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Libri – Federico Rampini, Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente

Copertina del libro Grazie, Occidente

Tutto quello che stiamo vivendo oggi è già accaduto. L’Occidente è circondato da nemici, processato per le sue colpe, sfidato da potenze aggressive (Cina, Russia, Iran) e sfiduciato dal Grande Sud globale: tutto il resto dell’umanità, o quasi, sembra deciso a liberarsi dalla nostra egemonia, sia pure dopo aver assorbito la nostra modernità. Nulla di nuovo sotto il sole. Era già successo. E ogniqualvolta il mondo ha cercato di sostituire l’Occidente con un modello alternativo, la storia è sempre finita molto male. Gli esempi più recenti sono ancora abbastanza freschi nella memoria: l’Unione Sovietica e la Cina comunista di Mao Zedong si proposero, ciascuna per conto proprio, come delle guide, fari di civiltà, per costruire un uomo nuovo e un mondo nuovo. I gulag sovietici hanno fatto da modello al carcere siberiano dove Putin ha mandato a morire Aleksej Navalny. Quanto a Mao, il bilancio delle sue vittime, fra purghe, guerre civili e carestie provocate dalle sue politiche, è di almeno 50 milioni di morti, superiore alla somma di quelli di Hitler e Stalin. L’Iran di Khomeini, dove si doveva ripristinare una moralità islamica come alternativa al Grande Satana che è l’America tortura e stupra nelle sue carceri le donne che si ribellano” (Federico Rampini, Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente, Epilogo, pag. 329, Mondadori, Milano 1924).

Il saggio di Federico Rampini, Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie, Occidente, 339 pagine, declinato in quattordici capitoli, si apre con una introduzione, si chiude con l’epilogo e l’indice dei nomi. Il libro è una esaltazione, ragionata, di tutto il bene che l’Occidente ha procurato a noi stessi e al resto del mondo. Il titolo “Grazie, Occidente”, nasce come reazione ad una cultura diffusa, soprattutto in Occidente, che si autoaccusa di tutte le nefandezze possibili e inimmaginabili: Colonialismo, razzismo, neocolonialismo, guerre, violenze, sfruttamento dei paesi poveri del mondo ad opera della ricca e grassa borghesia. Ancora oggi si pensa che lo sfruttamento e le disuguaglianze siano invenzioni occidentali. Esistevano invece in molte zone dell’Africa molto prima che vi mettessero piede gli arabi o i bianchi europei: “Nella storia antica dell’Africa si possono trovare forme di comunismo primitivo, per esempio una sorta di proprietà collettiva delle terre; a fianco, però, a forme di feudalesimo feroce, con schiavismo e gerarchie autoritarie” (Federico Rampini, introduzione, pag. 11, in “Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente”).

Grazie, Occidente”. Sono due parole che non sentiremo mai pronunciate insieme. Non in quest’epoca storica, perlomeno. È un’espressione proibita, un tabù del nostro tempo che pure si considera tollerante. “Grazie, Occidente” non si può dire, a rischio di attirarsi addosso una fatwa (maledizione) laica, l’equivalente che i sacerdoti islamici scagliano contro chi osa rappresentare il Profeta” (Federico Rampini, Introduzione, due parole proibite, pag. 3, op. cit.). Federico Rampini mette in quello che scrive tutta la propria onestà intellettuale: “Ho questa abitudine, poco diffusa in Italia: parlo e scrivo di cose che conosco perché le osservo e le frequento da vicino, anziché pontificare a distanza da Milano o da Roma. La crisi attuale dello Stato più ricco degli Usa (California), con un Pil superiore a quello della Francia, si può cominciare a descrivere con questa battuta: nulla di nuovo sotto il sole” (Federico Rampini, Confusione americana, in “Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente”, pag. 291, op. cit.). È una lezione che devono imparare quanti nei talk- show parlano di tutto, si sovrappongono a quello che gli altri sostengono, senza nessuna educazione, e credono che la verità stia dalla parte di chi grida più forte.

