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Libri | Claudio Signorile, Simona Colarizi Tra politica e storia, il caso Moro

Il caso moro copertinadi Raimondo Giustozzi

L’assassinio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro nel 1978 ha segnato una svolta nella storia della Repubblica di tale portata da suscitare negli storici, nei politici e nei media un interesse costante che non è venuto meno neppure dopo quarantacinque anni da questo tragico evento. A perpetrarlo hanno contribuito l’indagine sulle fonti, le interviste ai testimoni dell’epoca, le ricostruzioni filmiche e televisive che hanno alimentato una storiografia sempre in progress, grazie alla scoperta di nuovi archivi e di documenti reperiti o fatti reperire via via a distanza di tempo, fino praticamente a oggi. Tanta attenzione ha portato a concentrare tutte le analisi sul cosiddetto “caso Moro”, cioè a circoscrivere l’impegno investigativo ai cinquantacinque giorni di prigionia del leader democristiano, conclusi con la sua uccisione, lasciando in ombra una riflessione generale sul periodo storico nel suo complesso” (Claudio Signorile, Simona Colarizi, Tra politica e storia, il caso Moro, pp. 11 – 12, collana gli Scarabei, Baldini + Castoldi, La nave di Teseo, aprile 2024, Milano).

La mancanza di una riflessione generale sul periodo storico nel suo complesso viene colmata con la pubblicazione di questo piccolo libro, scritto a quattro mani, in una sorta di dialogo da due addetti ai lavori: Claudio Signorile e Simona Colarizi. Claudio Signorile è stato docente di storia moderna all’Università di Roma, Sassari, Lecce, ma anche politico di lungo corso, parlamentare per sei legislature dal 1972 e vicesegretario del PSI, ministro dal 1981 al 1987. Ebbe un ruolo di primo piano nel PSI, che propendeva per una trattativa con le Brigate Rosse per la liberazione di Aldo Moro in cambio della liberazione di brigatisti in carcere. Simona Colarizi è stata docente di storia contemporanea all’Università di Roma, “La Sapienza”, alla “Federico II” di Napoli, all’Università di Camerino (MC), Facoltà di Giurisprudenza, corso di Laurea in Scienze Politiche.

Il saggio, di 246 pagine, è diviso in tre parti, declinate in cinque capitoli. La ricostruzione di tutti gli anni settanta del secolo scorso è precisa e ricca di informazioni. La narrazione è fluida e avvincente, affidata alternativamente ai due autori. Simona Colarizi apre il capitolo su “Democratici, conservatori, reazionari” della prima parte (Paese di frontiera). Claudio Signorile continua la narrazione sullo stesso argomento con l’aggiunta di altre informazioni. L’impianto del dialogo tra i due coautori è il fil rouge che lega tutto il libro, tanto che il saggio può prestarsi anche come un canovaccio per un testo teatrale. Solo l’Atto finale (pp.231 – 239), il rinvenimento del cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio della Renault rossa in piazza Gaetani, a Roma, in un posto equidistante tra Piazza del Gesù, dove era la sede della Democrazia Cristiana e via delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista, è scritto da Claudio Signorile che si adoperò non poco, come tutto il PSI, nel proporre una trattativa con le Brigate Rosse per liberare Aldo Moro. Prevalse la linea della fermezza. Dopo l’uccisione del presidente della Democrazia Cristiana nulla fu come prima.

Indice del libro

Parte Prima: Paese di Frontiera. Capitolo 1 Democratici, conservatori, reazionari, (pp. 11- 24), capitolo 2 Assassinio di Allende e attentato a Berlinguer (pp. 25- 34), capitolo 3 Terrorismo italiano e internazionale (pp. 35- 42), capitolo 4 Le elezioni del 1975 e del 1976 (pp. 43- 50), capitolo 5 La rivoluzione dei garofani (pp. 51- 65).

Parte Seconda: Transizione. Capitolo 1 Il compromesso storico come scenario (pp. 69- 80), capitolo 2 Democrazia dell’alternanza e governo Andreotti (pp. 81- 91), capitolo 3 Area della autonomia e Brigate Rosse (pp. 93- 102), capitolo 4 L’austerità (pp. 103- 117), capitolo 5 Alla ricerca del nulla osta americano e sovietico (pp. 119- 140.

