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Libri Valerio Volpini, Letteratura e Società “Essere fedeli alla verità significa essere fedeli all’uomo”

Volpini immaginedi Raimondo Giustozzi

Il libro, “Valerio Volpini: letteratura e società”, raccoglie gli atti del Convegno, tenuto nella Sala Verdi del teatro della Fortuna di Fano, il 27 novembre del 2010. Gli amici del Circolo Culturale “Jacques Maritain” di Fano con questa iniziativa vollero rendere omaggio al loro amico e maestro Valerio Volpini, nato a Rosciano, frazione di Fano, il 29 novembre 1923 e morto a Fano l’11 gennaio 2000. Il libro, N° 153, della prestigiosa collana “Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche”, viene pubblicato nel settembre del 2014, quattro anni dopo il Convegno. Raccoglie undici interventi, di diverse personalità, che ricostruiscono l’opera, il pensiero, l’attività di Volpini giornalista, scrittore, politico, dal 1943 fino agli novanta del secolo scorso. È un grazioso volumetto di appena 120 pagine che si leggono piacevolmente, senza nessuna difficoltà.

Valerio Volpini è stato un grande interprete del Novecento sulla linea di Papa Montini, Maritain, don Primo Mazzolari, Corlo Bo, Mario Luzi, Mario Pomilio, don Italo Mancini, don Lorenzo Bedeschi, Pericle Fazzini, Arnoldo Ciarrocchi, Gino Montesanto, Leopoldo Elia. Valerio Volpini ha lasciato una feconda eredità legata alla grande cultura umanistica del Novecento, in sintonia con quei personaggi che hanno saputo trovare nel Concilio Vaticano II il luogo del rinnovamento ecclesiale e civile della società. Quell’evento era atteso, è stato assecondato, è stato aiutato ad entrare nel tessuto spirituale della Chiesa, anche con la sua direzione de “L’Osservatore Romano” (Cfr. Valerio Volpini, Letteratura e Società, Prefazione di Francesco Torriani, pp. 9- 10, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, settembre 2014, Ancona.).

Valerio Volpini viene chiamato da Papa Paolo VI alla direzione de “L’Osservatore Romano” in sostituzione di Raimondo Manzinistanco di battaglie, un po’ arenato nelle anse della senilità”. Volpini ha tenuto le redini del prestigioso quotidiano del Vaticano dal 6 gennaio 1978 al 1° settembre 1984; fu “testimone privilegiato dell’anno dei tre Papi e poi del primo intenso periodo del Pontificato di Giovanni Paolo II”. Alla direzione de “L’Osservatore Romano” portò tutta la sua verve di scrittore schietto, mai inchinato al politicamente corretto, come si direbbe oggi. Sporchi cattolici (1976) e Cloro al clero (1978) sono le sue due opere che più di tutte le altre lo rappresentano. I titoli, volutamente provocatori, non sono frutto di invenzione, ma suggeriti dalle tante scritte di cui erano tappezzate le mura esterne delle chiese di tutta Italia (Piergiorgio Grassi, Valerio Volpini interprete degli inquieti anni settanta, ibidem, pp. 27 – 37).

Valerio Volpini è stato definito maestro, che non fece scuola e non lasciò discepoli. Era figlio di un mezzadro e di una sarta, nato in campagna, di cui portava tutta la ricchezza, con la povertà ma vissuta anche con tanta dignità, che oggi non si trova più da nessuna parte, scomparsa la civiltà contadina e quella operaia. “Fu testimone integrale dell’amore di Dio, un portatore della parola, un censore uscito a smentire e fustigare folle instupidite e blasfeme. La pienezza del credere gli veniva da liturgie domestiche, da genitori che addolcivano il silenzio serale con l’andante del rosario recitato in due, da oblazioni di bontà operosa. Sulla ricchezza degli umili lo studente innestò e coltivò la crescita della cultura, dilatando via via lo sguardo, caricandosi di letture, ascoltando suoni che blandivano la sua avidità di conoscere e annettere. I suoi autori preferiti erano Georges Bernanos, Jacques Maritain, Fëdor Dostoevskij, Emmanuel Mounier, don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani” (Pasquale Maffeo, Valerio Volpini nella cultura del Novecento, pp. 43- 56).