Prima di diventare cittadino americano, Federico Rampini è vissuto in Cina per cinque anni, dal 2004 al 2009, come corrispondente della “Repubblica”. Ritorna in Cina dopo quasi cinque anni di assenza. La trova meno inquinata e più autarchica. “Si è svuotata soprattutto di manager delle grandi multinazionali occidentali, ma se la cava anche senza. La digitalizzazione è avanzata in modo formidabile, noi americani o europei siamo trogloditi al confronto. Vale anche per il controllo sulle persone. Inoltre, questa Cina liberata dal contante e dalle carte di credito, è ormai un universo chiuso, se non hai le sue app digitali non puoi fare niente: prenotare un treno o un museo, pagare un taxi o un ristorante (Federico Rampini, Ritorno in Cina e passaggio a Taiwan, in “Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente”, pag. 237, op. cit.). La Cina attuale deve il suo progresso alla lungimiranza di Deng Xiaoping, che aveva visto nel capitalismo la strada da percorrere, invitando i cinesi ad arricchirsi. Xi Jinping dopo aver rimesso al centro la direzione del partito comunista cinese, che controlla ogni piega della società, ha riportato indietro la Cina: “È convinto che l’Occidente sia in declino. Può anche darsi che sia vero. A furia di dircelo in faccia, però, ha ottenuto una reazione inevitabile: perfino i cauti e pragmatici imprenditori tedeschi cominciano a progettare un futuro in cui ci sarà meno Cina per loro. Vedremo se a lungo termine Xi Jinping ci ha guadagnato, puntando sul declino dell’Occidente, sull’asse con Mosca e con il Grande Sud globale. Dopotutto, da vent’anni, la prosperità cinese era dovuta all’accesso illimitato ai nostri mercati” (Ibidem, pag. 254).

Il luogo dove non è affatto proibito, anzi è normale, pronunciare le parole “Grazie, Occidente”, è Taiwan: “Nell’estate 2023 ho soggiornato a lungo a Taiwan, l’unica area del mondo dove i cinesi votano per eleggere o cambiare i propri governi, hanno un’informazione pluralista, considerano l’Occidente (più il Giappone) come il modello migliore e anche la propria salvezza. Forse illudendosi su quest’ultimo punto. Wang Ting- Yu, deputato del Partito Democratico Progressista, quello del presidente di Taiwan, consegnando un messaggio a Federico Rampini, così scrive: “Agli italiani dico questo: non ci lasciate soli. Siam una delle democrazie più evolute del mondo, forse a più avanzata in tutta l’Asia per il rispetto dei diritti umani. La nostra sorte vi riguarda. Se il regime cinese dovesse spuntarla su Taiwan, non si fermerebbe qui” (Ibidem, pag. 259).

In uno dei suoi tanti viaggi, Federico Rampini si trova vicino ad Arusha, in Tanzania. Dopo aver lasciato la città, si inoltra nella campagna profonda, verso la Terra dei Masai, che molti turisti del mondo attraversano di fretta per raggiungere i parchi naturali: Serengeti, Ngorongoro, Tarangire, Il suo sguardo si ferma su un pastorello, a guardia del gregge di capre. Ha in mano il cellulare, non di ultima generazione, ma capace di metterlo in collegamento con il resto del mondo, lì in mezzo al deserto più assoluto. “Quel pezzo di tecnologia gliel’abbiamo portato noi al pastorello masai, perché la telefonata mobile è un’invenzione dell’Occidente”. Nel villaggio masai tradizionale, le abitazioni sono di terra e sterco animale. Uomini, donne, bambini, vecchi vivono in queste capanne che sono incubatori di malattie polmonari, perché gli abitanti si scaldano e cuociono il cibo, bruciando legna a carbonella in piccoli forni- bracieri al centro dell’abitazione. Quindi vivono e dormono avvolti in una coltre di fumo permanente (Ibidem, pag. 5).

Accanto a queste capanne, qua e là vanno sorgendo piccole costruzioni di cemento, mattoni, lamiera. Il turista di turno che arriva dall’Occidente, ricco e grasso, grida allo scandalo. La volgarità estetica delle nuove casupole di cemento e lamiera viene deprecata come uno dei tanti mali dell’occidentalizzazione. Meglio morire da giovani di enfisema o di tumore ai polmoni, abitando nelle capanne! Quanto alla sanità, ciò che è stato fatto per l’Africa depone tutto in favore dell’Occidente. La malaria è stata debellata. Se la longevità della vita media degli africani è cresciuta, se le mortalità delle madri al parto e i decessi dei neonati sono diminuiti, tutto questo è stato possibile grazie all’Occidente e alle medicine messe in campo: antibiotici, aspirina e quant’altro. “L’agricoltura è un altro settore in cui la lista dei benefici occidentali è sterminata”. Lo sarà anche per la transizione energetica: “Aver portato in Africa prima le centrali a carbone, poi il petrolio, poi il gas naturale, l’idroelettrico e il nucleare, il solare, l’eolico è stato un modo con cui l’Occidente ha traghettato il continente nero verso stadi progressivamente più efficienti e meno inquinanti. Non basta, ora bisogna andare avanti sulla decarbonizzazione. Ma il progresso è merito nostro” (Federico Rampini, Introduzione, in “Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente”, pp. 7 – 8).