Parte Terza: Il sequestro. Capitolo 1 Rapimento e strage (pp. 143- 151), capitolo 2 Il PCI e la matrice italiana dell’attentato (pp. 153- 169), capitolo 3 La ragione di Stato e l’iniziativa del PSI (pp. 171- 197), capitolo 4 La non scelta della Democrazia Cristiana (pp. 199- 219), capitolo 5 Salvare la vita a Moro (pp. 221- 229,

Atto finale (pp. 231- 239). Indice dei nomi (pp. 241- 246).

Aldo Moro era stato uno dei pochi, nel gruppo dirigente della Democrazia Cristiana, che si era reso conto fin dal 1968, nel pieno della contestazione studentesca, quanto fosse urgente il rinnovamento della DC e del sistema politico italiano. Nel 1974, la vittoria dei No nel referendum della legge sul divorzio fu il primo segnale per la Democrazia Cristiana. Tutto cambiava ma tutto doveva rimanere come era sempre stato per chi deteneva il potere ormai da trent’anni. Il calo dei consensi nelle elezioni dell’anno successivo fu un altro campanello d’allarme. Questi due risultati dimostravano chiaramente che una convergenza tra forze politiche diverse: laici, socialisti, comunisti, avrebbe potuto disegnare una maggioranza alternativa, che, per altro, in alcune grandi città d’Italia eleggeva le “giunte rosse” nel 1975, inaugurando una nuova stagione politica che sarebbe costata la vita ad Aldo Moro (Ibidem, pag. 14).

Scoppiava intanto la contestazione, quella attiva, decisa a cambiare il mondo, cominciando nel ribaltare le barriere di un potere ai vertici, ovunque autoritario e chiuso all’innovazione. La contestazione era rappresentata dagli operai, appena assunti nelle fabbriche, dagli impiegati nelle professioni private o nella sfera pubblica, nelle scuole, nelle università e naturalmente anche nei partiti e nei sindacati, dove era entrata la nuova generazione, nata durante la guerra o nella fase del post fascismo. Tutte le battaglie, per il divorzio, per lo Statuto dei Lavoratori erano portate avanti dai socialisti, liberali e radicali. In questa protesta democratica nei mezzi e nei fini da perseguire c’era però da fare i conti, e sarebbero stati pagati a caro prezzo da Moro e dalle tante vittime delle stragi nere e del terrorismo rosso” (Ibidem, pag. 18).

Con l’attentato alla Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano (1969) si inaugurava la terribile stagione dello stragismo, destinata, come quella del terrorismo rosso, a durare ben oltre l’assassinio di Aldo Moro. Fu proprio in quegli anni che venne coniata l’espressione “Strategia della tensione”, o “degli opposti estremismi”, destra e sinistra extraparlamentare, unite nella distruzione dello Stato di diritto. Servizi deviati si infiltravano per scopi occulti, coprendo attentati di chiara marca fascista. Nella primavera – estate del 1974 due altri attentati, ambedue di matrice neofascista, quello al treno Italicus (3, 4 agosto 1974) nella galleria San Benedetto Val di Sambro e a piazza della Loggia, a Brescia (28 maggio 1974) portavano la situazione ad un punto di non ritorno.

Le utopie, di chi non aveva conosciuto la guerra, si trasformavano in una violenza inaudita. Nelle vie e nelle piazze si fronteggiavano formazioni terroristiche di sinistra, speculari a quelle formate da giovani neofascisti, che “schiumavano rabbia”, nostalgici per un lontano passato al quale tanti dei loro padri avevano voltato le spalle. Non c’era giorno che non venissero uccisi magistrati, carabinieri, politici, giornalisti, sindacalisti, professori universitari. Alla violenza politica si sommava quella delle cosche mafiose e della delinquenza comune, tanto da far presagire l’Inferno per tutti. La situazione economica peggiorava sempre più, dopo il decennio precedente conosciuto come quello del Boom Economico. L’Italia insomma diventava un sorvegliato speciale soprattutto da chi allora aveva in mano, nel clima più complicato della “Guerra Fredda”, il destino del mondo. Unione Sovietica e Stati Uniti d’America non potevano tollerare che gli equilibri, garantiti, dalla fine della seconda guerra mondiale, fino ad allora, per trent’anni circa, si spezzassero. Ognuna delle due super potenze controllava l’altra e i paesi della propria sfera di influenza.

