Gabriele Lavia, al Teatro Persiani di Recanati, ha messo in scena il suo vero e proprio cavallo di battaglia, Il sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij che offre una riflessione profonda e appassionata sulla condizione dell’essere umano. Il monologo rappresenta un mondo che si è condannato alla sofferenza, auto-recluso, serrato e costretto in una metaforica camicia di forza, condizione e impedimento di ogni buona azione.
Dostoevskij concepisce Il sogno di un uomo ridicolo come un racconto fantastico, scritto intorno al 1876 e inizialmente inserito nel Diario di uno scrittore. Si tratta della storia di un uomo, abbandonato da tutti,
che ripercorre in un viaggio onirico la sua vita e le ragioni per cui si è sempre sentito estraneo alla società.
Gabriele Lavia in più momenti della sua carriera si è confrontato con questo testo: “La prima volta lo interpretai a 24 ”, ricorda, “oggi è passata una vita e Il sogno è quasi un’ossessione. Ho scelto di rimetterlo in scena per riaffermare con forza come l’indifferenza, la corruzione e la degenerazione non possano essere le condizioni di vita della nostra società”.
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