Accanto ai meriti, Federico Rampini riconosce anche i demeriti dell’Occidente, soprattutto in Africa nell’India: “Il Colonialismo in India e in Africa andava combattuto e sconfitto. Certo che noi dobbiamo essere consapevoli delle nostre responsabilità storiche! Anche se è ridicolo che oggi la conquista territoriale e il dominio su altri popoli vengano ridotti a crimini occidentali, mentre li praticarono l’impero arabo e quello ottomano, e lo praticano tuttora Cina e Russia. Gandhi viene celebrato a ragione per i suoi metodi di lotta, fondati prevalentemente sulla disobbedienza civile, la resistenza passiva, i grandi scioperi, la mobilitazione pacifica del popolo” (Ibidem, pag. 9, op. cit.). Ghandi proponeva l’utilizzo del telaio domestico per boicottare l’industria tessile creata dagli inglesi. “Se l’India fosse rimasta quella dei telai nelle case e degli aratri di legno, oggi la sua popolazione vivrebbe nella miseria, nella fame e nella sofferenza. I tanti miracoli economici indiani – dal boom agro alimentare fino al software informatico – sono sati possibili ripudiando il gandhismo, il quale però non è affatto morto. Le Elite intellettuali di tutto il mondo trasudano ostilità verso il capitalismo e nostalgia verso un mondo idealizzato. Quello dove una mamma indiana doveva fare dieci figli anche perché la metà non sarebbe sopravvissuta che pochi mesi o pochi anni dalla nascita” (Ibidem, pag. 10).

Nyerere, protagonista dell’indipendenza della Tanzania, teorizzava che il socialismo, quando già era in auge in Unione Sovietica, in Cina e a Cuba, avesse radici ancestrali in Africa. Era solo un’astuzia politica; “Serviva solo a proteggere il suo esperimento politico dall’accusa di importare un’ideologia straniera”. Sfruttamento e disuguaglianze non sono invenzioni occidentali, proprie del capitalismo. C’erano già sotto altre forme di economia fondate sullo sfruttamento e sulle disuguaglianze. “Karl Marx non predicò mai simili idiozie. Per lui, il capitalismo era stato una formidabile macchina di progresso materiale; pensava che il socialismo avrebbe potuto portare quel progresso materiale ancora più avanti, unendovi giustizia e equità. La sua visione non ha avuto successo in nessuna delle forme reali che il socialismo ha sperimentato, inclusa la strada percorsa da Nyerere in Tanzania. I progressi nella lotta contro la malattia, contro l’Aids e cento altre malattie, tra le ultime la pandemia dovuta al Covid 19, continuano a venire da modelli diversi. I nostri. Persino l’idea dei parchi nazionali protetti, poi abbracciati con entusiasmo da Nyerere, gli venne suggerita con insistente passione da scienziati tedeschi.

Se ci si è esaltati nell’Ottocento e nel primo Novecento come portatori di una civiltà superiore, con la missione di sollevare il resto dell’umanità dalla barbarie primitiva, oggi non siamo più capaci di vedere, capire e insegnare quanto la scienza, la tecnologia e l’organizzazione economica occidentali abbiano contribuito a creare benessere per altri popoli. I nostri genitori e nonni cresciuti nel mito della superiorità bianca erano a loro modi ciechi di fronte alle malefatte dell’imperialismo europeo; i nostri figli indottrinati sulla malvagità dell’uomo bianco sono altrettanto ignoranti e superficiali. Il pendolo oscilla da un estremo all’altro e questo non ci rende migliori” (Ibidem, pag. 13).  È una tesi che attraversa tutti i quattordici capitoli del libro.

