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Il mito del benpensante. “Separare gli alunni bravi da quegli scemi non fa progredire né gli uni né gli altri”

 

Lorenzo Milani Fonte internet

Lorenzo Milani Fonte internet

In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, Venerdì 17 Ottobre 2008, Tullio De Mauro, professore di Linguistica all’Università La Sapienza di Roma, diceva: “Dagli anni ’70, quando si iniziò a misurare i livelli di competenza degli alunni di decine di Paesi del mondo, fino ad oggi, i risultati delle ricerche concordano in questo: il mito del benpensante che crede che separando gli alunni bravi da quelli scemi si faccia progredire gli uni e gli altri è falso. Più le classi sono eterogenee meglio è. “In Francia, se in una scuola si verificano differenze troppo marcate, rimescolano apposta le classi ad inizio anno”. Continuava ancora il professore: “I ragazzi meno bravi che escono dalle nostre scuole, negli studi comparativi, hanno punteggi superiori ai loro colleghi meno bravi cresciuti in sistemi scolastici più selettivi, o dove non c’è tanta immigrazione, o senza i portatori di handicap, che noi inserimmo in classe nel 1966. Anche chi all’ingresso a scuola parte da posizioni migliori, se esce da un sistema di classi eterogenee, ha un profitto superiore a quello di chi frequenta istituti meno aperti. Lo dicono gli studi che seguono i progressi dei ragazzi negli anni”.

 

C’è chi, davanti alle difficoltà di gestire classi eterogenee, neppure in maniera tanto larvata dice: “Non mi date ragazzi con problemi d’apprendimento perché sarei poco produttivo”. Con chi andranno questi ragazzi con problemi diffusi, comportamentali e di comprensione, dal momento che dovranno pur assolvere l’obbligo scolastico? Con altri insegnanti, se chi fa la richiesta, ce la fa a spuntarla. Spesso ce la fa perché fa da sponda alle richieste di alcuni genitori, miopi, benpensanti ed egoisti i quali credono che, mettendo i propri figli anche se zucconi ed antipatici con altri della stessa razza, potranno conseguire risultati migliori di altri coetanei dello stesso livello, che stano in classi eterogenee. Le ricerche stanno lì a smentirli. Ci si augura solo che i primi, di fronte alle prime difficoltà della vita, vadano davvero a rompersi il grugno, colpevoli gli insegnanti ed i genitori.

 

Altri mettono anche in dubbio l’inserimento degli alunni portatori di handicap in classi normali, che vengono seguiti dagli insegnanti di sostegno, perché magari leggono o vedono con i propri occhi, viaggiando, che in un determinato stato europeo, il bambino con handicap non è inserito in classi normali. Siamo noi all’avanguardia in questo settore o è all’avanguardia chi, non volendo spendere risorse nell’inserimento dell’alunno portatore di handicap in classi normali, preferisce fargli frequentare classi differenziate o non fargli frequentare affatto nessuna classe?

 

Alla base di tutti questi atteggiamenti sociali diffusi non c’è forse un pensiero miope ed egoista portato a considerare che meno problemi si hanno riguardo all’integrazione, all’inserimento di alunni con handicap, stranieri e quant’altro, meglio si sta? “L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile. E voi ve la sentite di fare questa parte nel mondo? Allora richiamateli, insistete, ricominciate tutto da capo all’infinito a costo di passar da pazzi. Meglio passar da pazzi che essere strumento di razzismo” (don Milani).

 

Il problema dell’inserimento, integrazione degli alunni stranieri nelle classi normali! L’inserimento scolastico è la semplice e pura iscrizione secondo le leggi vigenti, nella classe corrispondente all’età anagrafica del bambino. È una norma che forse andrà superata. L’integrazione è la piena acquisizione della lingua assieme ad altre cose: norme, leggi e quant’altro. Le tanto citate regole! La prima che uno straniero impara, mettendo piede nel Bel Paese, è il lavoro e l’affitto della casa in nero, sia il primo che il secondo bene, insomma nulla di ciò che si dice essere la legalità, anche se tutti si riempiono la bocca di questo termine. L’integrazione scolastica avviene attraverso l’acquisizione della lingua. “E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui: che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”.In Africa, in Asia, nell’America Latina, nel mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d’essere fatti eguali”.

 

Tanti alunni ed i loro genitori immigrati aspettano di essere resi uguali e non dire semplicemente: “Ah! È un alunno straniero, allora lo boccio”. La bocciatura non risolve il problema soprattutto se viene erogata in un contesto dove la situazione di partenza è fortemente penalizzante per chi parte svantaggiato. D’altronde questo era valido anche per noi negli anni cinquanta e dintorni: “Se un compito è da quattro, io gli do quattro e non capiva poveretta che proprio di questo era accusata, che non c’è nulla di più ingiusto che far parte uguali tra gente disuguale”. Quanta gente disuguale in quelle classi! Chi veniva dal Meridione d’Italia ed andava nelle grandi città del nord per motivi di lavoro, i loro figli andavano a scuola con i loro coetanei lombardi, genovesi, piemontesi. Figli di immigrati marchigiani ed abruzzesi, che scelsero la capitale, patirono le difficoltà dell’inserimento in una scuola che richiedeva e giustamente la conoscenza dell’Italiano e non del dialetto d’origine.

 

Nella scuola media, dove ho insegnato in modo continuativo per quindici anni, le tanto chiacchierate “classi ponte” esistevano ore di “presidio linguistico”, distribuite nell’arco della settimana. Costituivano un pacchetto di sedici ore durante le quali gli alunni stranieri, provenienti da classi diverse, venivano seguiti da un insegnante e seguivano corsi di alfabetizzazione e di sostegno linguistico. All’inizio venivano sottoposti ad alcune prove di livello che miravano a verificare la conoscenza della lingua italiana. Se le prove dimostravano che gli alunni non la conoscevano, seguivano il corso di alfabetizzazione, se invece avevano una conoscenza abbastanza buona, seguivano le lezioni di sostegno e consolidamento linguistico. Nelle altre ore erano in classe con altri coetanei italiani. Oggi, come viene affrontata la questione?

 

La conoscenza di qualsiasi lingua avviene anche e soprattutto con i coetanei; lo sostengono gli esperti. I nostri ragazzi italiani se vanno in Inghilterra o in paesi anglofobi per perfezionarsi nella conoscenza della lingua inglese frequentano ragazzi e ragazze inglesi o ragazzi e ragazze arabe, pakistane, magrebine che parlano arabo. Classi stabili ed immodificabili, di soli studenti stranieri non le vuole nessuno o meglio se c’è qualcuno che le vuole, questi si sbaglia di grosso perché queste classi diventerebbero con il tempo ambienti di odio razziale, ingestibili, che possono arrecare solo danno a tutti. La scuola gioca un ruolo importante e imprescindibile in qualsiasi progetto di inclusione sociale. Teppismo e baby gang, formate da ragazzi italiani e stranieri, non esisterebbero.

 

Raimondo Giustozzi

 

 

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