Questa era la geopolitica di quegli anni, terribilmente cambiata ai giorni nostri con la guerra in Ucraina, voluta da Putin per cancellare “La più grande tragedia geopolitica del Novecento”, la scomparsa dell’URSS, peraltro voluta dalla stessa Federazione Russa, assieme alle Repubbliche Socialiste Sovietiche. L’elezione di Donald Trump, quale nuovo presidente degli USA, sta facendo il resto. Come nel film “Tutti a casa” sembra che i nemici di prima (USA e Federazione Russa, erede dell’URSS) siano diventati amici e il resto dell’Occidente (UE e Canada), amici degli USA, abbandonati al proprio destino. “Panta rei”. Tutto scorre. Ai tempi dell’Unione Sovietica, in Russia, andava di moda un detto che è ritornato di attualità: “Se il futuro è incerto, il passato è imprevedibile”, e nemmeno il passato prossimo ma quello piò remoto, risalente addirittura alla fine del IX secolo d. C. alla Rus di Kiev attorno alla quale Putin sembra che voglia riscrivere la storia (N.D.R.). Lo studio del passato deve sempre avere un legame con il presente, diversamente vale il detto evangelico “Lasciate che i morti seppelliscano i morti”.

L’assassinio di Salvador Allende in Cile (11 settembre 1973), l’attentato a Enrico Berlinguer a Sofia, in Bulgaria (ottobre 1973) segretario quest’ultimo del Partito Comunista Italiano, consigliava lo stesso Berlinguer di proporre “Il compromesso storico”, un patto con la Democrazia Cristiana di un appoggio esterno del Partito Comunista Italiano al governo del paese, una sorta di Unità Nazionale, come ai tempi del Comitato Nazionale, che aveva raggruppato tutte le forze antifasciste dal 1943 al 1945. Berlinguer parlava anche di Eurocomunismo, un progetto esteso a tutti i partiti comunisti europei di una via al socialismo nel rispetto della democrazia parlamentare, senza nessuna rivoluzione e un partito unico. La proposta non era ben vista né da Leonid Breznev, segretario del PCUS e presidente dell’URSS, né da Jimmy Carter, presidente degli Usa, né dai partiti comunisti dei paesi dell’Est Europa, allineati alle direttive di Mosca. Jimmy Carter, anche se era d’accordo con chi sosteneva che il PCI aveva dimostrato per trent’anni di rispettare la democrazia, chiedeva anche che lo stesso partito dovesse abbandonare qualsiasi legame con il leninismo.

Il Partito Socialista era “Il vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro”. I vasi di ferro erano: da un lato, la Democrazia Cristiana, dall’altro il Partito Comunista Italiano. I capi storici del Partito Socialista: Nenni, Lombardi, De Martino, Mancini in trent’anni “Non erano riusciti a costruire una grande forza politica socialista democratica, pari ai partiti fratelli dell’Europa comunitaria” (Ibidem, pag. 74). A sinistra del Partito Socialista però si stava facendo strada una schiera di giovani che organizzavano convegni, mostre, scrivevano su riviste socialiste: Craxi, Martelli, Signorile, De Michelis, avendo come scenario il Compromesso Storico, proposto da Berlinguer, che veniva raccolto positivamente in casa DC da Aldo Moro, ma freddamente da altri deputati e senatori democristiani. “Claudio Signorile volava negli USA per organizzare incontri con gli accademici universitari; più significativi furono i faccia a faccia con i responsabili operativi sugli affari italiani, osservati e discussi in ogni santuario della politica americana: Dipartimento di Stato, Pentagono, Cia, ma anche Senato e Camera dei deputati. Chiedeva e otteneva di farlo incontrare con gli esponenti del sindacato AFL- CIO, da sempre in dialogo con i social democratici e i socialisti italiani” (Ibidem, pag. 122).

“Il rapimento di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, aveva però messo fuori gioco l’interlocutore principale con il quale Berlinguer aveva stretto l’accordo per entrare in un governo che rappresentava solo il perpetuarsi del regime democristiano capitalistico, oppressivo del proletariato” (Ibidem, pag. 148). L’uccisione della scorta di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rossi, in via Fani, a Roma e la prigionia del presidente della DC rappresentavano una sfida verso lo Stato. Nei cinquantacinque giorni di prigionia del presidente democristiano si accese tra le forze politiche un dibattito lacerante su come lo Stato avrebbe dovuto rispondere all’atto terroristico.