Valerio Volpini si laurea in Lettere, laurea conseguita a Urbino nella primavera del 1947 con la tesi su Paul Claudel, che gli guadagnò l’aureolata adozione di Carlo Bo. All’esordio fu pittore e poeta. Come poeta pubblicò i versi di Undici poesie con undici incisioni di Arnaldo Battistoni (Urbino 1947), poi le sequenze della piccola raccolta Barbanera, con la prefazione di Carlo Bo (Urbino 1949), ma furono solo tentativi iniziali, prove di talento, sondaggi di direzione, nulla di più. Nel corso degli anni matura la sua vocazione di scrittore. Nel 1952 pubblica “Antologia della poesia religiosa contemporanea”, per l’edizione Vallecchi. Volpini ha scoperto la propria strada. Nel 1957 pubblica “Prosatori cattolici, 27 narratori del Novecento” (Roma, Aves), “Prosa e narrativa dei contemporanei” (Roma, Nuova Universale Studium, 1957), “La preghiera nella poesia italiana” (Caltanisetta, Sciascia, 1969), “La letteratura italiana sulla Resistenza” (Ca’ Spinello, Fermignano,1975), “Fotoricordo e pagine marchigiane” (L’Astrogallo, Ancona, 1973), dove lo scrittore ritorna ad un passato lontano carico di memorie, “Le querce e le streghe”, racconto nel quale Volpini ritorna ai ricordi dell’infanzia lontana.

Allaccia rapporti con i Arnoldo Ciarrocchi, Raimondo Rossi, Remo Brindisi, Mino Maccari, Renato Buscaglia, Nino Caffè. Tutti i libri scritti o curati da Volpini si impreziosiscono di disegni, acqueforti e xilografie di questi grandi maestri del tempo. Preziosi sono i saggi in volume “Su Maccari” (Urbino, 1970), “Nino Caffè” (Verona, Guelfi, 1974), “La luce su pioppi” (Ancona, L’Astrogallo, 1991). Con Fabio Ciceroni pubblica il volume imperdibile “Le Marche tra parola e immagine. Autori marchigiani del ‘900” (Il lavoro editoriale, Ancona, 1996). Per una decina d’anni viene designato a presiedere la Scuola del libro in Urbino. L’incarico lo stimola ad approfondire conoscenze, allacciare rapporti con i maggiori intellettuali del tempo.

La stagione del Concilio lo entusiasma. Gli ricorda Jacque Maritain di “Umanesimo integrale”, “Il contadino della Garonna”. I suoi amici di Fano lo avevano ribattezzato in tono scherzoso “Il contadino del Metauro”, conoscendo la grande passione che nutriva verso il filosofo d’oltre Alpe. Vive pienamente da osservatore acuto il Sessantotto. Viene eletto nel Consiglio Comunale di Fano, nel Consiglio regionale delle Marche, sponda Democrazia Cristiana. I suoi maestri in campo politico sono Giorgio La Pira, il sindaco di Firenze e Giuseppe Dossetti, dai quali impara alcuni principi fondamentali: “La politica che serve l’uomo, che salva e promuove i talenti dell’uomo, che rende a ciascuno giustizia per vocazione di carità, in gratuita offerta” (Ibidem, pag. 50). Proprio quello che è diventata oggi la politica!