Indice del libro

  1. Il fascino discreto della borghesia
  2. Ecco di cosa siamo colpevoli
  • Perché possiamo dirci superiori
  1. Un’idea di progresso nata in Italia
  2. Immigrati: riconoscerli, oppure no?
  3. Il giudizio dell’intelligenza artificiale su di noi
  • Chi sta salvando il pianeta? Noi
  • A Norfolk, Virginia: in divisa per salvare cosa?
  1. Salviamo la Generazione Pessimista
  2. La fortuna di essere atlantici
  3. Gli “accerchiati” siamo noi
  • Ritorno in Cina e passaggio a Taiwan
  • Confusione americana
  • Cominciò cento anni fa. O duemila

Federico Rampini si serve sempre di tesi sostenute da altri studiosi per avvalorare le proprie. Il benessere materiale dell’umanità per duecentomila anni ha conosciuto quasi na linea piatta, dall’Homo sapiens all’800 (Mc Closkey). Da questo secolo tutto ha un’accelerazione improvvisa, complice la borghesia, l’industrializzazione, le grandi infrastrutture. Questo non vuol dire che il benessere è arrivato ovunque, né all’interno delle società avanzate, dove esistono disuguaglianze marcate, né fra Nord e Sud del pianeta, dove esistono disparità, ma in calo. Tuttavia la quota dei poveri sul totale della popolazione mondiale scende a una velocità che non si era mai verificata nella storia (Federico Rampini, Il fascino discreto della borghesia; in “Tutto il bene che abbiamo fatto. Grazie Occidente”, op. cit. pp. 15 – 27).

Furore di John Steinbeck è il romanzo che ogni persona colta dovrebbe leggere per capire il dramma della grande depressione americana. Eppure da questo universo di miseria e di povertà, gli Usa seppero superare la crisi con coraggio. La manodopera agricola dell’Oklahoma veniva spinta verso l’Ovest. I raccoglitori di cotone del Sud venivano spinti verso il Nord. La maggioranza di questi migranti trovò lavori urbani pagati meglio. Gli imprenditori agricoli che li avevano espulsi vendettero loro cibo a buon mercato, e investirono i profitti in fertilizzanti chimici, pesticidi, motori elettrici per irrigare i campi, infine sementi modificate capaci di sopravvivere quasi a tutto. Nel 2000 ogni ettaro di terreno agricolo americano ha prodotto il quadruplo del cibo rispetto a cent’anni prima (Federico Rampini, Ecco di cosa siamo colpevoli, op. cit. pp. 28 – 29). L’Occidente non deve sentirsi colpevole di nulla. In duecento anni sono migliorate le condizioni di tutta la popolazione mondiale.

Un’idea di progresso è nata in Italia con Renzo Piano, Riccardo Muti, Gianandrea Noseda, Giovanni Colavita, Guerrino De Luca, Pierluigi Zappacosta. L’antica Roma, e il Cristianesimo, l’Umanesimo e il Rinascimento sono stati alla base di un’idea di progresso. L’Occidente deve ritrovare stima di sé: “Ciò che è più devastante è il declino nel valore e nella promessa della civiltà occidentale, avvenuto perfino in America e in Europa. Al posto della fiducia è subentrato il senso di colpa, l’estraneità, l’indifferenza. Cresce specialmente nei giovan americani del ceto medio questo atteggiamento, che noi in quanto nazione e come civiltà occidentale dobbiamo vederci retrospettivamente quali coloro che hanno contaminato, corrotto e impoverito gli altri popoli del mondo, pertanto dobbiamo sentirci colpevoli, provare rimorso e vergogna. L’intellighenzia passa gran parte del proprio tempo nell’autoflagellazione e nella condanna della storia occidentale. I media, la televisione riflettono questi atteggiamenti. L’esule russo Aleksander Solzenicyn non condivide la moda antioccidentale, dopo essere sopravvissuto alla prigionia di un gulag sovietico” (Ibidem, pag. 57).

“L’egemonia dell’Occidente, nei secoli in cui si è allargata a vaste aree del pianeta, non fu solo una superiorità materiale e tecnica. Ce lo ricorda il franco libanese Maalouf: “L’Occidente regnava con la forza del sapere e del pensiero, tanto quanto con la forza delle armi. Tutto quelli che combattono l’Occidente e contestano la sua supremazia, per delle buone o cattive ragioni, vanno incontro a un fallimento ancora più grave del suo” (Ibidem, pag. 334).  È la conclusione del saggio.

Di seguiti riporto le recensioni di altri libri di Federico Rampini, pubblicati dal Corriere della Sera, nella primavera- estate del 2022, assieme ad altri saggi per la collana di “Geopolitica” capire gli equilibri del mondo.

 

Raimondo Giustozzi

 

 

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