Mattarella che ha detto: «Pace non significa sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce gli altri Paesi con le armi. La pace è diritto di ogni popolo alla libertà e alla dignità». Ecco, questa dovrebbe essere la linea dell’Europa. Ma il tempo è poco. Sarebbe ora di mettere Trump, Dio sa come, alle strette.

Solo i migliori europei, Keir Starmer, Emmanuel Macron e Donald Tusk, possono farlo. Fate presto. Perché, a meno di clamorose novità, la pallina sembra rotolare verso la disfatta di chi è dalla parte della ragione. E a ottant’anni dal colpo definitivo ai nazisti sarebbe davvero un’atroce vendetta della Storia.

Linkiesta, Politica, 26 aprile 2025

di Mario Lavia

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