Nella direzione de “L’Osservatore Romano” porta tutto il proprio entusiasmo con forza e determinazione, senza fare sconti. Scrive infatti: “Il nostro far cultura sta innanzitutto nel non perdere mai la consapevolezza della profezia evangelica e della missione della Chiesa di cui siamo parte; né Cristo né la Chiesa sono una cultura, ma i cristiani non possono perdere la propria specificità nel vivere il travaglio del proprio tempo, è allora dalla qualità della loro stessa testimonianza che sarà avvantaggiata ogni ricerca ed ogni ipotesi” (Ibidem, pag. 53). Se da giovane “ai proclami della propaganda fascista aveva risposto, nel ’43, entrando nella Resistenza partigiana, ora da adulto, all’accusa dell’odio settario (Sporchi cattolici e Cloro al clero), ora risponde entrando nella resistenza intellettuale, col ruolo di fustigatore cui ripugnava il tradimento dei chierici” (Ibidem, pag. 51).

Da giovane partigiano, Valerio Volpini fu ad un passo dalla morte. Messo davanti al plotone di esecuzione, si salva per miracolo, nascondendosi tra le piante di granturco. È un episodio raccontato in pagine memorabili nel libro di Aldo Deli, i merli di Fano (a cura di Enzo Uguccioni, Edizioni Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, 2008). Valerio Volpini, nel libro “Violenza anni ‘60” spiega il senso autentico della Resistenza, vissuta molti anni prima: “La Resistenza è stata innanzitutto un fatto spirituale; ha voluto essere la prova del valore dell’uomo contro il non- uomo, della ragione contro la follia bestiale. La Resistenza è stata per le generazioni che ne hanno fatto parte il momento culminante di una meditazione per la conquista di una piena umanità, di una dignità fondata sulla libertà; è stata la sofferta esperienza per scoprire, al di là dei miti e delle falsificazioni umilianti e criminali, cui aveva abituato il fascismo, l’autentica statura della persona, il rapporto fra la propria dignità e lo Stato, fra la propria fede religiosa e la libertà, fra la pace e la giustizia, fra il passato della tradizione e il presente. La Resistenza insomma è stata la nostra giovinezza. Resistere infatti poté sembrare ad un certo momento assurdo ma è stato in realtà la testimonianza di quanti non hanno disperato nell’uomo ed hanno posto in primis il servizio alla verità” (Enzo Uguccioni, La politica come testimonianza: il tempo della Resistenza e della Costituzione, pp. 61- 66, in Valerio Volpini, Letteratura e Società, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, settembre 2014).

La Repubblica è nata dalla Resistenza e nel suo spirito è stata scritta la Costituzione. Scrive Pietro Scoppola: “La cultura personalistica e comunitaria dei costituenti democratici – cristiani ed in particolare dei “professorini” (Dossetti, Lazzati, Fanfani, La Pira) dette al corso dei lavori della Costituente i suoi frutti migliori, realizzando nella nostra Costituzione il superamento della democrazia formale e fissando basi e obiettivi di una democrazia sostanziale. Il fatto di aver tradotto in forme laiche, da tutti accettabili, i valori del mondo cristiano, la dignità della persona, il pluralismo sociale, la solidarietà, la libertà della Chiesa come fatto istituzionale e non solo di coscienza, è il grande merito dei costituenti cattolici” (Ibidem, pag. 63). La cultura della condivisione con altre forze politiche, di orientamento diverso, ha portato ad una comune assunzione di responsabilità. La parola compromesso viene da conpromettere, cioè promettere insieme e in una società democratica la ricerca della condivisione dovrebbe essere la norma, specie poi se ci sono difficoltà che superano l’ordinaria amministrazione. Questa verità vale anche oggi?

Nel pensiero di Valerio Volpini, che si forma con l’Umanesimo integrale di Jacques Maritain, e in quello di altri intellettuali e politici cattolici coevi al “Contadino del Metauro”, per fare il paio con l’opera del filosofo transalpino, Il contadino della Garonna, vi è un’idea dominante: “La legge naturale rappresenta la base ideale per un incontro di culture diverse allo scopo di perseguire, insieme, il bene comune. Questa idea ha funzionato negli anni della Costituente e nei primi anni della Repubblica, ma con il sopraggiungere di una cultura radicale che ha messo in crisi ogni certezza morale, facendo del relativismo una sorta di religione laica intransigente e poco disposta al dialogo, non si sono trovati più i punti di riferimento per una comune azione politica” (pag. 64).