La Democrazia Cristiana, anche se non in tutti i suoi componenti, molti erano legati ad Aldo Moro per amicizia e per la stessa visione politica, era per la fermezza. Con i terroristi delle Brigate Rosse non si doveva trattare. Questi ultimi avevano chiesto, che avrebbero liberato Aldo Moro, se lo Stato avesse liberato a sua volta un gruppo di terroristi, che erano in carcere perché condannati per numerosi omicidi. Anche il Partito Comunista era per escludere tassativamente ogni possibilità di trattare con i terroristi. Il Partito Socialista invece era per la trattativa con le Brigate Rosse, costasse anche la liberazione di alcuni brigatisti in carcere come prezzo da pagare per la liberazione di Aldo Moro. Il Papa Paolo VI, amico personale di Aldo Moro fin dai tempi della FUCI (Federazione Universitaria Cattolici Italiani), scriveva una lettera accorata ai brigatisti, supplicandoli di restituire alla famiglia il presidente della Democrazia Cristiana.

Claudio Signorile, uno del Partito Socialista, che si adoperò non poco perché si imboccasse la strada della trattativa, scrive in dialogo con Simona Colarizi: “Nella tragica circostanza presente, la linea ufficiale della fermezza aveva dimostrato di non portare alcun risultato, ma solo quello di lasciare la vita di Moro appesa a un filo che si poteva spezzare ogni giorno. Il principio della legalità, superiore a quello di salvaguardare un’esistenza umana in estremo pericolo, restava un totem intoccabile per i comunisti che sembrava avessero ormai rinunciato a qualunque tentativo di risparmiare a Moro questa agonia. E su questa irremovibile posizione avevano costretto al silenzio le tante voci che affioravano tra i democristiani, non tuti disposti a sacrificare nella più completa passività il loro leader, soprattutto dopo l’arrivo delle prime lettere, nelle quali era esplicita la sollecitazione a uscire dal torpore” (Ibidem, pp. 174- 175).

In passato, lo Stato era venuto a patti con i terroristi. Era stato lo stesso Moro, nel 1973, allora ministro degli Esteri nel governo Rumor, ad autorizzare la trattativa con un commando di Settembre Nero, che minacciava di uccidere un gruppo di diplomatici italiani in Libia. Il gruppo terrorista era lo stesso al quale erano affiliati gli assassini della strage alle olimpiadi di Monaco nel 1972, in cui avevano perso la vita nove atleti israeliani. Negli anni dopo l’assassinio di Aldo Moro lo Stato scelse la trattativa con le Brigate Rosse per la liberazione del magistrato D’Uso e dell’assessore Cirillo, liberati grazie ad un patteggiamento (Ibidem, pp. 176- 177). Per Aldo Moro invece prevalse la ragione di Stato. Perché accadde tutto questo? Perché non ci fu nessuna trattativa? I due autori del libro fanno delle ipotesi che si incrociano tra loro. Le risposte definitive ancora non ci sono. Il saggio è “uno sguardo che abbraccia l’intero arco degli anni Settanta, la cornice indispensabile per capire e offrire una nuova interpretazione del caso Moro” (quarta pagina di copertina). Va letto per avere altre informazion su una pagina più nera della nostra Repubblica.

Raimondo Giustozzi

 

Bibliografia

Simona Colarizi è una storica italiana, già docente di storia contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma. Tra le sue ultime pubblicazioni: Un paese in movimento. L’Italia negli anni Sessanta e Settanta (2019), Passato – presente. All’origine dell’oggi 1989 – 1994 (2022), La resistenza lunga. Soria dell’antifascismo 1919 – 1945 (2023).

Claudio Signorile è professore emerito di storia moderna all’Università di Roma, Sassari, Lecce; dal 1972 parlamentare per sei legislature, vicesegretario del Psi, ministro dal 1981 al 1987. Tra le sue ultime pubblicazioni: Spinoza e il primato della politica (1968), Il nuovo Mezzogiorno e l’economia nazionale (1983), Il socialismo federativo (1991), Un’Italia capovolta (2016).

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