Proprio in questa congiuntura, quando scompare lo spirito della Resistenza, intesa come fatto morale e non solo militare, quando il lavoro dell’Assemblea Costituente non viene più visto come un testamento spirituale, anche nella Democrazia Cristiana viene meno la tensione ideale. È proprio in questa fase di passaggio che Valerio Volpini pubblica le due opere ricordate: “Sporchi cattolici” e “Cloro al clero”. “Volpini è stato protagonista e testimone di una stagione in cui la politica era considerata un modo esigente di praticare la carità, cioè l’amore per il prossimo”.

Sporchi cattolici (1976), raccoglie molte lettere aperte, indirizzate settimanalmente ad un tale Gi. senatore, apparse sul quotidiano romano “Il Tempo” con lo scopo di descrivere gli aspetti del far politica nostrano, i personaggi minori della vita di partito in riferimento alla cronaca dopo il 15 giugno 1975 (Elezioni amministrative e regionali. Il PCI arriva al 33% a soli tre punti meno della DC), sino al dopo giugno 1976. Volpini lo presenta così: “Si tratta di riflessioni e considerazioni; il livello di un democratico cristiano e di un cattolico che osserva dalla periferia le malattie professionali e i malati della politica, scoprendo come l’autenticità della vita democratica sia mortificata dal clientelismo e dall’opportunismo, dalla stupidità (redditizia) e dalla furbizia, dal trasformismo, dal carrierismo, dall’arroganza e dal servilismo” (Pag. 30, op. cit.).

Cloro al clero (1978) è composto da scritti di diversa misura e natura, apparsi anch’essi sul quotidiano “Il Tempo” in una rubrica chiamata Occasioni. “Si tratta, osserva Volpini, di riflessioni e considerazioni, ma soprattutto di scritti polemici e ironici. Sono interventi di un democratico cristiano che, nonostante l’età e le molte letture, nonostante tenga famiglia e un certo equilibrio non riesce a stare zitto, non teme di andare controcorrente e di indignarsi” (Pag. 30).

Valerio Volpini è per natura e formazione bastian contrario. Il suo è un parlare onesto, che, se dimenticato, produce una crisi di credibilità, provoca proteste, causa voti in libera uscita. “Il caso serio era la dichiarata autonomia della politica, ridotta a mera amministrazione dell’esistente e non preoccupata di ampliare gli spazi della libertà responsabile, o per dirla con Bernanos frequentemente citato, “la peggiore minaccia per la libertà non sta nel lasciarsela togliere – perché chi se l’è lasciata togliere può sempre riconquistarla – ma nel disimparare ad amarla o nel non capirla più” (pag. 33). Chi fa politica, oggi, è credibile? Si ama ancora la libertà? Perché ad ogni tornata elettorale aumenta sempre più la percentuale di chi non va più a votare?

Altro tema ricorrente nella pubblicistica di Volpini riguarda gli intellettuali che devono amare la libertà nella verità: “Uomini in carne e ossa sono morti per la liberà e per la fede e un popolo intero è vissuto perché l’ultimo degli imbecilli abbia oggi il diritto di compiere questa formalità bugiarda”. La libertà deve affermarsi nella verità e nella vita. La democrazia non è una formalità perché basata sulle elezioni, deve essere il sale della vita civile. Anche nella stagione esaltante del Concilio Vaticano II, Valerio Volpini, negli articoli, che pubblicava, ci teneva a dire che le sue erano imprudenze di un cattolico del consenso. Era troppo comodo protestare, senza proporre.

Illuminante è la relazione di Gastone Mosci, Valerio Volpini in dialogo con Carlo Bo, dove lo studioso mette a confronto due opere, apparentemente diverse nel linguaggio, ma unite nei contenuti: Scandalo della speranza (Vallecchi 1957) di Carlo Bo e Violenza anni ’60 (La Locusta 1963) di Valerio Volpini. “Il volume di Bo comprende 6 saggi e 31 elzeviri dal 1945 al 1954 sulle speranze e le illusioni del secondo dopoguerra e dell’epoca della ricostruzione. L’opera di Volpini propone 17 interventi dal 1960 al 1963, che preannunciano l’epoca del consumismo. Non sono bilanci del passato ma registri di cassa, fogli che guardano la realtà quotidiana nello sviluppo del dopoguerra con due prospettive: il mondo ecclesiale, e la società politica del boom economico e della società del benessere” (pag. 71).

“Pensaci uomo è la prima riflessione di Volpini, il manifesto di una generazione che non vuole stabilire una coscienza tranquilla di fronte alla situazione drammatica di dimenticare i problemi, di chi vuole dimenticare le quotidiane responsabilità sociali, il male collettivo generalizzato, rappresentato dalla perdita della responsabilità. Volpini impone l’appello alla memoria, lancia l’invito a non dimenticare i campi di sterminio nazisti, a non cedere al conformismo che vorrebbe porre sotto silenzio la verità di quel tradimento dell’umanità, di una colpa di cui non può esserci giustificazione” (Ibidem, pag. 83).

Servire la verità è il secondo intervento di Volpini. Le guerre fanno capire che si vive sempre sotto il segno della distruzione perché scatenano la violenza e l’odio, che sono segnati da fatti indelebili molto prossimi, come la Shoah, la bomba atomica di Hiroshima e la guerra di Algeria con i paras francesi” (Ibidem, pag. 85). Cosa direbbe oggi Valerio Volpini della guerra scatenata dalla Federazione Russa contro l’Ucraina, del massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023 contro gli ebrei e la risposta militare oltre ogni legittima difesa, scatenata da Israele a Gaza?

Sino a qual punto siamo fedeli alla verità” – si chiede Valerio Volpini in un altro contributo. Lo spirito del partigiano si manifesta appieno, quando scrive: “La verità è il costume della democrazia”. “Essere fedeli alla verità è essere fedeli all’uomo”. “La Resistenza è stata la nostra giovinezza nel senso che ha creato i presupposti del nostro umanesimo”. La lezione di Maritain risorge sempre negli scritti di Valerio Volpini. Tanto era il legame con il filosofo francese che fu proprio Valerio Volpini a fondare a Fano, nel 1960, il Circolo Culturale Jacques Maritain. “Carlo Bo parlava di assenza come dissenso sotto il fascismo, Volpini parla di partecipazione come negazione dell’assenza nella scelta della lotta e della guerra. Il tema di Carlo Bo era l’autonomia, la scelta di Volpini è la libertà, la scommessa per l’uomo e il servizio della verità” (pag. 87).

Molto importanti sono anche le relazioni di Franco Mancinelli, Oggi la politica sente la mancanza di Volpini, di Matteo Ricci, Riportare nel giusto ordine le cose che contano, l’impegno di Volpini in Regione, di Vittoriano Solazzi, la forza della verità, di mons. Armando Trasarti (già vescovo di Fano – Fossombrone – Cagli – Pergola), Valerio Volpini per la costruzione della città, di Giuliano Giuliani, le Marche tra parola e immagine, di Fabio Ciceroni, coautore dell’omonimo volume. Le conclusioni sono affidate a mons. Giovanni Tonucci, già arcivescovo prelato di Loreto, Valerio Volpini convegni e mostre nel decennale, Valerio Volpini fra scrittura e agorà. Il volume “Valerio Volpini, Letteratura e Società” va letto e riletto più volte perché ad ogni lettura si scoprono valori, speranze, il nostro passato più lontano, quello a noi più vicino e il nostro presente.

 

Raimondo Giustozzi

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